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QS Edizioni - giovedì 28 marzo 2024

Lettere al Direttore

Come saremo noi odontoiatri italiani tra 10 anni?

di Roberto Calandriello e Diego Capri
10 marzo - Gentile direttore,
a fronte di una durevole crisi economica e di una richiesta di salute della bocca della popolazione, è utile porre l’attenzione sui rischi legati a soluzioni mercantili che penalizzerebbero cittadini e odontoiatri.

Come sezione Andi (Associazione Nazionale Dentisti Italiani) di Bologna, abbiamo recentemente ospitato il Dottor Steven Saxe, noto chirurgo orale di Las Vegas (Nevada), da anni impegnato professionalmente nel pubblico e nel privato nonché nell'Associazione Americana dei Dentisti (ADA).
Nel corso di una mattina che ha attratto centocinquanta odontoiatri da tutta Italia il Dottor Saxe ha esposto quali effetti siano stati prodotti dalle soluzioni adottate in America dai terzi paganti.

Grossi gruppi assicurativi offrono diversi piani di copertura delle spese dentali e si è sviluppato un mercato, oramai enorme, di benefits ad uso dei lavoratori.

La negoziazione del costo dei vari contratti di benefits odontoiatrici avviene tra grandi aziende acquirenti e compagnie assicurative con l'intervento aggiuntivo dei sindacati dei lavoratori che, attraverso contrattazioni collettive, cercano di garantire per i dipendenti maggiori coperture.
In questo quadro le compagnie assicurative cercano chiaramente di rendere i "pacchetti di copertura dentale" più concorrenziali.

Tale obiettivo viene ricercato non limando sui propri profitti, che sono costantemente in aumento, ma sui rimborsi contrattuali per i dentisti sempre in diminuzione.

I piani di copertura assicurativi stanno diventando nel corso degli anni sempre più onerosi per chi li acquista, mentre i rimborsi annuali offerti sono stagnanti o addirittura calati.
La politica influenzata dalla lobbies appoggia tale sistema.

Infatti i grandi gruppi assicurativi sfruttano il decreto governativo McCarran Ferguson che gli consente di condividere informazioni e dati finanziari, in modo da fissare il valore dei rimborsi per l'intera comunità. Tale opportunità non è concessa ai dentisti che non possono discutere tra loro delle parcelle professionali o organizzarsi in gruppo per escludere piani di copertura troppo penalizzanti.

Inoltre le compagnie assicurative negli Usa rimangono anche escluse dalle norme Anti Trust e possono quindi creare monopoli e veri e propri cartelli.
Il quadro delineato ha creato l’humus ideale al fiorire di centri odontoiatrici che forniscono cure secondo modelli tipo “fast food”, basati cioè sul volume dei pazienti e non sicuramente sulla qualità della prestazione odontoiatrica. La proprietà di questi centri dentali, che in America sono chiamati Dental Service Organizations (DSO), è generalmente nelle mani del grande capitale che ha introdotto modelli di odontoiatria “corporate” in grado di sfruttare i bassi rimborsi assicurativi.

Queste strutture, che in Italia chiameremmo cliniche “Low Cost”, si garantiscono grandi rimborsi riuscendo ad ottenere da parte dello stato e/o dalle compagnie assicurative un notevole numero di pazienti. Lavorando in maniera “aggressiva” i centri DSO sono in grado di sfruttare tutto il rimborso annuale del paziente assistito esaurendo completamente, talvolta, tutto il monte di benefits dentali già nel corso dei primi appuntamenti.

La manodopera clinica in grado di portare avanti questi centri odontoiatrici “corporate” è rappresentata generalmente da giovani odontoiatri, disponibili a lavorare al “minimo salariale” pur di poter cominciare rapidamente ad appianare i pesanti debiti fatti per studiare. Inoltre questi stessi neolaureati non hanno le capacità economiche per poter aprire uno studio mono-professionale che possa difficilmente competere con le strutture gestite dai grossi imprenditori.

