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Elezioni Lombardia/1. Le risposte di Fontana (Lega), Gori (PD) alle 10 domande dell’Anaao

Personale e relativa spesa, posti letto, liste d’attesa, rapporto sanità pubblica e privata, intramoenia, spesa per i Lea, autonomia della sanità lombarda, meritocrazia, presa in carico dei pazienti cronici, e management. Questi gli argomenti su cui i dirigenti medici e sanitari interrogano hanno interrogato i quattro principali candidati alla presidenza della Regione. Ecco le risposte di Fontana (Lega) e Gori (PD).

23 FEB - Lo scorso 14 febbraio l'Anaao Assomed, sindacato della Dirigenza Medica e Sanitaria, ha deciso, in Lombardia, di dare il suo contributo alle elezioni regionali inviando un pacchetto di dieci domande "semplici e dirette" ai quattro principali candidati alla presidenza della Regione Attilio Fontana (Lega), Giorgio Gori (PD), Onorio Rosati (LeU) e Dario Violi (M5S)
 
Ecco le risposte di Fontana (Lega) e Gori (PD).
 
Il numero di Medici Ospedalieri (e Sanitari in generale) in Lombardia è il più basso d’Italia in rapporto al numero di abitanti della Regione così come la relativa spesa Cosa intende fare? Ritiene di apportare opportuni correttivi?
 
 Attilio Fontana (Lega): "Oggi le norme nazionali (leggi di stabilità) che siamo obbligati a rispettare prevedono dei rigidi limiti di spesa per singoli comparti (personale, farmaci, dispositivi personale medico ed infermieristico, beni e servizi, prestazioni di ricovero e di specialistica ambulatoriale acquistate presso erogatori privati). Occorre insistere presso il governo centrale affinchè avvenga lo sblocco dei limiti alle assunzioni; al termine del percorso di autonomia, saremo in grado impiegare le nostre risorse anche per questo scopo".
 

 
 Giorgio Gori (PD): "I medici e il personale sanitario sono certamente la risorsa umana più importante per il sistema sanitario regionale e va tutelata. Il paziente sceglie un ospedale perché conosce e stima il medico che ci lavora. Oggi abbiamo certamente settori in cui la figura del medico è sotto pressione: difficoltà a mantenere la legge sui riposi, turni massacranti e , per il paziente, tempi di attesa che lievitano. D’altra parte sapete bene che lo stato ha posto vincoli di assunzione che Regione Lombardia già supera: non basta quindi voler assumere per poterlo fare. Io credo però che nonostante questa realtà e questi vincoli si possa ottenere un risultato migliore, soprattutto se lavoriamo insieme a voi, con trasparenza e senza demagogia. Come regione, e sapete come la penso sull’autonomia, penso sia giusto rivendicare con più forza il vincolo sui limiti per le assunzioni: chi rispetta il bilancio e l’erogazione dei LEA deve potersi assumere pienamente tutte le leve per poter organizzare nel miglior modo il sistema. Ssono certo che sareste i primi a segnalarmi aree dove poter effettuare risparmi da reinvestire in assunzioni. Inoltre la stessa indagine cui fate riferimento, fa presente che in Lombardia c’è un po’ troppo personale amministrativo: dobbiamo capire perché, e favorire una maggiore aggregazione di questi servizi. Pensiamo alle strutture che si occupano degli stipendi, o degli approvvigionamenti o della formazione. Pensiamo a parte del sistema informativo. Quindi a parità di budget per il personale, vi è la possibilità di utilizzarlo meglio. Dobbiamo avere il coraggio, insieme, di rimodulare la rete di assistenza: non tutti i presidi possono fare tutto e lo sforzo sarà di mantenerli comunque affrontando però nuovi bisogni. Io penso che una rete equilibrata permette di avere standard di dotazioni equilibrate. In ogni caso un problema così complesso non lo si può affrontare che insieme e devo riconoscere che il vostro sindacato, pur facendo la propria parte, ha sempre assunto posizioni di grande responsabilità".

Il numero dei posti letto per acuti in Lombardia è inferiore a quanto previsto dalla normativa (3.0 per mille abitanti) in 4 ATS su 8. Pensa sia un problema?
 
