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Cronicità. Perché la Lombardia rifiuta le AFT o UCP?

24 LUG - Gentile Direttore,
nessuno può negare l’evidenza. In questi ultimi decenni il numero di malati affetti da patologie croniche e fragilità sanitaria (anche se le definizioni e le relative complessità sono molto variabili) è esploso, per l’allungamento della vita media, per le diagnosi e terapie più efficaci e per il miglioramento generale delle condizioni igienico-sanitarie complessive. Inoltre i nuovi stili di vita e le problematiche ambientali hanno aumentato le cosiddette “nuove cronicità” (obesità, problemi respiratori) che necessitano di un’assistenza complessa e continua.

Di fronte a questa nuova “epidemia” di cronicità, tutti sistemi sanitari si stanno attrezzando per garantire percorsi di assistenza e sostegno che rispondano più adeguatamente ai nuovi bisogni di salute.

La Regione Lombardia ha recepito queste istanze ed ha messo in campo nuove regole per l’assistenza al malato cronico, contenute nella Legge Regionale (n. 23 dell’11/8/2015) di “Evoluzione del sistema sociosanitario lombardo” che prevede una classificazione delle cronicità a seconda della loro complessità e l’affidamento del percorso assistenziale di queste patologie ad un “gestore” sanitario (medico di famiglia associato in cooperativa, ospedale, centro privato accreditato).

Ma il fatto di “gestire” una patologia cronica e non “assistere” un paziente con tali problematiche, cambia radicalmente la prospettiva strategica e assistenziale della nostra Sanità. Se il problema è quello di curare con più efficacia e continuità questi pazienti occorre rinforzare e integrare maggiormente gli attuali operatori del SSN, prevedendo percorsi assistenziali “condivisi”, tra i medici di famiglia, gli specialisti ed i Centro ospedalieri pubblici o privati accreditati, in cui sia chiaro “chi fa che cosa”, mantenendo il livello di cura più vicino possibile alla realtà territoriale e di vita del paziente.

Se l’obiettivo invece è principalmente quello di aumentare l’efficienza del sistema sanitario attraverso la redazione di un PAI (piano assistenziale individuale) che preveda una serie di prestazioni, gestite da un centro servizi e svincolato (o separato) dall’assistenza di base allo stesso paziente da parte del Medico di Medicina Generale, non credo che alla fine il risultato finale possa essere una cura più integrata, efficace e umanizzata al paziente affetto da cronicità.

Il punto di partenza, per il miglioramento delle cure al paziente cronico, doveva essere invece il territorio, il medico di famiglia, il pediatra che, potenziati nella loro struttura professionale ed organizzativa, con supporti di tipo amministrativo ed infermieristico e collaborazioni specialistiche territoriali, avrebbero potuto svolgere un lavoro importante di 1° livello, sgravando l’Ospedale e i livelli specialistici strutturati di molte prestazioni e interventi, gestibili tranquillamente a livello territoriale.

Da qui sarebbe nato un percorso virtuoso di collaborazione ed integrazione tra ospedale e territorio, fatto di PDTA (percorsi diagnostico terapeutici assistenziali) che sono già pronti ed attivi per molte patologie croniche e che garantiscono integrazione delle competenze e dialogo costante tra il medico del territorio e quello ospedaliero o del centro specialistico.

Parlare di AFT (aggregazioni funzionali territoriali) o UCP (Unità di Cure Primarie) è nella nostra Regione una “mission impossibile”, nonostante queste sigle e questi concetti siano espressamente citati nella legge 23. Allora perché non ne abbiamo voluto parlare, e non abbiamo voluto sperimentare nulla di tutto ciò?

Io spero che, sulla base dei risultati tutt’altro che soddisfacenti (anche se iniziali) della adesioni di cittadini e medici a questo nuovo piano della cronicità ed all’affidamento ai gestori, l’Amministrazione Regionale recuperi gli obiettivi originari di integrazione delle cure e del “prendersi cura” globale del paziente, previsti dalla legge, e introduca sostanziali modifiche all’organizzazione del progetto, in modo da vedere la collaborazione convinta dei medici lombardi e l’adesione dei pazienti che appaiono al momento disorientati nel dover cambiare strada rispetto ad un modello assistenziale che dal 1978 ha fatto dell’Italia un Paese apprezzato da tutti per equità, efficienza, efficacia e personalizzazione delle cure mediche.

Roberto Marinello
Pediatra di Famiglia, Milano
Società Italiana Cure Primarie Pediatriche (SICUPP) – Lombardia


24 luglio 2018
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