Questa dimensione imprenditoriale dell’odontoiatria rappresentata dai diversi network di studi DSO ha cambiato la percezione pubblica americana del ruolo dell’odontoiatra: i pazienti non sono più persone con un problema sanitario ma “lavoro” ovvero una pila di cartelle cliniche e il dottore viene definito come provider (il prestatore d’opera) sempre più prossimo alla figura di un vero e proprio venditore.

Gli studi dentistici sono di fatto gestiti da office manager, i dentisti/providers non hanno la necessità di instaurare un rapporto con i pazienti, di costruirsi una buona reputazione professionale e possono facilmente nascondersi dietro le larghe spalle dell’entità corporate. Nonostante l’imperversare dei low cost e delle convenzioni, il Dott.Saxe ha ricordato che la libera professione pura resiste bene e che il quadro varia a seconda degli stati. Infatti nell’ultima parte della sua trattazione ha voluto condividere con noi alcune interessanti riflessioni che potrebbero esser considerate come lungimiranti indicazioni per future azioni sindacali e da parte delle varie associazioni di categoria.

E’ fondamentale che il sindacato e le associazioni di categoria, prima fra tutti proprio l’ANDI, si impegnino nell’informare i cittadini, con i diversi mezzi di comunicazione oggi disponibili, sui bassi livelli di copertura forniti dai piani assicurativi presenti sul mercato a fronte di oneri economici importanti al momento dell’acquisto della polizza dentale. Sarebbe utile che il cittadino-paziente fosse meglio edotto sulle logiche, più imprenditoriali che sanitarie, dei grandi centri convenzionati con le compagnie assicurative, in modo da poter scegliere più consapevolmente a chi affidare la salute della propria bocca.
Inoltre, cosa più importante, le associazioni devono informare i cittadini dei rischi che corrono a rivolgersi a strutture che fanno della vendita sotto pressione la loro ragione di esistere.

È, altresì, fondamentale fare in modo che il dentista, singolo o associato, torni a essere, a differenza di quanto scritto nel DDL concorrenza 124, l’unico proprietario dello studio odontoiatrico e che abbia l’obbligo di esser presente durante l’attività clinica, mantenendo un comportamento etico nei confronti dei pazienti e dei colleghi.

Per capire come il fine di queste compagnie sia esclusivamente il profitto e che a rimetterci siano i pazienti e i professionisti, citiamo alcuni esempi sui guadagni dei dirigenti:
- Stephen Hemsley, amministratore delegato della UnitedHealth, 66.1 milioni di dollari l’anno, (254.328 dollari al giorno);
- David Cordani, presidente di Cigna, 27.2 milioni di dollari l’anno, 104.479 dollari al giorno;
- Michael Neidorff, amministratore delegato della Centene, 28.1 milioni di dollari l’anno, 107.796 dollari al giorno (1).

Tornando quindi al titolo dell’articolo: “ Come saremo tra 10 anni?” .... Tutto dipende da quello che le nostre Associazioni, l’Ordine e soprattutto noi stessi saremo disposti a fare oggi nell’interesse nostro e, soprattutto, dei nostri pazienti.

La realtà italiana è, e si mantiene, diversa da tutte quelle presenti negli altri stati. Convenzioni e strutture di capitali hanno trovato maggiore successo in altre realtà europee o di oltreoceano. Nel breve termine ci saranno cambiamenti demografici importanti come la riduzione notevole degli operatori sanitari (per ragioni di età) e l’aumento della richiesta di cure (per aumento dell’età della popolazione). Solo se il sindacato di categoria saprà guidare il cambiamento nel vero interesse dei propri associati, potremo mantenere una realtà diversa da quella figurata dal dr. Saxe.
 
Spetterà a noi creare un sindacato che lavori in tale senso.
 
Dott. Roberto Calandriello
Presidente Andi Bologna
 
Dott. Diego Capri
Segretario culturale Andi Bologna


(1) - http://jeffreydachmd.com/2015/05/health-insurance-ceos-rewarded-for-denying-care/
10 marzo 2018
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