 Attilio Fontana (Lega): "Il tasso di posti letto nel complesso, comprendendo anche la riabilitazione, raggiunge il limite massimo permesso dalla normativa nazionale di 3,7 posti letto medi regionali ogni 1000 abitanti. Non è possibile aumentare i posti letto senza ridurli dove superano l’indice, perché ad essere valutata è la media regionale. Aumentarli, d’altra parte, non è la soluzione: negli ultimi anni, pur a fronte di un aumento della popolazione, i ricoveri si stanno progressivamente riducendo a fronte di un aumento delle attività erogate ambulatorialmente. A ciò va aggiunto anche il fatto che le persone per scegliere le strutture dove ricoverarsi non seguono il criterio amministrativo della ATS territoriale di residenza, ma criteri di vicinanza al domicilio e di preferenza del medico (in una raggio di 10 chilometri dal domicilio molti lombardi possono raggiungere fino a 2 provincie diverse da quella in cui risiedono)".
 
Giorgio Gori (PD): "Sono dati da leggere con attenzione: è ovvio che le metropoli più grandi (Milano e Brescia) abbiano indici superiori e se poi sommiamo i letti per acuti a quelli riabilitativi osserviamo che vi è forse anche un modesto eccesso di offerta, che però non ritengo sia mai stato imputato dal governo a regione. Penso che quindi il tema vero sia quello di avere il giusto mix di offerta che, all’interno di un territorio, possa essere utilizzato effettivamente e rispondere ai bisogni reali dei cittadini. Non è semplice e si scontra con convinzioni molto radicate, per questo è importante lavorare insieme ai professionisti, partendo però da una base condivisa del punto a cui si vuole tendere".
 
 
Liste di attesa: quali le cause e quali i correttivi?
 
 Attilio Fontana (Lega): "In molte situazioni il tempo di attesa lungo è causato dal fatto che la domanda si concentra rispetto a poche strutture mentre sul territorio ve ne solo altre che per le stesse prestazioni hanno disponibilità ravvicinate nel tempo. Da un mese è attivo il sito sul quale è possibile consultare il primo posto disponibile per visite o esami specialistici presso le strutture sanitarie pubbliche e private accreditate della Regione Lombardia e questo strumento potrà essere di grande aiuto per orientare in modo più consapevole le scelte dei cittadini. Sia per quanto riguarda queste prestazioni che per alcune attività di ricovero il tema deve essere affrontato promuovendo, in una rinnovata alleanza tra regione e professionisti, l’appropriatezza e la corretta conoscenza dell’offerta di servizi da parte deicittadini.
La riduzione delle liste di attesa passa necessariamente anche dalla trasparenza delle agende e, per quanto riguarda anche i Pronto Soccorso, dall’utilizzo dello sperimentato numero 116-117 per per le cure mediche non urgenti. Attraverso l’implementazione di questo servizio si potrà contribuire a un netto decongestionamento delle strutture di Pronto Soccorso, soprattutto in alcuni periodi dell’anno.
Va anche detto che il tema dei tempi di attesa è molto articolato: partendo dalle attività ambulatoriali voglio rilevare che tutte le prestazioni di laboratorio analisi, che rappresentano il 65% delle attività di specialistica ambulatoriale, in Lombardia vengono garantite dal 1997 a presentazione diretta del cittadino mentre in regioni vicine (Piemonte ed Emilia Romagna) vengono ancora prenotate. È evidente che alla comodità del cittadino di presentazione diretta corrisponde necessariamente l’attesa della prestazione, che può essere ridotta in parte con la disponibilità di un maggior numero dioperatori".

