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Nuovo Lockdown nazionale? Servirebbero dati adeguati e capacità di comunicare

30 OTT - Gentile Direttore,
Francia e Germania tornano ad una nuova stretta, noi già ci siamo, ma paventiamo per misure ancora più restrittive. Ogni azione che nega la libertà, specie quella di poter fare quello che mai abbiamo fatto sinora, è fonte di contrarietà, ansia e preoccupazione. Comprensibile, ma bisogna entrare nel merito dell’appropriatezza dell’azione e quale libertà è limitata o negata con i provvedimenti. Limitare oggi alcune attività, anche in forma completa come durante il periodo di quarantena di marzo-aprile, controllando disagi e opposizioni, implica una partecipazione informata e attiva di tutti i cittadini che purtroppo a tutt’oggi non c’è e non è stata creata. La Covid-19 non si conosceva; si conoscevano però virus simili e loro potenziali sequele e scadenze temporali.

L’effetto pandemico ha evidenziato i limiti dell’organizzazione della vasta area della prevenzione (non solo sanitaria) e dell’attenzione in questa riposta. “Accettare” quindi un secondo lockdown prevede che sia chiaro a tutti: che le restrizioni sono uno strumento appropriato (come indicato dai risultati ottenuti con il primo?); che cosa comporta per il singolo e la comunità, a breve tempo ma anche a distanza, ovunque o solo in alcuni Comuni e per quali attività.

Giustificare qualsiasi iniziativa con il solo aumento dei tamponi positivi, degli accessi in Pronto Soccorso (PS), dei ricoveri in Terapia Intensiva (TI) non è sufficiente a far comprendere la situazione, crea timori e alimenta ansia.

Tamponi positivi, senza indicazioni di carica virale, se in sintomatici o asintomatici, se in soggetti sani o malati, se primi o successivi a tamponi precedenti, dove, come, quando e perché fatti, sono alcune delle domande a cui dare risposta per dare “senso” alle positività dei tamponi. La sola positività di un tampone, che genera anche stigma, è quindi poco utile per prendere decisioni appropriate anche per il singolo.

L’appropriatezza degli accessi in PS è da sempre e ovunque critica; distinguere tra tipi e localizzazioni di PS (hub Covid-19?) e motivazioni associate alla Covid-19 può meglio indicare le dimensioni del problema.

L’accesso alle TI e il suo esito ha caratterizzato la descrizione dell’espandersi della pandemia nella prima fase. Ma questo dovrebbe essere l’evento estremo dell’insieme del percorso assistenziale alla Covid-19. Altri interventi dovrebbero essere stati posti in atto per questi pazienti. Quali? Perché sono risultati inefficaci?

Il tasso di mortalità nazionale per Covid-19 in Italia e Svezia è simile (≈600 per milione di abitanti), ma i provvedimenti restrittivi presi e le ricadute sociali ed economiche sono ben diversi tra i due Paesi. Perché?

Prendere provvedimenti validi per realtà diverse, condizioni di vita differenti, bisogni sanitari diversi implica disporre di informazioni adeguate e comunicarle in modo comprensibile e non contradditorio alla popolazione. Non sembra proprio quello che quotidianamente avviene.

Nonostante la diffusione dei webinar in questo periodo non sembra ne abbiano beneficiato gli scientist makers. Sarebbe interessante, utile e istruttivo un confronto periodico tra i virologi, gli immunologi, gli epidemiologi, gli esperti di riferimento per i mass media per la condivisione delle conoscenze prima della loro uscita in pubblico, pur nel diritto dell’autonomia di ciascuno.

Sarebbe utile per l’intera collettività che i vari “tavoli tecnici” (nazionale, regionale, locale) trovassero momenti di confronto al fine di condividere conoscenze e azione comuni.

Le azioni di piazza di questi giorni non sono meno preoccupanti di quello che potrà accadere, ma che non sappiamo, anche per nostri limiti ed errori.
Milano non è Enna, anche se bene non lo sappiamo.

Maurizio Bonati
Dipartimento di Salute Pubblica
Istituto Mario Negri-IRCSS, Milano


30 ottobre 2020
© Riproduzione riservata

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