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QS Edizioni - venerdì 19 aprile 2024

Studi e Analisi - Calabria

Decreto Calabria. Oggi l’ultimo treno per correggere una legge mal pensata e mal scritta

di Ettore Jorio
immagine 13 maggio - Scadono infatti oggi i tempi per la presentazione in Commissione di emendamenti al decreto legge. L'augurio è che il Governo rinsavisca, agendo in una sorta di intelligente “autotutela”, proponendo un suo ritiro ovvero quantomeno modifiche degli obbrobri giuridici rinvenibili nel testo pubblicato il 2 maggio scorso sulla G.U.
Il «decreto-Grillo» va avanti, nel produrre i suoi effetti e nell'intrapreso cammino di conversione in legge, e la Calabria rimane dov'è, con il sospetto che le cose andranno sempre peggio. La sua struttura è infatti inidonea allo scopo, produttiva di assurde elargizioni di quattrini (milioni di euro) ed è la prova di quanto poco sia considerata la Calabria, indipendentemente dai Governi che si succedono. Per far sì che i calabresi possano finalmente godere del diritto alla salute occorre altro. Ma la politica è come le tre scimmie: sorda, cieca e muta (legislativamente).
 
L'iter parlamentare del decreto Grillo: le audizioni
A leggere i resoconti delle audizioni alla Camera rese il 9 maggio scorso - in relazione al D.L. 35/2019, burlescamente denominato salva-Calabria - dal Commissario ad  acta e dal Governatore ci si rende conto di quanto sia scesa in basso la sanità dedicata e destinata ai calabresi nonché l'interesse a toglierla dal buco nero nel quale è sprofondata.
 
Il primo si è, infatti, limitato a sottolineare, come d'abitudine, i soliti mali che affliggono la Calabria della salute - dimenticando quanto il Commissariamento ad acta fatto male stia ampiamente contribuendo all'aggravarsi degli stessi, anche negli ultimi cinque mesi di sua penosa permanenza - e ad offendere i calabresi definendoli, ancorché indirettamente, degli inetti e degli incapaci ad assumere ruoli manageriali.
 
Una denigrazione gratuita che rappresenta un atto di mero «razzismo», quantomeno culturale, perpetrato nell'intrapreso processo di individuazione dei c.d. capaci in un ambito nel quale lo stesso commissario ad acta ha, francamente, dimostrato ben poco sino ad oggi. Un atto biasimevole, non solo perché in Calabria c'è tanta gente capace di esercitare un buon management bensì perché è sintomatico di quell'illogico convincimento popolare che preferirebbe il solito «gringo» a presiedere le istituzioni.
 
Una stupida aspirazione che non avrebbe consentito (ahinoi) di avere i Gratteri & Co. come magistrati anti 'ndrangheta ovvero prefetti e/o questori calabresi a rappresentare dignitosamente qui il Governo del Paese.
 
Il secondo ha, invece: 1) continuato, inutilmente, a rivendicare ciò che gli viene correttamente interdetto; 2) sottolineato ciò che gli organi regionali sostituiti non potrebbero fare, ma che tutti tollerano; 3) omesso di ribadire ciò che compete alla Regione sul piano programmatorio, esercitato da sempre con atti legislativi, nonostante la legge costituzionale n. 1 del 1999; 4) perseverato a non pretendere l'acquisizione del consenso delle istituzioni superiori di fare quanto non esercitato dal Consiglio regionale per assurda abdicazione al ruolo istituzionale riconosciutogli dalla Carta. Il tutto avvenuto (forse) perché in possesso di una scaletta errata nei presupposti, cui si sarebbe potuto rimediare solo che il suo redattore avesse letto più attentamente la Costituzione.
 
... da dove viene e dove andrà
Quanto al «decreto Grillo» - venuto fuori da un «cilindro» politico caratterizzato da un quasi isterismo competitivo tra le istituzioni interessate (Ministro/Regione) e da una burocrazia tecnica francamente poco attrezzata - alle 11 di oggi è scaduto il termine per presentare gli emendamenti alla Commissione Affari Sociali della Camera, ove ha esordito la procedura di conversione.
 
L'augurio è che il Governo rinsavisca, agendo in una sorta di intelligente «autotutela», proponendo un suo ritiro ovvero quantomeno modifiche degli obbrobri giuridici rinvenibili nel testo pubblicato il 2 maggio scorso sulla G.U.. E ancora, che le rappresentanze parlamentari calabresi abbiano contribuito e contribuiscano all'anzidetto scopo, soprattutto quelle che posseggono il migliore bagaglio giuridico e che hanno davvero a cuore l'obbligo di rimediare alla Calabria della non salute.
 
