toggle menu
QS Edizioni - martedì 19 marzo 2024

Lavoro e Professioni

Cassazione. Specializzando non è solo esecutore di ordini e, pur non avendo piena autonomia, risponde comunque delle sue attività 

immagine 6 novembre - Il caso relativo a una donna ricoverata presso una casa di cura che, dopo un'amniocentesi, veniva lasciata alle cure di una specializzanda che non era stata in grado di assisterla in modo appropriato. A seguito di complicazioni la donna aveva subito un aborto, cui faceva seguito un gravissimo shock settico, con conseguente perdita della capacità di procreare e insufficienza renale cronica. Confermata condanna per il medico, la specializzanda e la casa di cura. LA SENTENZA.
Il medico specializzando non esegue solo “ordini” e risponde delle sue attività anche se non è in grado di compierle: ha già la laurea in medicina e anche se con un’autonomia limitata se svolge attività mediche ne risponde penalmente.

Lo ha stabilito la Cassazione, terza sezione civile, con la sentenza 26311/2019.

Il fatto
Una donna ricoverata in una casa di cura dopo l’amniocentesi eseguita da un medico e la successiva comparsa di perdite di liquido amniotico, è stata lasciata in cura alla sostituta di questo, specializzanda, essendo lui partito per l’estero. La specializzanda, per le perdite di liquido amniotico, aveva prescritto iniezioni di gestone.
La paziente, sottoposta in seguito a un ricovero d'urgenza per perdite ematiche e insorgenza di febbre, aveva subito un aborto, con peggioramento dello stato di salute fino a un gravissimo shock settico, dal quale sono conseguiti perdita della capacità di procreare e insufficienza renale cronica, nonostante i trapianti di rene eseguiti.

Dopo la condanna da parte del tribunale e il relativo ricorso, la Corte d’Appello aveva condannato comunque la casa di cura, il medico esecutore dell’amniocentesi (in quanto non avrebbe dovuto lasciare in altre mani, se non del suo stesso livello professionale, una sua paziente che aveva cominciato a seguire) e la specializzanda, in solido tra di loro, al pagamento di 3.543.190 euro oltre agli interessi legali e la compagnia assicuratrice della specializzanda a coprirla fino al massimale di 516.456 euro e quella del medico a tenerlo indenne nei limiti indicati.

Secondo la Corte l'esecuzione dell'amniocentesi era stata corretta e partendo il giorno dopo per gli Stati Uniti aveva affidato la paziente alla specializzanda che avrebbe dovuto sostituirlo in sua assenza.

Questa però, a fronte della gravità della situazione, anziché prescrivere l'immediato controllo ecografico e una terapia antibiotica a largo spettro, si era limitata a prescrivere il solo gestone, determinando l'aborto settico e le gravissime conseguenze che ne sono poi derivate, negando di essere stata indicata dal medico come sanitario al quale rivolgersi in sua assenza in caso di complicanze.

Per questo altri motivi (la specializzanda era stata successivamente più volte contattata telefonicamente fin dalle prime perdite senza però che questa avesse adottato alcun provvedimento) secondo la Corte d’Appello era emersa in modo chiaro la negligenza della specializzanda per non avere somministrato immediatamente una terapia antibiotica e per non avere prescritto l'immediato ricovero in una struttura adeguata, anche avendo le cognizioni per comprendere dai sintomi riferiti (perdite ematiche e febbre) che si erano verificate complicanze dell'amniocentesi.

Inoltre, ha sottolineato che la casa di cura non avrebbe dovuto accettare il ricovero non essendo in grado di fronteggiare la situazione d'emergenza, ma anzi avendo piuttosto l’obbligo a trasferirla presso strutture più adeguate.

La sentenza
La Cassazione ha dato ragione alla Corte d’Appello, spiegando che lo specializzando "non può essere considerato un mero esecutore d'ordini del tutore anche se non gode di piena autonomia".

Il fatto che si tratti di un medico, anche se specializzando, fa prevedere che una certa autonomia gli vada comunque riconosciuta e comunque la circostanza di essere in formazione specialistica comporta che ogni attività debba essere sempre svolta sotto le direttive del tutore.

Per la Cassazione “va rammentato che secondo la giurisprudenza penale di questa Corte il medico specializzando non è presente nella struttura per la sola formazione professionale, né lo specializzando può essere considerato un mero esecutore d'ordini del tutore anche se non gode di piena autonomia; si tratta di un'autonomia che non può essere  disconosciuta, trattandosi di persone che hanno conseguito la laurea in medicina e chirurgia e, pur tuttavia, essendo in corso la formazione specialistica, l'attività non può che essere caratterizzata da limitati margini di autonomia in un'attività svolta sotto le direttive del tutore”.

“Tale autonomia – si legge nella sentenza - seppur vincolata, non può che ricondurre allo specializzando le attività da lui compiute; e se lo specializzando non è (o non si ritiene) in grado di compierle deve rifiutarne lo svolgimento perché diversamente se ne assume le responsabilità (c.d. colpa per assunzione ravvisabile in chi cagiona un evento dannoso essendosi assunto un compito che non è in grado di svolgere secondo il livello di diligenza richiesto all'agente modello di riferimento”.

Nella sentenza poi la Cassazione bacchetta anche la casa di cura, respingendone i motivi di ricorso: “Essi attengono – si legge ancora - ad un profilo, che è il danno subito dalla donna, ed in particolare per il consenso informato e per un titolo di responsabilità diretta differente rispetto a quello riconosciuto in sentenza, rispetto al quale la ricorrente è priva di legittimazione ad impugnare”.

Secondo la Cassazione inoltre a questo va aggiunto che “in violazione dell'art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ., la ricorrente (la casa di cura, ndr.) non ha specificatamente indicato se ed in quale sede processuale abbia proposto una domanda di regresso nei confronti del condebitore solidale o abbia espressamente chiesto l'accertamento della gravità delle diverse colpe”.

Quindi, lo specializzando chiamato a svolgere attività che non è in grado di compiere (o che non si ritiene in grado di compiere) deve rifiutarne lo svolgimento. In caso contrario, se ne assume la responsabilità sotto tutti i punti di vista e la colpa è “per assunzione” che, come ricordato dalla stessa Cassazione, è riscontrabile in chi che "cagiona un evento dannoso essendosi assunto un compito che non è in grado di svolgere secondo il livello di diligenza richiesto all'agente modello di riferimento".
6 novembre 2019
© QS Edizioni - Riproduzione riservata