 Giorgio Gori (PD): "Le liste d’attesa costituiscono oggi una vera emergenza della sanità lombarda. I tempi stabiliti con un atto della Regione, e che avrebbero dovuto essere garantiti per il 95% dei pazienti, sono disattesi nella maggior parte delle strutture. Il progetto “Ambulatori aperti”, che secondo la Giunta Maroni doveva essere la soluzione, non ha avuto alcun impatto sul problema perché non è stato fatto un adeguato investimento organizzativo ed economico. Affrontare, per risolvere, il problema delle liste di attesa richiede una serie di interventi fra loro integrati e una forte attenzione politica del sistema regionale che in questi anni è mancata. Va quindi previsto un piano straordinario di azzeramento delle liste di attesa, anche alla luce delle esperienze positive già attuate in altre regioni.
Proposte:
•  aumentare l’offerta di prime visite specialistiche ed esami strumentali con tempi attesa critici, anche attraverso l'arruolamento di nuovi specialisti, per garantire ai cittadini una diagnosi tempestiva e una più rapida presa in carico;
•  sistema di monitoraggio dell’offerta e delle attese in tempo reale con la costituzione di una agenda unica per tutti gli erogatori pubblici e privati accreditati consultabile anche dall’utente;
•  l’estensione e semplificazione dell’utilizzo di tutti i canali di prenotazione (call center, web, farmacie territoriali, sportelli) per facilitare l’accesso al cittadino;
•  Indicatore preponderante per la valutazione dei direttori generali correlato al risultato sulle liste di attesa.

Il Privato accreditato in Lombardia non è né integrativo né sostitutivo, bensì paritario rispetto al Pubblico, nonostante la differente offerta di Servizi soprattutto per l’Emergenza/Urgenza. Non sarebbe più corretto rivedere i requisiti di accreditamento?
 
 Attilio Fontana (Lega): "Rispondo dando degli elementi di contesto che non confermano quanto affermato nella domanda. Il soggetti erogatori di diritto privato giocano la loro parte anche su ambiti di “base” ma essenziali e vitali per il sistema quali le attività di emergenza urgenza e quelle ambulatoriali. Il 44% delle attività ambulatoriali (circa 62 milioni di ricette annuali) sono garantite da strutture di diritto privato ed il 22,5% degli accessi di pronto soccorso avvengono presso strutture di diritto privato. La partecipazione del privato alla rete dell’emergenza urgenza è molto simile, in termini percentuali, a quella che registra nelle attività di ricovero. Il 25% dei pazienti che vengono ricoverati lo sono infatti presso strutture di diritto privato. Questi dati confermano un coinvolgimento di pari intensità del privato sia nelle attività programmabili sia in quelle di emergenza urgenza. Concludo evidenziando che coinvolgimento del privato nella rete dell’emergenza urgenza e delle attività ambulatoriali con una logica paritaria e non suppletiva è esclusivo di regione Lombardia e non ha pari sul territorionazionale".

 Giorgio Gori (PD): "Mi sento di dire che non possiamo generalizzare, perchè nella nostra Regione oggi ci sono anche ospedali privati accreditati che hanno il DEA e forse anche EAS. Il principale pronto soccorso di Milano Est per esempio è certamente il San Raffaele. E' vero però che è necessario garantire un sistema di controllo ferreo che faccia sì che l’accesso a queste strutture non sia disincentivato o filtrato. Va poi finalmente ripensata in modo globale le rete di emergenza e, insieme ad AREU, anche migliorata la rete di trasporto: sappiano tutti che ci sono pronti soccorsi che non sono in grado di svolgere con qualità il loro ruolo e che, in alcune situazioni, è più opportuno un trasporto efficiente e veloce verso strutture attrezzate, che l’illusione di un presidio locale che poi si rileva inefficiente.
Più in generale condivido l’idea che a parità di possibilità occorrano parità di condizioni fra pubblico e privato. I contratti dei lavoratori del privato vanno, almeno gradualmente, allineati a quelli del pubblico e i contratti con le strutture devono indicare che cose ci si attende che una struttura eroghi per il proprio territorio".

La libera professione intramoenia in Lombardia vale il 6 % delle prestazioni in rapporto al 94 % effettuate in regime istituzionale. È da abolire o incentivare a vantaggio del cittadino e competere con i soggetti privati?
 
 Attilio Fontana (Lega): "La libera professione intramuraria dei medici, se non va a detrimento delle attività istituzionali, rappresenta una risorsa per il sistema pubblico ed una importante opportunità di libertà di scelta offerta ai cittadini che possono così scegliere anche i numerosi ottimi professionisti delle strutture pubbliche che hanno scelto l’esclusività di rapporto con il servizio sanitario regionale".
 
