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L’invisibilità dei medici del Ministero della Salute

di Dirigenti sanitari ministero Salute, associati Assomed Sivemp

22 MAR - Gentile Direttore,
Premettiamo che a circa 30 anni dal dlgs 502/92 siamo costretti a ripetere quanto, negli anni, abbiamo rappresentato, in ogni modo e in ogni dove, per far fronte, leggi alla mano, alla protervia con la quale la dirigenza sanitaria, nel Ministero della salute, viene ostracizzata.
 
Neanche il Ministro della salute riconosce l’operato dei propri medici!
Abbiamo scritto, abbiamo chiesto ascolto, ma ci è sembrato di avere di fronte un muro di silenzio, e anche, in parte, di indifferenza, e anche, e soprattutto, di non conoscenza.
 
Da trent’anni, dagli anni ’90, il Parlamento, ritenendo qualificante la specifica mission sanitaria del Ministero della salute, ha affermato che il personale sanitario del Ministero doveva ricevere il medesimo trattamento giuridico ed economico del personale del SSN, in virtù della sua vocazione sanitaria. Nonostante ciò il legislatore è dovuto intervenire più volte. In ultimo, con la Legge 3/2018 si era giunti ad un sostanziale accordo: estensione completa dei commoda e degli incommoda.
 
A oggi, tanti incommoda sono stati applicati ma sono venuti meno alcuni commoda, non irrilevanti: il livello retributivo del personale sanitario del Ministero è ancora significativamente al di sotto di quello medio del personale delle ASL e non contempla, proprio per chi è obbligato, per legge, all’esclusività di rapporto, la corresponsione dell’indennità relativa. Non è un caso che con gli ultimi concorsi il Ministero non è riuscito a reclutare medici perché i livelli retributivi non sono competitivi, rispetto al restante mercato del lavoro.
 
Eppure, nell’ultimo anno, attraverso gli uffici centrali abbiamo partecipato alla programmazione delle attività e alla formulazione delle indicazioni per la prevenzione; attraverso gli uffici periferici, siamo stati i primi attori ad applicare, entro poche ore dalla loro emanazione, h24 e 7gg/7, e completamente sotto organico, le normative per la gestione della Profilassi Internazionale nei porti e negli aeroporti. I nostri uffici periferici sono, infatti, competenti per la profilassi sanitaria internazionale, effettuano i controlli sanitari ai confini di persone, merci e animali, oltre all’assistenza sanitaria al personale navigante, marittimo e aereo. Sono quindi uffici che hanno un’operatività, anche clinica importante.
 
Eppure anche la campagna vaccinale destinata al personale del SSN ci ha visto esclusi! Ma come è stato possibile non includere il personale dei SASN, degli USMAF, dei PIFtra il personale SSN da vaccinare il prima possibile? Quanto è accettabile questo? Quanto è colpevole questa esclusione?
 
Anche nella gestione della pandemia abbiamo constatato che il Ministro si è rivolto a tutto il mondo. Tranne che al personale del Ministero. Com’è possibile che il Ministro, non riconoscendo il braccio operativo e programmatorio del proprio dicastero rinunci al Suo ruolo di coordinamento del SSN?
 
Irrazionalmente e strumentalmente, lo Stato non sta onorando i suoi impegni e la Legge 3/2018. Cui prodest?
Noi siamo medici, abbiamo potuto seguire corsi di alta specializzazione; siamo figure professionali importanti ma sconosciute. Allora ci chiediamo: esiste una strategia da parte della ns. Amministrazione che consideri i dirigenti sanitari come utili per la salute pubblica al di là delle frasi di circostanza e dei proclami? Quale ruolo abbiamo? Quale autorevolezza? Se non siamo riconosciuti all’interno della nostra Amministrazione quale possibilità abbiamo che altre Autorità riconoscano l’importanza del nostro lavoro?
 
In pratica non esistiamo!
E noi, invece, vogliamo riportare la storia di una collega, che può aiutare a conoscere e comprendere una delle tipologie di lavoro in cui sono impegnati i dirigenti sanitari del Ministero della salute.
 
Il 31 Gennaio 2020 il Consiglio dei Ministri deliberava, in tutto il territorio nazionale, lo stato di emergenza a causa del rischio sanitario da Covid-19. La collega protagonista di questa vicenda, unico medico del Ministero della Salute operante presso alcuni porti, adottava di conseguenza e con effetto immediato le opportune misure di sorveglianza sanitaria e profilassi internazionale.
 
L’applicazione pratica di dette misure si è rivelata attività estremamente impegnativa per il consistente numero di imbarcazioni da gestire, per la difficoltà di accesso a bordo e per l’impegno su un nastro lavorativo continuo, dal lunedì alla domenica.
La corretta esecuzione dell’attività costringe a imbarcarsi frequentemente per verificare lo stato di salute degli equipaggi e per imporre, quando presenti casi di Covid-19, l’isolamento e la quarantena dei contatti; a seguito di queste prescrizioni si sono succeduti gli imbarchi e i controlli quotidiani per verificare la salute dei presenti a bordo (equipaggi e/o passeggeri).
 
L’impegno maggiore è stato a Marzo, nel corso dell’emergenza a bordo di una nave con a bordo 718 passeggeri e 836 membri di equipaggio che sono stati tutti da lei visitati, diagnosticando purtroppo numerosi casi di sindrome respiratoria che costringeva la collega a disporre il ricovero dei casi più gravi, purtroppo 4 dei quali successivamente deceduti per Covid-19.
 
Restava in piedi un’emergenza sanitaria da gestire svuotando progressivamente la nave per evitare il diffondersi incontrollato a bordo dell’epidemia e per proteggere il territorio da possibili focolai di infezione e da una potenziale saturazione della capacità ospedaliera della Provincia.
 
