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Gli “effetti collaterali” del coronavirus e il ruolo del pronto soccorso

27 FEB - Gentile Direttore,
supponiamo che al coronavirus si possa applicare il principio formulato da Wundt e conosciuto come eterogenesi dei fini. Secondo tale principio le azioni possono provocare fini diversi da quelli che sono perseguiti dal soggetto che compie l’azione. Ciò avverrebbe per il sommarsi delle conseguenze e degli effetti secondari dell’agire che modificherebbero gli scopi originali e darebbero luogo a nuove motivazioni di carattere non intenzionale. Così una situazione che avrebbe potuto saturare ancora di più i pronto soccorso li ha in effetti svuotati.
 
In Lombardia si è passati da una media di circa 5mila accessi al giorno a 2800 circa, con una riduzione del 44%. Nell’ospedale in cui lavoro, nel centro di Milano, che pure è tra quelli interessati al trattamento dei pazienti con infezione grave da coronavirus, si è passati da circa 250 accessi a 150, con una riduzione del 40%. Negli ultimi anni la percentuale di codici gialli è in media intorno al 14-15% e quella dei codici rossi intorno al 1-2%. Quindi le rinunce dei codici bianchi e verdi che costituiscono più dell’80% degli accessi, è stata massiccia.
 
Certamente, la paura di essere esposti ad un eventuale contagio va considerata ma d’altro canto questi dati confermano de facto quanto si è già più volte accertato cioè l’uso improprio del pronto soccorso. La Regione Lombardia ha cercato in questi anni di ovviare al problema dell’affollamento nei pronto soccorso mettendo in campo numerose iniziative rivolte allo scopo quali l’apertura di alcuni ambulatori dedicati ai codici bianchi, la presa in carico attraverso i piani di assistenza individuale del paziente con patologie croniche, l’istituzione di degenze di comunità per interventi sanitari a bassa intensità, in particolare per gli anziani, la creazione di presidi socio-sanitari territoriali con ambulatori specialistici e di presidi ospedalieri territoriali che offrono un livello di assistenza più completo in raccordo con i medici del territorio. Tutto questo, tuttavia, non ha sortito lo stesso effetto del coronavirus.
 
Non dimentichiamoci poi che dai dati desumibili dall’Osservatorio Milano, pubblicato annualmente in partnership tra Comune di Milano ed Assolombarda e che misura l’attrattività e la competitività di Milano nel confronto internazionale, analizzando vari benchmark alla voce “scienze della vita” riporta che la dotazione di personale sanitario qualificato impegnato nell’erogazione di servizi sanitari vede al primo posto Stoccarda con 20,91 addetti ogni 1.000 abitanti mentre Milano è ultima con 11,8. Da questo numero omnicomprensivo si ricava comunque che anche il personale medico è insufficiente a coprire il fabbisogno, come insegnano i recenti tentativi di colmare le falle dovute ad eccesivo economicismo e mancata programmazione.
 
Speriamo che questa emergenza sanitaria si risolva in tempi brevi e, nel contempo, speriamo anche che i cittadini capiscano che per fornire prestazioni rapide ed efficaci ai casi che ne hanno veramente bisogno è necessario che i pronto soccorso non siano più scambiati per ambulatori volanti.
 
Sergio Barbieri
VicePresidente Cimo

27 febbraio 2020
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