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QS Edizioni - sabato 20 aprile 2024

Lettere al Direttore

Professioni sanitarie. C’è professionista e professionista

di Ivan Favarin
28 maggio - Gentile Direttore,
parrebbe un’ovvietà, ma è bene tener presente che in sanità c’è professionista e professionista.
 
Faldoni di leggi, regolamenti, norme contrattuali, codici deontologici e protocolli operativi non potranno mai forgiare il professionista ideale né tantomeno clonarlo. Vale per tutte le professioni. Un tempo, complice un rapporto maestro-allievo molto forte durante la propria formazione teorico-pratica, si cresceva per imitazione.
 
Purtroppo però l’imitazione ricalca inevitabilmente pregi e difetti. Qualche professionista sviluppa una sua professionalità originale, ma dietro l’angolo c’è sempre il rischio di cadere all’opposto: il battitore libero, ossia quella figura eccentrica, genialoide che tuttavia può recare grande giovamento come grande nocumento. Ognuno di noi troverà una collocazione in questo spettro ideale che va dal clone di stampo fantozziano al ribelle tipo dr. House.
 
In medio stat virtus, insegnavano gli antichi, ma è certo che personaggi come Dogliotti (nella chirurgia), Pasteur (nella microbiologia), Nightingale (nell’infermieristica) erano più battitori liberi che cloni. Spesso l’originalità è quello che gli altri apprezzano e copiano solo a posteriori, si dice.
 
Le istituzioni entro i cui limiti noi operiamo, soprattutto in alcuni ambiti specialistici e formativi, assomigliano molto al letto di Procuste. Chi eccede va amputato, chi è carente va stiracchiato. A essere sinceri, si assiste più spesso ad amputazioni (censure - nulla di fisico!) che a trazioni (incoraggiamenti a formarsi meglio, rimproveri per inadempienza). Le trazioni, se attuate, derivano purtroppo da sentenze passate in giudicato.
 
Esiste un’azione compressiva (quando non di ideale decapitazione) demandata alla legge del branco, e un’azione opposta demandata a organi con potere di giudicare e sanzionare.
 
Nel mezzo, vivono e operano i professionisti che hanno trovato una strada per operare in scienza e coscienza, limitando al minimo gli incidenti causati da zelo o da mancanza.
 
Ma i “puniti” recidivi che non si adeguano, sono davvero pecore nere, criminali, o ci troviamo di fronte a eventi (anzi, professionisti) sentinella? Non sono questi forse cartine tornasole viventi della bontà di una organizzazione nonché della professione stessa? Le loro istanze, sanzionate o trascurate perché disallineate, non sono forse un elemento da valutare? