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Covid ha mostrato tutta la vulnerabilità delle Rsa

di Serena Bocchi

03 FEB - Gentile Direttore,
in questi ultimi mesi le RSA sono state oggetto di una sempre più alta attenzione a causa del diffondersi della pandemia Covid-19 e degli effetti della stessa sui pazienti e sul personale ad esse afferenti. Occorre ricordare che le RSA, secondo quanto previsto dal DPR 14.1.1997, sono considerate “un presidio che offre ai soggetti non autosufficienti, anziani e non, con esiti di patologie fisiche, psichiche, sensoriali o miste, non curabili a domicilio, un livello medio di assistenza medica, infermieristica e riabilitativa, accompagnata da un livello alto di assistenza tutelare e alberghiera, modulate in base al modello assistenziale adottato dalle regioni e province autonome”.
 
Le RSA, pertanto, rispondono a specifici bisogni socio sanitari delle persone divenute fragili a causa delle diverse patologie, affiancando un’assistenza medica, sanitaria e riabilitativa ad un contesto di carattere residenziali.
La pandemia Covid 19 ha evidenziato in maniera drastica la vulnerabilità di queste realtà e, spesso, la loro inconsapevolezza nella gestione del rischio clinico.
 
L’impatto del Covid ha avuto ripercussioni anche dal punto di vista dell’analisi del rischio da parte delle Compagnie di Assicurazione, che, in passato, hanno troppo spesso inquadrato impropriamente tale tipologia di rischio.
Le RSA, infatti, sono sempre state viste da parte degli assuntori con strutture prettamente residenziali con un basso livello di sinistri tipici delle strutture che svolgono attività sanitaria.
 
Ciò ha implicato un’errata valutazione da parte delle Compagnie che, per lungo tempo, hanno ritenuto che i soli sinistri “tipici” di tali realtà fossero qualificati come sinistri di frequenza a basso livello di magnitudo, con la conseguente formulazione di quotazioni con premi notevolmente più bassi e altrettante franchigie molto più ridotte rispetto a quelli del mondo della Medical Malpractice.
 
Le conseguenze della pandemia Covid-19 hanno comportato una totale inversione di rotta da parte delle Compagnie che, fin da subito, hanno modificato l’approccio assuntivo nei confronti delle Strutture Residenziali. In un primo momento, infatti, anche le Compagnie tipicamente legate al mondo della sanità hanno preferito astenersi dal formulare quotazioni, poi, con il procedere della pandemia, sono stati creati questionari assuntivi ad hoc che consentissero ai sottoscrittori di valutare il concreto rischio legato non più ad attività esclusivamente residenziali, ma anche sanitarie.
 
Il numero di contagi tra il personale sanitario ed i pazienti, nonché (e soprattutto) il numero di decessi verificatisi tra i primi mesi del 2020 raffrontati con i dati dell’anno precedente hanno modificato completamente gli scenari: se infatti fino al 2019 le strutture residenziali erano caratterizzate da rischi di frequenza (rotture occhiali, perdita di oggetti…) oggi le stesse sono viste come possibili generatori di sinistri ad elevata magnitudo.
 
Questo perché l’apertura (seppure in via precauzionale) di un sinistro riferito ad un decesso determina un accantonamento a riserva da parte della Compagnia di un importo elevato a prescindere dalla effettiva richiesta di risarcimento. Detto ciò, alla luce dell’elevato numero di decessi causati dalla pandemia Covid-19, le potenziali richieste di risarcimento aumenteranno in maniera esponenziale, modificando in maniera drastica le considerazioni sul rischio da parte dei sottoscrittori.
 
Ecco perché i premi delle strutture residenziali oggi preoccupano e spaventano chi le gestisce; non solo, i costi hanno subito incrementi anche con riguardo alle franchigie adottate sia per le coperture RCT sia per quelle RCO.

Dott.ssa Serena Bocchi
Direttore Tecnico ASSIMEDICI SRL


03 febbraio 2021
© Riproduzione riservata

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