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Separare vaccini e scuola. Per una società inclusiva

25 MAG - Gentile Direttore
la vigente legge n. 119 del 2017 impone, come è noto, l’obbligatorietà di dieci vaccinazioni per i minori di età compresa tra zero e sedici anni; in base a tale legge i minori non vaccinati in età prescolare (da zero a sei anni) sono esclusi da asili nido e scuole dell’infanzia, mentre per i minori non vaccinati in età scolare fino a sedici anni (dalla scuola primaria in poi) è prevista una sanzione amministrativa di natura pecuniaria fino a un massimo di 500 euro (ma in tal caso il minore può comunque accedere a scuola e sostenere gli esami). La Corte costituzionale, con sentenza n. 5 del 2018, ha ritenuto la legge n. 119 del 2017 non in contrasto con la Costituzione, respingendo, per non fondatezza, inammissibilità o cessata materia del contendere, le diverse questioni di legittimità costituzionale promosse in via principale dalla Regione Veneto.

Non intendo affermare che da un punto di vista giuridico la legge n. 119 del 2017 sia in contrasto con la Costituzione, quello che intendo affermare è che da un punto di vista politico vi sia l’esigenza di superare l’esclusione dagli asili nido e dalle scuole dell’infanzia dei minori non vaccinati e di attenuare il coinvolgimento delle scuole nell’applicazione della legge in parola.

Per comprendere perché vi sia tale esigenza dobbiamo chiederci: che società vogliamo? Vogliamo una società che garantisca ai cittadini la massima sfera di libertà possibile e che prenda sul serio il principio di non discriminazione? Oppure vogliamo una società che restringa le libertà e che non abbia alcuna remora a discriminare le persone sulla base per esempio delle condizioni personali o delle opinioni politiche?

Si tratta di due modelli opposti di società: il primo di ispirazione liberale e democratica, il secondo di ispirazione autoritaria. La tradizione politica italiana, dal secondo dopoguerra in poi e sia pur con fatica e non senza battute di arresto, ha cercato di tendere verso un modello di società che garantisca la massima sfera di libertà, che riconosca il valore della libertà di autodeterminazione e che rispetti massimamente il principio di non discriminazione.

Vediamo tutto questo all’opera, per esempio, nella grande stagione di riforme che ha caratterizzato gli anni Settanta, ma lo vediamo all’opera anche nell’ambito della legislazione sulle vaccinazioni con quel decreto del presidente della Repubblica n. 355 del 1999 grazie al quale la mancata presentazione della certificazione relativa all’effettuazione delle quattro vaccinazioni allora obbligatorie non comportava più il previsto rifiuto di ammissione dell’alunno alla scuola dell’obbligo (e anche alle comunità infantili come gli asili nido).

E di un certo modello di società fa parte integrante anche la scuola, una scuola che la nostra migliore tradizione politica ha sempre voluto, sin dai tempi dell’Assemblea costituente, come luogo di libertà, inclusivo e aperto a tutti, come anche ricordano gli articoli 33 (libertà di insegnamento) e 34 (scuola aperta a tutti) della Costituzione.

La scuola (che intendo qui in senso lato, dall’asilo nido in poi) è stata oggettivamente trasformata dalla legge Lorenzin in luogo di esclusione (in senso tecnico e comunque la si pensi al riguardo) per una certa categoria di persone, i minori “non vaccinati” da zero a sei anni, e quindi di discriminazione. Non solo, per rispondere agli obblighi imposti da tale legge, le scuole si sono dovute trasformare in un “meccanismo di controllo” pervasivo e capillare, che finisce per snaturare il “senso” stesso dell’istituzione scolastica e per renderla strutturalmente incapace di essere luogo di accoglienza per tutti i cittadini.

L’esclusione dei minori non vaccinati e la trasformazione delle scuole in strumenti di controllo pervasivo non sono una necessità ineluttabile, ma una scelta politica che ci parla del modello di società verso il quale vogliamo tendere. Lasciando da parte i paesi europei la cui legislazione non prevede alcun obbligo vaccinale per i minori, vorrei ricordare il caso della più grande e antica democrazia del mondo, gli Stati Uniti: in quasi tutti gli Stati vi sono vaccinazioni pediatriche obbligatorie, ma sono anche ampiamente ammesse esenzioni non mediche all’obbligo vaccinale, note come “lawful exemptions” o “non-medical vaccine exemptions”, ossia esenzioni all’obbligo vaccinale per motivi religiosi o anche per motivi filosofici, personali, morali.

In conclusione, è empiricamente possibile separare “scuola” e “vaccinazioni” senza alcun pericolo per la salute pubblica, lo dimostrano gli Stati Uniti, lo dimostrano diversi Stati europei e lo dimostrava l’Italia prima del 2017.

Cambiare il modello impositivo della legge n. 119 del 2017 verso un modello non impositivo appare una scelta politica possibile e in grado realizzare un auspicabile diritto mite in materia di vaccinazioni obbligatorie, capace di rispettare i diritti di tutti, minoranze comprese, e di essere luogo di conciliazione delle diversità presenti nella società, come già scrivevo in quel volume di ispirazione liberale e libertaria – La libertà di (non) vaccinarsi – che pubblicavo nel 2021.

Alessandro A. Negroni
Filosofo del diritto, Università di Genova

25 maggio 2023
© Riproduzione riservata

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