Su tutto, è indispensabile però che la sanità calabrese abbandoni la sua consolidata prerogativa: il suo essere considerata un problema essenzialmente «burocratico», ove l'interesse generale è esclusivamente rivolto a chi e come si esercitano i poteri ad essa relativi, nel quale è persistente la ricorrente abitudine di ritenere prioritari l'utilità della politica delle nomine e la conta delle responsabilità degli agenti piuttosto che l'agire nell'interesse dei calabresi.
 
Ad un siffatto orribile difetto, ideologico-culturale prima che abitudinario, deve riparare la politica delle soluzioni, ove la sfida interistituzionale dovrà concretizzarsi realizzando in Calabria - in ossequio ai principi di sussidiarietà e di leale collaborazione, abbondantemente lesi da tempo - ciò che non c'è mai stato e che è invece a normale appannaggio delle mete regionali dell'emigrazione della salute.
 
Necessitano insomma le riforme strutturali, radicalmente modificative di tutto l'esistente. Un obiettivo difficile ma possibile, solo che si usino gli strumenti legislativi ed economici giusti, specie da parte di quella politica che invoca la propria come protagonista di una «nuova stagione», ricorrendo però alle metodologie più antiche, ove anche il «dispetto» verso alcune Regioni costituisce la ratio prevalente di alcune decisioni dell'Esecutivo.
 
Il DL 35/2019 va, infatti, in tale ultima direzione. Si caratterizza, anziché per favorire il miglioramento erogativo del sistema della salute calabrese, per il suo scopo meramente ricognitivo dello stato dell'essere della sanità in Calabria e per la concessione di inconcepibili prebende, che costituiranno un affare per tutta la declinazione di commissari nominati dai commissari ad acta, per l'Agenas e per gli advisor piuttosto che per i calabresi sofferenti, che continueranno i loro lunghi viaggi della speranza per rintracciare altrove un po' di assistenza.
 
Le incredibili ricadute
Relativamente al contenuto, riportandomi per quanto oggi trascurato per ragioni spazio a quanto scritto su questa rivista e già rappresentato nei Paper della Fondazione TrasPArenza, il decreto legge esaminato si caratterizza: per determinare una inutile pioggia di quattrini, per violentare la Costituzione e i principi fondanti dell'ordinamento salutare nonché per liquidare acriticamente parte del patrimonio salutare calabrese senza produrre nulla di buono.
 
Non solo. La nuova governance, della durata massima di diciotto mesi, rischierà di rendersi causa, per la sua completa estraneità al territorio e alla collettività che lo popola, di qualche ulteriore grave disagio che, si spera, non arrivi a trasformarsi in episodi nefasti del tipo quelli che hanno prodotto, ante 2007, tre gravi lutti di altrettanti giovani calabresi.
 
Quanto alla generosa distribuzione del denaro, ci saranno commissari straordinari (per non parlare di quelli liquidatori, che saranno prevalentemente ministeriali) che prenderanno il doppio della retribuzione dei direttori generali di ovunque, un'Agenas che sarà retribuita con 4 milioni di euro all'anno e gli advisor, che tanto piacevano al Tavolo Massicci, che continueranno a percepire retribuzioni, così come avvenuto sino a cinque milioni annui.
 
Viola la Costituzione, i principi fondamentali e il criterio di ragionevolezza
Come detto, il «decreto Grillo» esercita una brutale violenza sulle regole, persino quelle del più alto rango, tra le quali prioritariamente l'art. 32 della Costituzione.
 
E' infatti uno strumento legislativo, peraltro in molti punti carente dei requisiti della necessità e l'urgenza indispensabili per ricorrere alla decretazione straordinaria di cui all'art. 77 della Carta, che:
 - offende apertamente l'autonomia regionale (art. 114 Cost.);
-  viola l'impalcatura della legislazione concorrente (art. 117 Cost.);
-  non si rende affatto garante del concorso obbligatorio all'equilibrio di bilancio (artt. 97.1, 119 Cost.);
- interpreta e attua strabicamente il principio della sostituzione degli «organi» regionali resisi inadeguati, che è cosa ben diversa dalla intervenuta sostituzione dell'ente regionale (art. 120 Cost.);
- contravviene, tra l'altro: all'autonomia imprenditoriale assegnata alle Asp/Ao/Aou e alla relativa disciplina che attribuisce i compiti al management aziendale (d.lgs. 502/92); alle garanzie «meritocratiche» individuate per la nomina dei manager della salute (d.lgs. 171/2016); all'unitarietà giuridico-contabile delle aziende, individuando d'un botto la possibilità di generare gestioni speciali afferenti al debito pregresso (d.lgs. 118/2011).
 
Non solo. Oltre alle evidenti gravi violazioni, che di per sé basterebbero per consigliare al Governo un responsabile ritiro del provvedimento ovvero una sensibile modificazione dello stesso in sede di conversione, il testo rasenta l'inimmaginabile andando anche oltre.
 
