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QS Edizioni - venerdì 19 aprile 2024

Lettere al Direttore - Emilia Romagna

Partiti in svantaggio verso un nemico rapido, subdolo, mortale

di Ester Pasetti
Gentile Direttore,
sono passate ormai cinque settimane da quando anche l’Emilia Romagna è stata travolta dalla pandemia da Covid-19. I numeri non sono quelli della Lombardia, ma ricordiamo che la popolazione è molto meno numerosa. Meno aziende sanitarie, meno posti letto, meno medici, biologi, farmacisti, etc. I dirigenti medici e sanitari sono uguali numericamente al 2009, abbiamo e stiamo stabilizzando il personale e quindi teoricamente è stato fatto tutto il possibile. Non eravamo per contro pronti con l’assunzione degli specializzandi e gli specializzandi erano in numero inferiore alle necessità. Nonostante le borse di studio in più che erano state finanziate.
 
Questo lo scenario delle difese umane in campo. Per quanto concerne i posti letto anche noi, come il resto d’Italia avevamo tagliato, così come da richieste di legge. Questo quindi lo scenario delle difese strutturali.
 
Partivamo in svantaggio rispetto ad un nemico rapido, subdolo, mortale. Anche da noi gli ormai tristemente famosi DPI erano e sono insufficienti ed inadeguati. Ogni giorno una battaglia nella battaglia per accaparrarsi quanto necessario, il minimo, non quello che si vede su certi tutorial di altre nazioni nei quali il personale sanitario indossa quanto a noi concesso in qualche giorno.
Il dramma delle segnalazioni dei colleghi, per i quali puoi fare ben poco se non continuare a chiedere, denunciare, consigliare.
 
Anche i farmaci, per quanto armi spuntate, a quanto pare scarseggiano. Così come i tamponi per la diagnostica che da noi, ai dipendenti si sono fatti veramente troppo poco. Pare che da oggi le cose cambieranno. Vediamo. Intanto positivi ed ammalati anche seriamente crescono. E come sentiamo, non a tutti va bene. E anche per quelli a cui va bene è dura, per se è per i familiari. Qualcuno ha perso i genitori. Tutti isolati in casa o altrove. Lontani dai figli, dai compagni, segregati in una stanza. Da settimane. Con la consapevolezza che se siamo fortunati continuerà così a lungo.
 
E l’Emilia Romagna è lunga. Non tutti per fortuna hanno gli stessi numeri tragici della parte occidentale della Regione. Ma tutti sono coinvolti, hanno accolto i pazienti di chi non ce la faceva e non ce la fa più o sono impegnati a domare i propri focolai, autoctoni o meno che siano poco conta.
 
Quasi tutti si stanno abituando a fare tutto, che in fondo è la stessa cosa: cercare di ridare salute a persone colpite gravemente, che non sono più in grado di respirare o che lo fanno a fatica. Altri, pochi continuano a fare il loro in un contesto stravolto, in reparti che non hanno più le stesse fattezze, con personale a volte cambiato, con pazienti che oltre alla patologia specifica sono infetti o si infettano. Infine quelli che si stanno attrezzando, ed anche qui il problema principale sono le attrezzature, per spostare il fronte fuori dagli ospedali.
 
Questo lo scenario di cosa sta accadendo in Emilia Romagna dopo cinque settimane. Un dramma per i troppi morti, i troppi ammalati, i troppi apparentemente sani che hanno circolato liberamente e che ancora stanno circolando. E la stanchezza si fa sentire. Così che, ogni cosa inizialmente affrontata con il coraggio e l’entusiasmo che in parte venivano dalla non compiuta conoscenza del fenomeno, ci stanno abbandonando è tutto è più difficile da sopportare.
 
Cosa vorremmo, cosa ci serve:
1) Avere notizie le più certe possibili sulla nostra salute. Dato indispensabile umanamente e professionalmente. Quindi occorre che i sistemi di rilevazione siano implementati fin da subito, e siamo in ritardo, a favore del personale sanitario. Essere in salute è condizione indispensabile per svolgere al meglio il proprio lavoro, per non infettare gli altri. Reclamiamo anche per noi il diritto alle cure garantito dalla costituzione. Si corregga immediatamente quanto malamente scritto in uno dei tanti decreti dell’ultimo mese.
 
2) Avere dotazioni di protezione consone a quanto prescritto dalla normativa vigente: non possiamo lavorare a mani nude nell’acido. Perché è questo che ci costringono a fare senza adeguati DPI. Se ci fossero stati fin da subito, non ci si sarebbe infettati ed ammalati così in tanti ed in fretta. I dati dello Spallanzani lo dimostrano. Se prima non sapevamo, ora non è così. Proseguire su questa strada è criminale. E se possibile basta balletti dell’OMS e dell’ISS su cosa è un DPI. Non possiamo piegare dati scientifici alle necessità di mercato.
 
3) Non metterci nelle condizioni di commettere reati. Alla luce delle ultime disposizioni di legge, chi di noi esce, in quarantena, potenzialmente infetto, per recarsi ad eseguire i tamponi (due a distanza di 24 ore non bariamo), viola quanto previsto dalle autocertificazioni. Costretti ancora una volta tra l’incudine ed il martello, con le aziende che non si assumono la responsabilità di convocarti (per non violare la legge) e tu che non hai scelta. Riscrivere prevedendo questa fattispecie. Subito.
 