 
 

 Giorgio Gori (PD): "Su una cosa siamo d’accordo tutti: che il 5% dei proventi della libera professione, come la legge dispone, siano impiegati per aumentare l’offerta in regime istituzionale. Oggi non avviene io mi impegno a farlo, anche attraverso assunzioni di giovani medici per abbattere le liste di attesa. Passiamo poi al vostro quesito e permettetemi di estenderlo non solo alla libera professione intramoenia ma a tutte le prestazioni che i cittadini comprano di tasca propria da ospedali pubblici e privati. Escludendo le spese odontoiatriche, i ticket e tutto quanto non attiene alle prestazioni ambulatoriali, i lombardi spendono oltre 1 miliardo e mezzo di euro di tasca propria per comprare prestazioni ambulatoriali: i 4/5 di queste prestazioni vengono però effettuate dal sistema privato, e solo un quinto dai medici del sistema pubblico che optano per la libera professione intramuraria. Il fondo sanitario non potrà crescere quanto i bisogni imporrebbero, e quindi dobbiamo trovare altre fonti di entrata: per questo nel mio programma ho proposto di incentivare programmi di welfare aziendale perché si rafforzi il canale di sanità integrativa e possano giungere più risorse al sistema sanitario nel suo complesso. Penso che sia stupido, come qualcuno fa, demonizzare la libera professione quando fa parte di uno dei canali per accedere ad una prestazione, e permette ai medici ospedalieri di poter avere un incremento del proprio stipendio".

Quanto alla ripartizione della spesa per i Lea, la normativa vigente non è rispettata da Regione Lombardia. Ciononostante l’assistenza territoriale continua ad essere deficitaria, quella ospedaliera in grave crisi di finanziamento (qualcuno continua a parlare di sanità ospedalocentrica) e la Prevenzione sottofinanziata.
 
 Attilio Fontana (Lega): "I medici specialisti e gli MMG, se non intervengono dei radicali cambiamenti nella programmazione degli accessi alla facoltà di medicina ed alle scuole di specializzazione che oggi è di competenza esclusiva dello stato, si ridurranno in un modo drammatico nel medio termine e quindi l’obiettivo da perseguire è quello della riorganizzazione dei servizi favorendo l’integrazione degli attori del sistema sfruttando le enormi possibilità che sono offerte dalla tecnologia informatica, dalla telemedicina e dall’alta programmabilità condivisa delle attività rese ai pazienti affetti da patologie croniche.
Le parole chiave della riorganizzazione del sistema sanitario lombardo sono infatti integrazione, struttura a rete dell’assistenza e personalizzazione della cura. Il nuovo modello organizzativo sanitario regionale si pone il fine di sviluppare un innovativo sistema di presa in carico, che permetta ai pazienti di avere, come interlocutore nel percorso di cura e/o di assistenza, un unico soggetto, in grado di assicurare la presa in carico complessiva del bisogno, superando la frammentazione dei percorsi di cura e le difficoltà di prenotazione e di accesso ai servizi.
La soluzione quindi non può essere quella che si fonda quasi esclusivamente sull’aggiunta di strutture (vedi case della salute in Emilia) perché rischia di aumentare la divisione tra MMG e specialisti (gli specialisti che stanno prevalentemente in ospedale e gli MMG che stanno nei loro studi), ma quella che garantisce il percorso dei pazienti in tempi ed in modi certi anche senza costruire necessariamente dei nuovi luoghi che
sono comunque garantiti dalla nostra legge 23/2015 tramite la riconversione di strutture già esistenti in POT e PRESST.
Tengo poi ad evidenziare una parte importante del nostro programma: siamo convinti che la prevenzione sia innanzitutto una via verso il risparmio delle risorse del domani e per avere condizioni di salute migliori: per questo motivo siamo pronti a investirne di più oggi: il nostro obiettivo è che si possa destinare alla prevenzione fino a 1 miliardo di euro, già a partire da questa legislatura. Vogliamo attribuire alla prevenzione e ai corretti stili di vita un ruolo sempre più determinante: essa deve essere pervasiva di ogni politica, da quella ambientale e delle infrastrutture, da quella sanitaria a quella sociale, solo per citare alcuni esempi".

