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Psicologia e laurea telematica: la “stretta” non è una cattiva notizia

28 GEN - Gentile Direttore,
la notizia che, a seguito del Decreto del MIUR, a partire dall’anno accademico 2020/21 non sarà più possibile attivare nuovi corsi di laurea telematici in Psicologia, e quelli attualmente in corso andranno avanti sino ad esaurimento, ha suscitato reazioni anche accese tra i colleghi: il non favorire la formazione online è stato fatto coincidere con la promozione di un sistema anacronistico e arretrato.
 
Credo però che, come sempre, sia importante riflettere su questo decreto alla luce di alcuni fatti concreti.
 
La nostra è una Professione Sanitaria. Come tale, il Ministero della Salute scoraggia formazioni che siano prevalentemente online, non tanto per mantenere una posizione retrogada, quanto per garantire dei requisiti formativi minimi di qualità della professione (si vedano anche le dichiarazioni del CNOP del luglio 2019 a proposito degli standard formativi della professione di psicologo). 
E, a proposito di qualità, i recenti rapporti delle Commissioni di Esperti della Valutazione (CEV) nominate dall’ANVUR in merito alla valutazione della qualità degli atenei parlano chiaro rispetto alla globale insufficienza (o risibile sufficienza) dei servizi erogati dalle università telematiche. 
 
È importante un controllo degli accessi ai corsi di laurea in psicologia. Immagino questo punto condiviso da chiunque abbia a cuore la qualità della formazione più che il marketing della formazione.
Gli atenei italiani sono impegnati nell’attivazione dei corsi di laurea a numero programmato, non con poche difficoltà (penso ai recenti casi di ricorsi al TAR a Torino). 
 
Esistono infatti dei precisi vincoli che devono tenere conto del numero di docenti interni incardinati per calcolare la numerosità dei posti disponibili. Quello che accade nel caso delle università telematiche è che il calcolo dei posti si basi anche sul numero dei docenti a contratto. 
In questo modo, si crea un doppio problema. Da una parte si aggira il criterio aumentando in maniera esponenziale il numero di iscritti: in quest’ottica non possono che far riflettere gli allarmanti dati ISTAT del 2017 che vedono solo il 45% degli psicologi arrivati sino alla specializzazione in psicoterapia esercitare di fatto la professione (e con il reddito più basso tra le professioni ordinate italiane!).
 
Dall’altra si abbassa la qualità della formazione erogata, perché i profili dei docenti a contratto, per quanto virtuosi, non sono direttamente confrontabili con quelli del personale strutturato che è passato attraverso un processo di abilitazione che si basa sulla consistenza, coerenza e innovazione dei loro profili scientifici.
 
Un conto è la formazione continua, un altro è la formazione di base: la psicologia si occupa della relazione con l’altro.
La formazione continua, ovvero quella dedicata a chi già ha un professionalità solida e che si vuole (deve!) aggiornare certamente può beneficiare della FAD. Ben diversa è la formazione di base in psicologia: trovo curioso pensare che la formazione di chi sulla relazione con l’altro (in presenza) baserà la propria professionalità, avvenga online!
Non possiamo pensare che il percorso formativo che porterà ad abilitare i futuri psicologi prescinda dalla dimensione “del gruppo”, dell’apprendimento congiunto con compagni di corso e avvenga invece prevalentemente nella solitaria esperienza relazionale dell’online.
 
Tutto ciò che è sanitario riguarda la salute, il benessere, l’assistenza. Non vorrei dovermi rifare all’etimologia da vocabolario, ma credo che sia importante ricordare che sanitario non significa necessariamente “modello medico”, significa riconoscere che la nostra professione si occupa di mettere le competenze psicologiche al servizio del benessere (dell’individuo, delle organizzazioni) e questo può avvenire in vari contesti (ospedaliero, privato, aziendale etc.).
 
La qualità della formazione è una forma di tutela della professione. Sono certa che il punto essenziale da cui partire non sia tanto un aut/aut rispetto alla formazione in e-learning (peraltro diffusamente adottata dagli atenei di tutta Italia come strumento efficacemente integrato a supporto della didattica in presenza), quanto piuttosto una riflessione sul tipo di formazione necessaria per esercitare la professione psicologica. 
Certamente il medium digitale rappresenta una risorsa preziosa, al contempo però non possiamo prescindere dall’apprendimento in vivo, da quella dimensione che permette di esercitarsi in pratica per prove ed errori, certamente a tutela futura dei colleghi e soprattutto di chi usufruirà della nostra professionalità.
 
In questa direzione, il decreto del MIUR non può che fornire una spinta supplementare a una serie virtuosa di riforme positive che a partire dal DdL Lorenzin ha visto riconosciuta la specificità sanitaria della nostra professione e quindi la necessità di una formazione sempre aggiornata e di qualità.
 
Laura Parolin
Presidente dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia

28 gennaio 2020
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