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Processo alle carni rosse. Il dibattito non è ancora chiuso

23 APR - Gentile Direttore,
Quotidiano Sanità ha pubblicato l’articolo “Cancro. Gli esperti riuniti dall’Ordine dei Medici di Milano assolvono le carni rosse. Ma ne è sconsigliato l’abuso”.Il merito dell’iniziativa, originale e di successo, è dell’OMCeO di Milano, del suo Presidente Dott. Roberto Carlo Rossi e di chi la ha organizzata, e la sentenza va naturalmente accettata.
 
Sento però il bisogno di fare alcune precisazioni, dato che ho preso parte all’evento approfondendo il tema come consulente tecnico del Pubblico Ministero. L’articolo di QS, come altri, ha affermato: “Molte le argomentazioni a sostegno dell’accusa portate nel dibattimento dal PM, sostanzialmente riassunte dalla presa di posizione dell'International Agency for Research on Cancer (IARC) di Lione, un'agenzia dell'Organizzazione mondiale della Sanità che, lo scorso Ottobre, ha valutato e classificato le prove di cancerogenicità delle sostanze, definendo la carne rossa come probabilmente cancerogena”.
 
L’affermazione è molto riduttiva, per vari motivi. Il primo è che le conclusioni IARC, sulla cancerogenicità “certa” per la carne trasformata e “probabile” per la carne rossa (in questo caso soprattutto per il cancro intestinale, ma con associazioni rilevate anche per i cancri di pancreas e prostata) non hanno costituito il principale argomento dell’accusa. Anzi, se si considerano gli effetti sulla salute umana, sintetizzati dalla mortalità per causa, la tabella presentata con dati ricavati dalla ricerca EPIC, su quasi 450 mila europei di 10 paesi, Italia inclusa (Rohrmann S et al. Meat consumption and mortality - results from the European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition. BMC Medicine 2013, 11:63 doi: 10.1186/1741-7015-11-63 http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3599112/), mostra che ogni 100 g al dì di carne rossa si associano a un aumento tendenziale delle altre cause di morte, a partire dalle cardiovascolari, mentre proprio le morti tumorali apparentemente non si modificano.
 

 
Il secondo è che i DANNI AMBIENTALI della produzione di carne, soprattutto da allevamenti intensivi di bovini e suini, non hanno solo pesanti riflessi sul clima e sull’inquinamento delle acque, del suolo e sulla sostenibilità ambientale, ma anche riflessi indiretti sulla salute il cui peso si stima vicino a quello diretto di un eccesso di carni e di un parallelo difetto di frutta, verdura e legumi (Springmann M et al. Analysis and valuation of the health and climate change cobenefits of dietarychange. PNAS 2016;113:4146–51).
 
Il terzo è che una revisione critica delle metanalisi realizzate sul tema, appena pubblicata da autori italiani (Lippi G et al. Meat consumption and cancer risk: a critical review of published meta-analyses. Crit Rev Oncol Hematol 2016; 97:1-14) mostra in realtà che consumi più elevate di carne rossa hanno un’associazione significativa, o almeno tendenziale, anche con l’incidenza di gran parte dei tumori. L’illustrazione riprodotta riporta graficamente sull’indice la presenza rilevata delle suddette associazioni.
 

 
 
Il quarto è che l’argomento, molto utilizzato, dell’assenza di studi clinici randomizzati controllati (RCT) in grado di provare definitivamente un nesso causale, non dovrebbe essere invocato per alimenti di comune impiego, che non sono certo portatori di tossicità acuta, ma possono essere potenzialmente in grado di dare effetti avversi a lungo termine, proporzionali alla dose consumata. Per fattori di questo genere è quasi improponibile un classico RCT, e forse non lo si farà mai. 
 
Anche per il fumo di tabacco le prove dei suoi effetti avversi sulla salute, considerate ormai incontrovertibili, non si basano su metanalisi di RCT, ma su un’enorme quantità di studi osservazionali di buon livello, coerenti con i criteri proposti per stabilire la causalità in studi non randomizzati.
 
Il quinto è che se, come ha fatto anche il Ministero della Salute, “si raccomanda  di evitare un consumo eccessivo di carne, sia fresca che trasformata”, occorre tentare di definire in modo quantitativo in cosa consista un consumo eccessivo.
In questo esercizio di concretezza può aiutare il monumentale Rapporto Food, Nutrition, Physical Activity, and the Prevention of Cancer del WCRF e dell’American Institute for Cancer Research,completato nel 2017, che ha coinvolto anche OMS e FAO e oltre 260 scienziati leader mondiali nei campi dell’epidemiologia dei tumori, della biologia del cancro, della nutrizione e sanità pubblica (inclusi molti italiani).
 
Nel Rapporto si legge a pag. 382 la Raccomandazione 5: “Limitare l’intake di carne rossa ed evitare quella trasformata”. “L’obiettivo per la salute pubblica è che il consumo complessivo di carne rossa NON SUPERI I 300 G A SETTIMANA, di  cui ben poca (o niente) sia carne trasformata”.
L’ultima rigorosa e ufficiale indagine nazionale italiana, effettuata dall’INRAN, oggi CREA, è Leclercq C et al. The Italian National Food Consumption Survey INRAN-SCAI 2005–06: main results in terms of food consumption. Public Health Nutrition 2009; 1-29).
 
Dai dati ufficiali che riporta, l’intake medio di tutta la popolazione (maschi e femmine di tutte le età) è di poco superiore ai 600 g a settimana dell’insieme di carne rossa fresca, trasformata e frattaglie, escluse le carni bianche non trasformate e il pesce. Dunque un intake doppio rispetto a un obiettivo mondiale professato di sanità pubblica, a differenza di quanto alcuni periti hanno affermato nel corso del Processo simulato.
 
Nel suddetto Rapporto 2007 (cui il pronunciamento IARC non ha aggiunto molto) l’obiettivo riferito a singoli individui è comunque di restare sotto ai 500 g/settimana dell’insieme di carne trasformata (da ridurre al minimo) e carne rossa fresca (ndr: in cui potrebbero rientrare anche alcune eccellenze italiane nella carne lavorata, con minimo uso di quegli elementi potenzialmente rischiosi che connotano la carne trasformata). Anche in questo caso è facile capire dai dati medi di intake che una proporzione sostanziale della popolazione italiana supera, anche di molto, i 500 g a settimana.
 
Dunque, al di là dell’interessante formula mediatica del Processo simulato e della sua prima conclusione, chi ha la missione di occuparsi della salute pubblica e di quella individuale dei propri assistiti non può certo considerare esaurito il dibattito sulla salubrità delle carni.
 
Dott. Alberto Donzelli 
Esperto di Sanità Pubblica

23 aprile 2016
© Riproduzione riservata

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