Giorgio Gori (PD): "I parametri nazionali indicati rappresentano standard per la spesa per prevenzione, per assistenza territoriale e la spesa ospedaliera. Vanno quindi considerati non un diktat ma un riferimento, soprattutto per regioni come la nostra che rivendicano l’autonomia nell’organizzazione della spesa e vogliono invece essere giudicate sui risultati di salute ottenuti. Penso anche che dovremmo riuscire a non mettere in contrapposizione ospedale e territorio a contendersi le risorse perchè oggi, sempre di più, il trattamento di pazienti complessi richiede prima l’ospedale e poi una gestione territoriale. Sono richiesti quindi percorsi integrati con professionisti che devono sapersi parlare e che devono poter disporre di tutto quello che serve per lavorare bene, Questo è il sistema che mi piacerebbe costruire".

 
Più autonomia per la sanità lombarda. Questa è una delle richieste al Governo in applicazione del Titolo V della Costituzione. Quali vantaggi?
 
 Attilio Fontana (Lega): "I vantaggi dal punto di vista economico potranno essere quelli di avere un accesso predefinito e certo ad aliquote di alcune tassazioni dirette e/o indirette. Dal punto di vista organizzativo e gestionale i vantaggi saranno rappresentati dalla possibilità di gestire in modo flessibile le diverse voci di spesa, compresa quella del personale, di avere più autonomia nel definire i numeri degli specializzandi, degli MMG ed il loro coinvolgimento nel contesto del servizio sanitarioregionale".
 
 
 
 Giorgio Gori (PD): "Nient’altro di quanto la costituzione oggi prevede. Una piena autonomia responsabile nell’utilizzare le leve di programmazione e organizzative senza tagliole nazionali che possono valere per le regioni in piano di rientro ma non per noi. E una valutazione che tenga conto della qualità dell’offerta erogata anche quando si tratta di ripartire le risorse del fondo sanitario nazionale".
 
 
 

Lo sconfinamento della politica in campo sanitario è un fatto innegabile. Quali rimedi?
 
 Attilio Fontana (Lega): "L’amministrazione regionale è la garante della regolazione e del buon funzionamento del servizio sanitario regionale ed ha un ruolo decisivo ed esclusivo, da azionista al 100%, nella gestione delle ATS e degli ospedali pubblici. Quindi deve esserci per forza e lo deve fare al meglio. La sanità ormai arriva a pesare per l’82% sull’intero bilancio regionale. Non ritengo però che sia intromissione negli elementi specifici di organizzazione e di gestione interni alle aziende. La giunta stabilisce le regole del sistema e poi sta alle aziende realizzarle adeguandole al meglio alle necessità ed alle realtà locali. C’è una sola cosa da fare: definire sempre regole chiare che abbiano come unico obiettivo il bene comune ed il miglioramento delle condizioni di salute dei cittadini".
 
 
 Giorgio Gori (PD): "Io sogno un sistema democratico nel quale un’area politica che si candida al governo di una regione, indichi una serie di proposte ed impegni che intende assumersi. E se gli viene concessa dagli elettori la possibilità di governare, verrà valutata a sua capacità di aver rispettato quanto aveva proposto. E vorrei tanto che i nostri cittadini utilizzassero questo semplice modo per decidere chi votare.
In un sistema come questo avere la responsabilità delle scelte del management che guiderà gli ospedali deve rispondere esclusivamente alla loro capacità di attuare gli obiettivi che vengono assegnati. Non sceglierò mai un direttore generale per quello che vota ma solo per come sa lavorare. Oggi c'è un elenco nazionale con circa 800 professionisti da cui attingere, e in aggiunta nella nostra regione è prevista la definizione di una short list selezionata da una commissione indipendente che deve identificare i migliori profili per le esigenze di un sistema complesso come il nostro. Penso che, anche per i primariati, vada cambiato il passo. Si assegna un budget, e il direttore generale (e io spero con una lavoro collettivo e di intesa con il collegio di direzione e dal comitato dei sanitari che sono organi che dovrebbero a mio avviso avere un peso superiore) decide su quali posizioni investire. Penso ad un sistema degli obiettivi molto semplice e diretto, che appunto misuri la capacità del DG di ridurre i tempi di attesa nel suo territorio, di mantenere i conti in ordine, di migliorare la qualità del servizio".

