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Una pediatra contro il Covid, il ricordo di quei giorni di marzo

11 FEB - Gentile Direttore,
sono una pediatra di famiglia, lavoro nel comune di Cinisello Balsamo da oltre 30 anni. Svolgo questo lavoro (il più bello del mondo!) con impegno e passione, consapevole della responsabilità e delicatezza del mio ruolo. Il mio territorio non è facile: ci sono bambini di diverse etnie, benestanti e poveri, regolari e irregolari, bambini “scaduti” dall’iscrizione al SSN, ma comunque accolti, famiglie a cui anche fissare un appuntamento di controllo è una operazione complessa.

Un anno fa è arrivato il COVID. Nella mia piccola Pediatria di Gruppo, con la giovane collega con cui condivido lo studio, ci siamo attrezzate da subito: abbiamo cercato e condiviso i pochi DPI che siamo riuscite a raccattare anche quando non c’erano, definendo fra di noi delle linee guida e risaldando, insieme alla segretaria, la nostra alleanza per contenere l’ondata che ci poteva sommergere.
 
Il 18 marzo 2020 la mia collega mi ha telefonato con una voce che sembrava venisse dall’oltre tomba. Era malata, sicuramente di covid, sola in casa, ma il suo pensiero era per i suoi bambini e famiglie senza il loro pediatra di riferimento.
L’ho rassicurata subito: lei doveva pensare solo a guarire e stare bene, all’ambulatorio ci avremmo pensato io e la segretaria Francesca.
 
Al termine della telefonata, ho chiamato i numeri forniti dalla Regione per chiedere soccorso.
Erano i giorni dell’emergenza, nelle strade non circolava più nessuno. Dalle finestre dell’ambulatorio vedevo le strade deserte e silenziose, atmosfera surreale. Ogni tanto passava l’autovettura della polizia locale che con un megafono, avvertiva la popolazione di rimanere a casa, non uscire.
 
Il pericolo era nell’aria ma invisibile. Ho detto all’operatore che mi ha risposto: aiuto!
Sono rimasta sola! Ho da oggi un notevole carico di pazienti: saranno 2400 bambini che dovrò seguire in questo momento emergenziale, 2400 famiglie che mi chiederanno aiuto. Sono sola, senza DPI adeguati, a mani nude!
 
Ho lavorato con una giovane collega fino a ieri. E magari anche io ora sono un possibile fonte di contagio per chi da oggi mi chiede soccorso.
È stato uno scambio drammatico di considerazioni con chi dall’altra parte cercava di darmi una risposta. “Aiutatemi, mandatemi qualcuno o consentitemi, almeno per qualche giorno, superato il periodo di una mia possibile insorgenza di malattia, la possibilità di non visitare in Ambulatorio. Solo consulti telefonici. Se anche io mi ammalo, qui non ci sarà nessuno che mi potrà sostituire, dovrete mandare un medico dell’esercito…”
 
La risposta affranta dell’operatore: “Dottoressa, se lei sta bene, può continuare a lavorare…non è previsto per lei fare un tampone di controllo…”
Ok, mi sono detta, cerco aiuto in ospedale. Non la pediatria del Bassini, chiusa per COVID, ma ospedale di Sesto San Giovanni.
Parlo con il medico pediatra di guardia: “Posso da ora in avanti, per qualche giorno, mandarvi i bambini più sospetti, senza averli visitati? Sai, non ho DPI adeguati, solo mascherine chirurgiche, non posso sanificare gli ambienti…”
 
Mi ricordo la risposta gentile e sconsolata del collega: “Va bene, mandali pure. … ma anche noi siamo come te, siamo con le sole mascherine chirurgiche…!”
Mi sono detta che non potevo farlo. La responsabilità di questi bambini era solo mia e dovevo “a mani nude” proseguire come sempre il mio lavoro di assistenza e cura.
Quello stesso pomeriggio ho detto a Francesca che insieme ci saremmo riuscite, avremmo proseguito, come sempre.
 
E per trasmettere anche agli altri un messaggio di speranza e di Vita, avremmo appeso alla finestra un lenzuolo bianco (uno dei tanti che già si vedevano nelle finestre e balconi di tutta Italia) con dipinto l’arcobaleno, la bandiera dell’Italia e la scritta : andrà tutto bene.
Abbiamo trascorso quel primo pomeriggio di solitudine dipingendo sulla scrivania questo messaggio e alla fine contente della nostra opera abbiamo appeso il nostro lenzuolo a sventolare.
 
Ecco così chi passava poteva verificare la nostra presenza e il nostro messaggio. Ma chi passava? Le strade erano comunque deserte.
Nei giorni a venire, drammatici, ho capito che quel messaggio era soprattutto rivolto a me. Ogni giorno mentre arrivavo in ambulatorio, con sempre un maggiore carico di responsabilità e preoccupazione, alzavo gli occhi alla finestra e mi dicevo che sì, andrà tutto bene! Ci dovevo credere e lavorare con scrupolo e attenzione.
 
Ho, con l’aiuto fondamentale della segretaria, proseguito la mia opera. In questi casi comprendi il valore aggiunto di una piccola pediatria di gruppo come la nostra: le mamme erano abituate a telefonare allo stesso numero, rispondeva la stessa Segretaria, venivano nello stesso Ambulatorio, e vedevano un Medico che comunque da anni conoscevano.
La dottoressa giovane collega è rientrata il 14 aprile. Guarita e in forma, così abbiamo proseguito a collaborare come sempre.
 
La situazione è migliorata, il numero di casi sospetti si è ridotto.
Nei mesi a venire abbiamo proseguito la nostra opera come sempre, come tutti.
Sempre in prima linea, senza tanti clamori. Come tanti.
In questi mesi dapprima assunti ad eroi, lodati ed esaltati, loro malgrado, e poi nei mesi a venire messi all'angolo ed accusati.
 
Da qualche giorno mi sono guadagnata anche io una medaglia di latta, che mi ha regalato la Regione, e che orgogliosamente ho attaccato al camice che indosso, "Io ho fatto il vaccino!" , per essere promotore di una campagna di sensibilizzazione alla vaccinazione di massa che sta per partire e che ci vedrà coinvolti.
 
Il lenzuolo appeso alla finestra è ormai logoro e stinto, ma si vede ancora l’arcobaleno, la bandiera dell’Italia e la scritta andrà tutto bene. E con questa speranza che concludo la mia testimonianza.

Concettina Gerardis
Responsabile Nazionale Pediatra del Sindacato Medici Italiani 


11 febbraio 2021
© Riproduzione riservata

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