4) Riconoscerci fin da subito e per quanto poco possa valere a fronte dei rischi che ci stiamo assumendo, una indennità di rischio biologico. Per tutti, visto che non esiste più luogo in cui questo rischio non lo si corra. Non si tratta più di un rischio generico. Evidente sotto gli occhi di tutti.
 
5) Che le istituzioni tutte, nazionali, regionali, locali, si alzino indignate e stigmatizzino gli squallidi tentativi di certi studi legali (forse anche l’ordine degli avvocati dovrebbe prendere posizione) di arricchirsi sfruttando le tragedie che hanno colpito molte famiglie. Mi riferisco, nel caso non fosse chiaro a certe pubblicità e certi articoli che cominciano a comparire sulla stampa. Di malasanità in periodi come questo non ci deve essere traccia. Tutti stanno facendo il loro meglio. Il possibile e anche l’impossibile. In assenza di evidenze scientifiche e con mezzi limitati.
 
6) Visto che la situazione evolve, occorre che si attivino realmente le strutture indispensabili all’isolamento sociale dei convalescenti o dei positivi sani o paucisintomatici che non hanno abitazioni o condizioni sociali tali da consentire che questo avvenga a casa. E sono tanti. Cominciano ad esserci posti in ospedale o in comunità completamente bloccati da queste situazioni. Persone che avrebbero necessità di una stanza. Fuori dal sistema sanitario e socio sanitario. Con una minima assistenza. Ma anche qui facciamo presto, siamo ormai in ritardo.
 
7) La stampa che tanto ci ha aiutato e sostenuto, dovrebbe capire che non siamo “storie”, ma persone in carne e ossa. Che comprenda i nostri tempi e le nostre necessità. Che al momento mi spiace superano le loro necessità. Non possono chiamarci mentre siamo al lavoro, chiedendoci l’impossibile entro un’ora al massimo, giusto perché passano di lì o hanno un pezzo da far uscire a minuti e mancano giusto tre righe. Siamo carne e sentimenti ed impegni. Tanti. Non siamo dietro una scrivania e quando ci va bene, si fa per dire, siamo in isolamento in quanto ammalati o contatto diretto, spesso un familiare che magari abbiamo perso, di un ammalato. Non incalzateci. Siamo stanchi e sfiduciati.
 
8) Alle persone che si sono strette intorno a noi, cantando, incitando, dicendo che andrà tutto bene anche a dispetto della realtà, a quelli che ci hanno definiti angeli o peggio ancora eroi. Avete un solo ed unico modo concreto per aiutarci, restando isolati a casa. Sappiamo che è dura, sappiamo che molti stanno pagando un prezzo economico enorme, ma non c’è altro modo. Lavorare in queste condizioni sarebbe come lavorare sotto un bombardamento. Nessuno lo farebbe. Il virus non è da meno, anzi è molto peggio. State a casa, anche se c’è bel tempo, anche se i bambini piangono per uscire, anche se vi mancano gli amici. Un sacrificio vero ha tempi più limitati di uno diluito nelle forma e nella sostanza. Il danno attuale, l’atrocità di quanto ci sta accadendo dipende in larga misura dalla lentezza e gradualità con la quale si è preso il provvedimento di chiusura.
 
9) Infine chiedo all’Italia di ricordarsi di essere una nazione, al SSN di ricordarsi di essere unico ed indiviso. Quando tutto sarà finito, dovremo valutare bene cosa non ha funzionato, cosa ci ha fatto pensare che il virus non sarebbe arrivato in Italia e che se arrivato avremmo potuto fronteggiarlo al meglio con il poco di cui disponevamo. Perché non c’erano scorte di uomini e mezzi? Perché abbiamo iniziato ad acquistare sul mercato quando ormai era troppo tardi? Perché certe lungaggini burocratiche già insensate in passato, continuano ad ostacolare la circolazione dei rifornimenti? Perché la protezione civile si permette di dire, come ha fatto, che non sta a lei, ma alle regioni garantire la tenuta del sistema? (in tema di DPI). Siamo una nazione e certe risposte devono venire dallo stato. Lo pretendiamo. Siamo cittadini di questa nazione prima ancora che delle nostre regioni.
 
10) Ultimo a quelli che quotidianamente chiedono cosa fa il sindacato? Ricordo che i sindacato è in Emilia Romagna il collega che lavora al tuo fianco. Tutti i giorni e che oltre a tutto quello che fai tu, fa con gioia ed orgoglio tutto quanto gli è concesso fare per legge, per denunciare e modificare le storture. Il sindacato in Emilia Romagna è fatto di due brave segretarie che rigorosamente in telelavoro raccolgono, smistano le tue richieste, pubblicano le risposte, aggiornano i social e la nostra pagina regionale. Sostengono quelli di noi che stanno lavorando negli ospedali al tuo fianco. Ci tengono in attività, ci richiamano ai nostri doveri quando siamo sopraffatti dalla stanchezza e dalle cose della vita.
 
Ester Pasetti
Segretaria Anaao Assomed Emilia Romagna
30 marzo 2020
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