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QS Edizioni - giovedì 18 aprile 2024

Lavoro e Professioni

L’infermiere non è un ausiliario del medico ma un professionista sanitario. E come tale risponde personalmente dei suoi errori

immagine 9 febbraio - La Cassazione ha ribadito la resposnabilità dell'infermiere in quanto professionista sanitario e non ausiliario del medico. Nel caso specifico non aver avvisato il medico di guardia del peggioramento dei valori pressori di un paziente aveva portato al decesso di quest'ultimo, configurando l'accusa di omicidio colposo da cui l'infermiere si è salvatao solo per la prescrizione. Ma la Corte ha confermato comunque il risarcimento alle parti civili. LA SENTENZA.
L’infermiere va oggi considerato non più “ausiliario del medico”, ma “professionista sanitario”. Un soggetto che svolge un compito cautelare essenziale nella salvaguardia della salute del paziente, con la responsabilità di vigilare sul decorso post-operatorio, proprio per consentire, nel caso, l’intervento del medico.

Su queste basi la Corte di Cassazione, IV Sezione penale, ha ricordato ancora una volta che l'infermiere che omette di avvertire il medico del peggioramento delle condizioni del paziente pur essendosi accorto della criticità della situazione, commette reato ed è chiamato a rispondere penalmente per omicidio colposo, se il ricoverato poi muore.

Il fatto
Un paziente era deceduto per una crisi ipotensiva dopo un intervento chirurgico e l'infermiere, che si era accorto del peggioramento delle sue condizioni, non aveva avvertito il medico di guardia. Il quadro clinico era quindi degenerato.

Il Tribunale di Roma lo aveva condannato alla pena – sospesa – di mesi 8 di reclusione oltre al risarcimento del danno alle parti civili, da liquidare in altra sede.

La Corte d’Appello, dopo la condanna di primo grado aveva dichiarato però l’impossibilità di procedere perché il fatto era “estinto per intervenuta prescrizione”, anche se aveva confermato il risarcimento alle parti civili.

La sentenza
L’infermiere a questo punto è ricorso in Cassazione che ha confermato l’itr seguito dai giudici di merito: l'infermiere, omettendo di chiamare immediatamente il medico nonostante le condizioni del paziente, si è reso responsabile di una gravissima omissione da cui si è salvato penalmente solo per la prescrizione che tuttavia non ha annullato i risvolti civilistici della vicenda.

Nella sentenza la Cassazione ricorda che già la Corte – stessa Sezione – ha  avuto modo “di individuare in capo all'infermiere delle responsabilità di tipo omissivo riconducibili ad una specifica posizione di garanzia nei confronti del paziente del tutto autonoma rispetto a quella del medico”.

E che “ha ravvisato il fondamento di tale posizione di garanzia proprio nell'autonoma professionalità dell'infermiere quale soggetto che svolge un compito cautelare essenziale nella salvaguardia della salute del paziente, essendo onerato di vigilare sul decorso post-operatorio, proprio ai fini di consentire, nel caso, l'intervento del medico, che va oggi considerato non più "ausiliario del medico", ma "professionista sanitario".

La Cassazione evidenzia la corretta interpretazione della Corte d’Appello, nel momento in cui ha dichiarato che “l'imprudenza degli infermieri di non chiedere immediatamente l'intervento del medico ha costituito l'errore clamoroso che è costato la vita al paziente che, in quel momento, sottoposto a nuovo controllo dell'emocromo, avrebbe manifestato un ulteriore abbassamento del valore che, unitamente alle crisi ipotensive, già avrebbero permesso di formulare l'esatta diagnosi e procedere alle trasfusioni. Va, altresì, rilevato come i due infermieri, nonostante le crisi, abbiano colpevolmente omesso di controllare la frequenza cardiaca e quella respiratoria che, quantomeno nel corso dell'abbassamento pressorio, avrebbe consentito con certezza di registrare un aumento”.

Quindi, conclude la Cassazione “una volta accertata la legittimità e la coerenza logica della sentenza impugnata, deve ritenersi che il ricorso, nel rappresentare l'inaffidabilità degli elementi posti a base della decisione di merito, pone solo questioni che esorbitano dal limiti della critica al governo dei canoni di valutazione della prova, per tradursi nella prospettazione del fatto storico alternativa a quella fatta argomentatamente propria dai giudicanti e nell'offerta di una diversa (e per il ricorrente più favorevole) valutazione delle emergenze processuali e del materiale probatorio”.

E per questo “ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché - non ravvisandosi motivi di esclusione - al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in euro 2.000,00, nonché, alla rifusione delle spese sostenute dalle costituite parti civili liquidate come da dispositivo.
9 febbraio 2018
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