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QS Edizioni - martedì 16 aprile 2024

Regioni e Asl - Emilia Romagna

Punti nascita. “Un rischio riaprire le strutture chiuse”. Neonatologi, pediatri, ginecologi e anestesisti invitano Bonaccini alla prudenza

di E.M.
immagine 25 marzo - Sin, Sip, Sigo, Aogoi, Agui e Siaarti hanno espresso perplessità e preoccupazione sulla decisione del Presidente dell’Emilia Romagna Bonaccini, annunciata nei giorni scorsi, di voler riaprire i punti nascita chiusi nel 2017. Si utilizzino invece i fondi del Recovery Plan per garantire personale specializzato e risorse a quelli esistenti
“Prudenza nel decidere di riaprire di quelle strutture che non presentano i requisiti minimi tecnico-organizzativi per garantire le condizioni di sicurezza alla nascita, in un paese già così segnato dalla denatalità e in cui va messo in campo ogni sforzo per garantire la salute e talora la vita dei neonati e delle loro mamme, e non certo per metterle a rischio”.

Questo l’invito che arriva dalla Società Italiana di Neonatologia (Sin), la Società Italiana di Pediatria (Sip), la Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (Sigo), l’Associazione Ginecologi Universitari Italiani (Agui), l’Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri (Aogoi) e la Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva (Siaarti) dopo la decisione del Presidente Stefano Bonaccini annunciata nei giorni scorsi di voler riaprire i punti nascita chiusi nel 2017 in Emilia Romagna, per altro ventilata da tempo, e sulla quale era già intervenuta nei giorni scorsi Aaroi Emac.
 
La questione è infatti tornata di attualità dopo che, nella seduta del 9 marzo scorso dell'assemblea regionale, Bonaccini aveva detto a proposito dei punti nascita precedentemente chiusi di essere pronto appena possibile ad attivare "il protocollo sperimentale discusso proprio qui a Bologna con il ministro Speranza per riaprirli", aggiungendo, "ho solo una parola. Anche quando sbaglio. Feci un errore. Facemmo un errore. Rimedieremo e quei punti nascita li riapriremo".
 
Una decisione che preoccupa le società scientifiche dell’area perinatologica. E così Fabio Mosca Presidente Sin, Alberto Villani Presidente Sip, Antonio Chiàntera Presidente Sigo, Nicola Colacurci Presidente Agui, Elsa Viora Presidente Aogoi e Flavia Petrini, Presidente Siaarti hanno voluto ribadire la propria posizione in merito, già espressa più volte in passato, con l’unico obiettivo di tutelare la diade madre-neonato. Anche perchè la preoccupazione è che la decisione della regione possa essere abbracciata anche da altre realtà italiane.
 
Concordi con quanto annunciato nei giorni scorsi dal Ministro della Salute Roberto Speranza, secondo cui le risorse che saranno disponibili con il Recovery Fund rappresentano una grande opportunità per il Ssn, le società scientifiche, chiedono quindi “la costituzione di un tavolo tecnico per rafforzare e ottimizzare l’attuale rete dei punti nascita, con una sola priorità: la sicurezza e la salute di mamma e neonato”.
 
Nel 2019, in Emilia-Romagna, si sono registrati 31.123 parti (31.600 neonati). Il 66,3% di questi è avvenuto nei 9 punti nascita, su 23 attivi in regione, dotati di Unità di Terapia Intensiva Neonatale, mentre i punti nascita con meno di 500 parti/anno sono 5 ed hanno assistito il 5,4% dei parti (17° Rapporto sui dati del Certificato di Assistenza al parto CedAP 2019).
 
“L’attuale emergenza sanitaria – scrivono in una nota – ha aggravato e posto in grande evidenza la allarmante carenza di personale medico qualificato, già più volte denunciata negli ultimi anni, sia a livello nazionale che territoriale. Mancano attualmente in Emilia-Romagna i medici anestesisti-rianimatori, i ginecologi, gli ostetrici, i neonatologi e i pediatri in grado di coprire adeguatamente i 23 Punti Nascita della regione. Piuttosto che discutere su eventuali riaperture, sempre in attuazione dell’Accordo Stato‐Regioni del 2010 e come ribadito dalla comunità scientifica dell’area perinatologica, bisognerebbe chiudere quei punti nascita attivi con meno di 500 parti l’anno, che non rispettano i parametri e i requisiti indicati a livello nazionale come garanzia di sicurezza delle cure.
 
E ancora, per neonatologi, pediatri, ginecologi e anestesisti “non è accettabile né condivisibile accondiscendere alla volontà di partorire ‘vicino casa’, se questa scelta implica il mettere a rischio la salute e il benessere del bambino e della madre – proseguono – eventi sfavorevoli inattesi e imprevedibili, seppure non frequenti, possono comunque verificarsi durante il travaglio o nelle prime ore dopo il parto, e in questi casi è vitale intervenire tempestivamente con risorse organizzative, umane e strumentali adeguate, per scongiurare conseguenze drammatiche altrimenti inevitabili. Come dimostrato da evidenze scientifiche, tale assistenza può essere garantita solo da strutture con un elevato numero di parti, cui corrisponde maggiore esperienza, organizzazione e disponibilità di attrezzature”.
 
Rischio  di produrre ulteriore confusione e disinformazione. Del resto la discussione rilanciata in Emilia-Romagna sulla riapertura dei punti nascita chiusi negli scorsi anni per carenze strutturali e normative, avvertono le società scientifiche “sta divenendo molto attuale e si sta estendendo ad altri contesti e a numerose altre regioni italiane, rischiando di produrre ulteriore confusione e disinformazione”. Meglio rafforzare e ottimizzare l’attuale rete dei punti nascita ricorrendo alle risorse del Recovery Plan.
 
E.M.
25 marzo 2021
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