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Vaccinazione per gli “incapaci”. Chi deve dare il consenso?

di Fabio Cembrani

11 GEN - Gentile Direttore,
su Quotidiano Sanità sono già stati pubblicati alcuni commenti al decreto-legge n. 1 approvato il 5 gennaio 2021 (inserito nella Gazzetta Ufficiale n. 3 dello stesso giorno) con il quale sono state emanate ulteriori disposizioni per il contenimento e la gestione dell’emergenza epidemiologica provocata dal Covid-19. Tra queste disposizioni, immediatamente esecutive, di straordinario interesse sono i contenuti dell’art. 5 che tratta la questione del consenso al trattamento vaccinale delle persone incapaci ricoverate nelle strutture sanitarie assistite (R.S.A.) introducendo misure innovative, meritevoli di grande attenzione e di interesse.
 
Nonostante il parere di chi ha affermato che l’art. 5 del decreto-legge n. 1 del 2021 “è un esempio di burocrazia lontana dalla realtà e priva di esperienza dell’emergenza” perché “bastava scrivere che in fase di pandemia, il medico curante, valutate le condizioni di salute del paziente, procede alla vaccinazione della persona incapace senza necessità di acquisire il consenso” (così Donata Lenzi, Quotidiano Sanità del 7 gennaio 2021). Non mi convince assolutamente questa presa di posizione pubblica ed è davvero strano che essa sia stata formalizzata dalla Relatrice della legge n. 219 del 2017 la quale, all’art. 1, comma 2, promuove e valorizza la relazione di cura e di fiducia tra il paziente ed il medico che si basa sul consenso informato nel quale si incontrano l’autonomia decisionale del paziente e la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del medico”.
 
Perché la logica dell’emergenza non può mettere al tappeto i valori costituzionali: sarebbe un knock out imperdonabile che, alla fine di tutto, metterebbe al tappeto la dignità dell’essere umano ed il diritto di sviluppare pienamente la sua personalità. Si, anche e soprattutto quella delle persone più fragili che meritano sempre attenzione e grande rispetto.
 
Certo, la materia è complessa nonostante essa sia spesso banalizzata ma, nonostante io sia per mia natura fortemente critico quando il legislatore è sprovveduto, disattento, pigro se non addirittura cieco, in questo decreto-legge colgo alcuni nuclei di novità importanti che meritano, a mio modo di vedere, di accogliere con grande interesse le soluzioni normative pur auspicando che, in sede di conversione del decreto-legge, si apportino allo stesso qualche necessaria integrazione e modifica per non disallineare le norme.
 
Il primo nucleo di novità è il richiamo all’incapacità naturale della persona: categoria giuridica, questa, mai indicata nella legge n. 219 del 2017 nella quale si è sovrapposta e confusa la capacità di agire con quella di intendere e di volere avendo piena consapevolezza sul fatto che molte persone, ancorchè sottoposte a misure di protezione giuridica, sono spesso in grado di assumere una decisione autonoma nel campo della salute come peraltro conferma l’art. 12 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, completamente ratificata dal nostro Paese.
 
Perché la moral agency mal si concilia con le arcaiche tassonomie giuridiche della capacità e dell’incapacità che sono ancora alla base dei fuorvianti stereotipi che spesso condizionano le indagini psicopatologiche, restando la sua valutazione un atto di natura clinica che non deve abdicare alle tante logiche fuorvianti derivanti dall’uso di strumenti psicometrici assolutamente non adatti alla sua valutazione. Ricordando che la questione della capacità e quella dell’incapacità non possono essere trattate come un punto bianco ed un punto nero perché tra questi due estremi esistono tutta una variegata serie di situazioni intermedie che bisogna valutare sempre con grande attenzione e prudenza.
 
La seconda è il ruolo di proxy finalmente affidato al medico della persona incapace residente in R.S.A. ed ai suoi familiari. Alla prima il decreto-legge affida, infatti, il ruolo di amministratore di sostegno limitatamente alla somministrazione del vaccino contro il Covid-19 pur con il sostegno dei familiari della persona medesima (il coniuge, la persona parte dell’unione civile o stabilmente convivente o, in loro difetto, il familiare più prossimo entro il terzo grado di parentela; senza bisogno di interpellare gli intasatissimi Uffici dei Giudici tutelari se non nel caso, malaugurato, in cui emerga un conflitto di opinioni come purtroppo previsto dalla legge n. 219 del 2017.
 
Continuando a ritenere che questa scelta normativa è stata un grande errore perché le divergenze che si possono sempre incontrare nei luoghi di cura devono essere risolte in quest’ambito, magari con lo strumento della second opinion come suggerito a livello sovranazionale e/o con altri strumenti che potrebbero essere individuati per comporre le antinomie. Lasciando all’amministrazione della giustizia il compito di perseguire gli illeciti nel caso in cui i comportamenti violino le norme.
 
Peccato, invece, che nel decreto-legge non sia stato in alcun modo contemplato il ruolo del medico di medicina generale che spesso ha in cura i pazienti ospiti delle R.S.A. soprattutto pensando alle tante persone incapaci seguito al domicilio dalla loro rete parentale formale e informale. Avendo naturalmente a mente che non tutti gli oltre 1,1 milioni di persone dementi presenti in Italia sono residenti nelle R.S.A. e che non è possibile affidare al direttore sanitario dell’ASL competente per territorio o ad un suo delegato la messa in campo di tutte le azioni e verifiche previste dal decreto-legge per la formazione della volontà decisionale della persona.
 
La mia personale speranza è che, in sede di approvazione del decreto-legge, si possano così apportare allo stesso i necessari correttivi affrontando seriamente questa dimenticanza con la possibilità di estendere ad altri ambiti della cura (penso, ad es. alla somministrazione off labell di rimedi farmacologici che richiedono la raccolta per iscritto del consenso informato) le giuste previsioni dettate dal decreto-legge recentemente approvato. Personalmente ci conto confidando che le Società scientifiche si adoperino in tal senso.
 
Fabio Cembrani
Già Direttore U.O. di Medicina legale di Trento
 

11 gennaio 2021
© Riproduzione riservata

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