Per conseguire l’obiettivo e assicurare a tutte le persone imbarcate adeguata assistenza sanitaria, la protagonista di questa storia e una sua collega Medico, unico aiuto a sua disposizione (in contratto temporaneo presso la mia UT per 7 mesi) hanno soggiornato a lungo in albergo ed evitato i contatti con le proprie famiglie, per proteggerle dal rischio di contagio.
 
Un grande sacrificio personale, aggravato dalla consapevolezza di un’emergenza sanitaria senza precedenti, dall’epilogo imprevedibile, capace di colpirci anche nei piccoli gesti della quotidianità: chiuse in albergo, lontane dalle famiglie, senza abiti di ricambio e inizialmente anche senza servizi di ristoro, al lavoro per dodici ore al giorno su sette giorni, con poche ore di riposo solo di notte.
 
Imperativo: fare in fretta per evacuare più persone possibili prima che si ammalassero.
La crisi aveva causato un blocco completo delle attività del territorio e dei trasporti per cui è stato molto difficile trovare accordi con le compagnie di trasporto terrestri e aeree.
 
Ogni soluzione possibile è stata discussa e concordata con l’Unità di Crisi a livello nazionale e, forse caso unico in Italia, tutti i passeggeri di ben 38 nazionalità diverse e i membri dell’equipaggio considerati in esubero sono stati sbarcati con trasporto dedicato, in sicurezza, e domiciliati nell’arco di 9 giorni (21-29 marzo 2020).
 
La nave veniva gestita consentendo il permanere a bordo del numero minimo di armamento pari a 122 membri di equipaggio.
La successiva sorveglianza sanitaria dei membri dell’equipaggio rimasti a bordo ha richiesto ulteriore impegno a carico delle due colleghe; l’attività di sorveglianza dell’equipaggio ha richiesto l’esecuzione di oltre 200 tamponi faringei ed esami sierologici, con prelievo campioni direttamente a bordo a nostra cura.
 
La nave, con armamento minimo, veniva autorizzata a ripartire il 16 Maggio 2020, finalmente libera da Covid-19, dopo due mesi e mezzo di quarantena.
Tutti gli interventi e accessi a bordo venivano effettuati dopo aver indossato DPI completi costituiti da tuta tyvek, maschera facciale di protezione (FFP3), doppi guanti, visiera, stivali di gomma; l’equipaggiamento veniva indossato per tutte le ore di permanenza a bordo, in condizioni difficili e pesanti da sostenere.
 
La necessità di avere costante attenzione per evitare di contaminarsi, l’impossibilità di una vita normale (nei pochi rientri a casa le colleghe erano in condizione di isolamento evitando contatti stretti con i familiari) hanno sicuramente messo a dura prova il fisico e il morale, sino ed oltre la fine degli interventi, in data 16 Maggio.
 
Nonostante tutto il lavoro svolto e le relazioni inviate al termine degli interventi, solo da parte delle Autorità locali si è avuto un sostegno e un riconoscimento; esclusa la solidarietà interpersonale con i Colleghi dell’Ufficio di coordinamento USMAF, nessun feedback si è avuto dalla nostra Istituzione.
 
La protagonista della storia è ancora l’unico medico in servizio 7 giorni su 7 e 24 ore su 24 in un ufficio di sole 4 persone (prima erano in 9): occorrerebbero Medici, Tecnici, Personale amministrativo per portare avanti le pratiche di competenza, ma non ci sono.
Il suo aiuto Medico, alla scadenza del contratto temporaneo, ha scelto un diverso percorso professionale, ben più gratificante.
 
L’emergenza ha peggiorato una situazione di carenza cronica di risorse, nonostante i concorsi espletati non si sono ancora ottenute assunzioni per la nostra sede periferica. Oltre a fare il Medico operativo sul campo, bisogna occuparsi di contabilità, di statistiche e di tutte le pratiche amministrative non di competenza medica ed è impossibile seguire tutto.
Sono sopraggiunti anche problemi di salute, ma la collega non si è fermata per non creare disservizi.
 
Tutto questo è stato svolto in silenzio, senza clamore; molti altri hanno affrontato una difficile battaglia, senza appoggi se non dal locale Direttore USMAF che ha lavorato incessantemente con i medici.
 
Di fronte a questo racconto ci chiediamo: se il Ministero della Salute non riconosce e valorizza la propria dirigenza sanitaria, in tutti questi anni per cosa abbiamo lavorato?
 
Pensiamo che si debba ripartire da una vera strategia che ponga al centro il lavoro, dove la competenza e l’efficienza vengano premiate, dove vi sia una reale organizzazione e non solo singoli che devono costantemente soccorrere le carenze di sistema con iniziative personali, buona volontà e grande senso del dovere.
Siamo Uomini e Donne dello Stato e questo ci deve essere riconosciuto.
 
Dobbiamo essere credibili, seri ed autorevoli a tutti i livelli, perché si funziona e si è credibili solo se tutti fanno la propria parte.
Il senso di appartenenza è fondamentale per legare le persone ad un obiettivo comune, per renderle partecipi.
 
La gratificazione nasce anche da questo, sentirsi utili e parte di un progetto comune ma se nessuno sa cosa facciamo e come siamo organizzati vuol dire che in tutti questi anni il nostro lavoro non è stato mai visto.
 
E’ vero, lavoriamo in silenzio senza clamore e quindi forse non ci si rende conto del grande lavoro che facciamo; allora lo raccontiamo. Partiamo da qui e continueremo a farci sentire. Intanto continua il nostro stato di agitazione permanente.
 
I Dirigenti sanitari del ministero della Salute associati Assomed Sivemp

22 marzo 2021
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