Limitandoci ad esaminare i primi cinque articoli (il sesto offende l'operato della Stazione unica appaltante della Calabria che ha ottemperato puntualmente ad ogni suo obbligo!), può tranquillamente affermarsi che il disposto governativo - oltre che introdurre una illogica e inopportuna matrioska di commissari - raggiunge l'assurdo nella previsione che darebbe modo ai commissari straordinari nominati dal Commissario ad acta a capo delle aziende, di adottare, entro nove mesi, l'atto aziendale, da approvarsi successivamente a cura di quest'ultimo.
 
Senza qui soffermarsi sull'importanza che riveste un siffatto atto di natura privata, che assume portata organizzativa e programmatoria, è appena il caso di sottolineare la irragionevolezza di una simile previsione legislativa. Attesa, difatti, la durata massima dell'intervento straordinario del disposto emergenziale prevista per 18 mesi diventerebbe una pura follia l'imposizione di una riedizione degli atti aziendali esistenti.
 
Ciò per due ordini di motivi: perché le aziende rimarrebbero (ahinoi) così come sono, dal momento che nel DL non è prevista alcuna modificazione strutturale dell'attuale assetto organizzativo/aziendale regionale; perché i tempi scanditi per lo "speciale" (ri)adempimento non sono affatto conciliabili con l'anzidetta durata di 547 giorni della gestione straordinaria. Il previsto atto aziendale, per produrre i diversi effetti pretesi dalla sua riedizione, dovrebbe infatti essere perfezionato verosimilmente trascorsi 120 giorni (90+30, tempo presunto quantomeno per leggerli!) dalla nomina dei commissari straordinari aziendali chiamati ad adottarlo.
 
Ciò ancora senza contare che un atto simile, a meno che i neopreposti alla sua redazione non siano gli equivalenti del vecchio Mandrake, comporterebbe una profonda analisi aziendale della durata di almeno altri 60 giorni di duro lavoro (anche per un manager che avesse le dovute conoscenze del territorio che, nel caso dell'Asp cosentina, dovrebbe riguardare la bellezza di circa 150 comuni), funzionale a determinare bisogni "imprenditoriali" e fabbisogni sociali, indispensabili per ridisegnare e rinnovare la governance aziendale, ivi compresi i capidipartimento e responsabili di UOC.
 
Ciò senza contare poi, e questo rasenta il ridicolo, che nel medesimo articolo 2, ma al comma nove, viene previsto - al decorso dei 12 mesi, scadenti il 1° maggio 2020 - che la Regione potrà selezionare e nominare i nuovi direttori generali, in quanto tali obbligati ad adottare il loro atto aziendale.
 
Il testo del DL riesce ad andare anche oltre l'assurdo allorquando introduce nel SSR le regole del dissesto (art. 5), applicando ai suoi enti la disciplina prevista nel TUEL per Comuni, Province e Città metropoltane. Da qui, una ulteriore grande irragionevolezza legislativa, piena zeppa di violazioni dei principi costituzionali e di quelli fondamentali sanciti dall'ordinamento specifico. Lo fa senza tenere conto di alcune cose, forse per non averle neppure lette ovvero senza avere dedicato all'argomento la dovuta attenzione, tra le quali, principalmente, la conseguenza che caratterizzerebbe l'intervenuto ricorso al dissesto, preso a prestito dal d.lgs. 267/2000, con conseguente separazione della gestione vecchia, con l'attribuzione all'organo gestorio (l'OSL) di una competenza squisitamente liquidatoria.
 
Una disciplina peraltro non condivisa dalla più recente giurisprudenza costituzionale, relazionata alla attività riferita alle iniziative del tipo «bad company», ritenute non affatto compatibili con il principio della autonomia di cui godono gli enti territoriali e quelli sottoposti alla loro egida.
 
Una conseguenza, questa, tra l'altro non affatto conciliabile con l'obbligo commissariale di adempiere alla corretta esecuzione del piano di rientro condiviso tra Governo e Regione, che non comprende ordinarie spoliazioni patrimoniali, rese possibili esclusivamente dalla volontà espressa in tal senso dall'ente regionale.
 
Su tutto, un errore di ipotesi
Al di là delle evidenziate critiche, il DL avrà il macroscopico effetto negativo di rendere impossibile ogni suo prosieguo applicativo. Ciò in quanto gli adempimenti iniziali ricognitivi, previsti a cominciare dall'art.1, si renderanno impossibili nel modi, nei tempi e alle scadenze individuati.
 
Ciò in quanto nessuna azienda, perché non assistita da alcuna contabilità analitica, sarà nelle condizioni oggettive di predisporre gli strumenti contabili utili al buon esito delle ambiziose aspirazioni di verifica e controllo contenute nel provvedimento, fondamentali per eseguire tutto il resto e, conseguentemente, disporre.  
 
Ettore Jorio
Università della Calabria  
13 maggio 2019
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