In Regione Lombardia il 70% del bilancio della Sanità è assorbito dai pazienti cronici. Secondo la presa in carico del paziente cronico gli Ospedali (ASST) dal 15 gennaio sono chiamati a farsi carico di questa attività che va ad aggiungersi alle prestazioni istituzionali per Acuti. Lei ritiene che le nostre Strutture con gli organici depotenziati dai tagli lineari, siano in grado di assorbire questo nuovo incarico senza ripercussioni sulle liste di attesa ambulatoriali e sulla attività per acuti?
 
 Attilio Fontana (Lega): "Le parole chiave della riorganizzazione del sistema sanitario lombardo sono integrazione, struttura a rete dell’assistenza e personalizzazione della cura. Il nuovo modello organizzativo sanitario regionale si pone il fine di sviluppare un innovativo sistema di presa in carico, che permetta ai pazienti di avere, come interlocutore nel percorso di cura e/o di assistenza, un unico soggetto, in grado di assicurare la presa in carico complessiva del bisogno, superando la frammentazione dei percorsi di cura e le difficoltà di prenotazione e di accesso ai servizi. I pazienti affetti da patologie croniche li stiamo già seguendo tutti ma in modo destrutturato e gli ospedalieri non dovranno occuparsi neanche di una persona in più di quelle che già oggi vedono più volte all’anno in regime ambulatoriale. Ci sarà una fase breve di avvio del processo che potrà richiedere sforzi prevalentemente organizzativi ma dopo non si potrà che lavorare meglio con maggiore soddisfazione dei medici e dei pazienti".

 Giorgio Gori (PD): "Io penso che la riforma della cronicità, che per ora si è tradotta nella lettera di un assessore inviata in campagna elettorale ai 3,5 milioni di cronici lombardi, così come è scritta rischia di mettere in ginocchio l’organizzazione degli ospedali, e di peggiorare i servizi sia per gli acuti che per i cronici. Su quelle delibere dovremo rimettere mano radicalmente e non possiamo farlo se i professionisti, dai medici di medicina generali a quelli ospedalieri, non vengono coinvolti per trovare soluzioni. Sono loro che conoscono e vivono la realtà dei pazienti e queste non sono operazioni che si possono affrontate a tavolino o interrogando un data base. Penso anche, e vorrei confrontarmi con voi se ci sarà occasione, che sia più razionale affidare al medico di medicina generale il ruolo strategico di “gestore” di questo modello di presa in carico affinché rimanga responsabile primo della salute di tutti i pazienti con una o due patologie croniche (escludendo i 150mila cittadini con tre o più patologie che già oggi sono di fatto in carico alle Aziende sanitarie o alle RSA)".

Lei ritiene che, alla luce dei risultati attuali sia da rivedere l’assetto della Riforma Sanitaria Lombarda (Legge 23/2015)?
 
 Attilio Fontana (Lega): "Al momento credo occorra prendere in esame tutte le segnalazioni di operatori, territori, cittadini; la riforma
è in fase di avviamento, gli assetti territoriali stabiliti hanno tenuto conto di precise intenzioni volte alla riorganizzazione funzionale e il miglior impiego delle risorse. È chiaro che bisognerà monitorare e vedere in che misura l’attuale assetto sarà adeguato a rispondere efficacemente ed efficientemente alla presa in carico dei pazienti cronici, che rappresenta uno dei punti nodali della legge 23 stessa. L’avvio del nuovo percorso è iniziato a gennaio e quindi a fine anno potremo avere delle risposte concrete relativamente alla adeguatezza dell’attuale assetto del servizio sanitario lombardo".

 
 Giorgio Gori (PD): "La riforma ha diversi punti scritti male, discutibili: è stato un azzardo operare a tavolino una revisione delle aziende e costringere a completare un processo di riconversione che ha coinvolto 100.000 operatori in pochi mesi. E’ un errore continuare a procedere senza sperimentare, misurare gli effetti degli interventi che si propongono, e solo dopo estenderli ad un intero sistema che se no va inevitabilmente in sofferenza.
Ma non mi appassiona mettere il mio nome su una riforma. Voglio una sanità migliore e correggeremo anche la riforma, quando e nei punti in cui sarà necessario. Gran parte delle cose che proponiamo richiedono capacità di governo, non pervenuta nell’era Maroni, e non continui provvedimenti legislativi".

23 febbraio 2018
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