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Insinna. Noi infermieri "stronzi" dall'altra parte del vetro

di Maria Accotard

12 GIU - Gentile Direttore,
sono rimasta colpita, come la maggior parte dei colleghi infermieri con cui mi sono confrontata, sulla cattiveria delle parole utilizzate dal sig.Insinna, nel descrivere una situazione, sebbene empaticamente condivisibile dal lato emotivo, e su come si accanisce sul professionista che sta lavorando, che esegue ordini impartiti dal suo Primario e dalla Direzione Sanitaria di quello specifico reparto di Rianimazione.
 
Ho lavorato dieci anni presso il Centro Grandi Ustionati di Torino, reparto non solo di terapia intensiva, ma anche di isolamento. I parenti, per un'ora al giorno possono approcciarsi ai loro cari da dietro un vetro e parlare con loro attraverso un interfono.
In molte situazioni, il paziente, non può o non riesce a parlare o vedere chi c'è dall'altra parte della vetrata, gli infermieri sono il tramite, al filo di voce o al cenno della mano o degli occhi del paziente verso il proprio caro, nel ripetere per lui"..ha detto che gli manchi...che ti ama...che vorrebbe vedere i bambini...che ti perdona...che ti bacia...ecc".
Altre volte con il paziente in coma farmacologico mi è stato chiesto di dargli una carezza, di stringergli forte la mano...al posto del parente che fisicamente non poteva farlo.
 
Quante volte con una morsa al cuore ho dovuto abbassare di corsa le tapparelle di quella stanza dove il parente aveva fatto chilometri per vedere il proprio caro, perchè sopraggiungeva un'emergenza improvvisa per poter agire con urgenza sull'emergenza sopravvenuta. Quante volte, e con quanto dispiacere.
Nel nostro reparto noi infermieri "stronzi" ci siamo mille volte battuti per far "entrare" un parente all'interno della stanza di degenza perché lo ritenevamo di estrema importanza per il miglioramento delle condizioni di quel paziente, tante volte abbiamo vinto, altre per problemi di gravi infezioni, non ci siamo riusciti. Ma non siamo noi che dirigiamo il sistema, noi lavoriamo, 24 ore su 24 con queste persone, siamo la loro famiglia, asciughiamo le loro lacrime, li laviamo e li teniamo in ordine, rispettando la loro dignità di persona e di ammalato, soffrimo le perdite al fianco dei loro cari, portiamo quelle notizie che alcune volte vengono considerate non rilevanti da parte dei medici, ma che danno un filo di speranza ai parenti che si sentono indifesi, impotenti ad ogni azione, come: " ...oggi ha mangiato,... è riuscito a bere da solo,...è riuscito a dire qualche parola,...si è messo seduto o ha fatto qualche passo nella stanza".
 
Sono stata vicino a quei pazienti con tutta la professionalità e umanità che faceva parte di me, che mi sono avvicinata alla professione all'età di 38 anni e ancora oggi a distanza di 20 anni sono ancora orgogliosa di svolgere, con la stessa passione, gli stessi sentimenti che mi animavano fin dai primi anni.
Dispiace leggere "quelle parole" che non onorano il lavoro e la dedizione di tanti colleghi professionisti.

Maria Accotard
C.P.S.I. in servizio presso la Centrale Operativa 118 di Torino

 

12 giugno 2012
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