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Se il paziente non dà il consenso

16 APR - Gentile Direttore,
capisco le dotte ragioni apportate dai Proff. D. Rodriguez e A. Aprile nei loro articoli pubblicati di recente sul consenso informato, ma da vecchio ospedaliero, specialista in Anestesia e Rianimazione, sento di essere più vicino al commento su Facebook della collega Lia Iacoponelli, pubblicato in calce all’articolo del 10 aprile di D. Rodriguez.
 
Ho ancora il ricordo di alcuni anni fa di una giovane donna che dopo il parto ha avuto una grave emorragia. Sia lei che il marito testimoni di Geova.
 
Fin dall’inizio rifiutarono le trasfusioni, nonostante il mio Primario più volte si fosse prodigato a spiegare ad entrambi la situazione clinica, l’immediato pericolo di vita (emoglobina 4 g.%) per la giovane donna.
 
Coinvolti nella procedura anche il Direttore Sanitario e il Primario della Divisione di Ostetricia e Ginecologia.
 
All’ennesimo rifiuto da parte sia della donna che del marito, ci si è rivolti al Sostituto Procuratore della Repubblica, definendo la gravità del caso e aggiungendo ovviamente che l’unica possibilità per la salute e la vita della donna era la trasfusione di sangue.
 
Da parte del Sostituto Procuratore giunse parere favorevole e questo consentì al mio Primario in un clima molto teso a tornare alla carica per convincere i due giovani sposi. Nel frattempo la condizione clinica della giovane donna si era ulteriormente aggravata. Finalmente il marito, resosi conto che la situazione stava evolvendo al peggio, acconsentì alle trasfusioni con sollievo generale.
 
Le domande che si pongono, però, sono:
- Perché una persona per convinzioni religiose (o pseudo-religiose e non certo scientifiche) può opporsi ad una procedura salva-vita, programmata da un clinico laureato specialista e che esercita la professione da anni?
 
- Quanto è giusto che delle convinzioni religiose si oppongano e possano prevalere alle mie convinzioni religiose, che in un certo senso mi impongono di salvare la vita a chi è in grave difficoltà e non di lasciarlo morire?
 
- Se ci si affida al Servizio Sanitario Nazionale, si accettano gli ordinamenti che tale istituzione prevede in ottemperanza al miglioramento del proprio stato di salute e non a lasciarsi morire, altrimenti era meglio partorire a casa e accettare qualunque incidente di percorso, o mi sbaglio?
 
Il Prof. D. Rodriguez scrive perentoriamente alla fine del suo articolo: “In sintesi: la legge 219/2017 ribadisce il diritto della persona di rifiutare qualsiasi trasfusione anche qualora sussista pericolo per la vita.”
 
Non ho motivo per dubitare o contrastare tale diktat, ma ancora una volta sono d’accordo con la collega L. Iacoponelli circa la fuga dei giovani medici dalle branche di chirurgia e di anestesia e rianimazione, e aggiungo che si perpetua così la via per la medicina difensiva!

Dott. Rosario Carulli
Anestesia e Rianimazione
Ordine dei Medici – Prov. di Bergamo

16 aprile 2018
© Riproduzione riservata

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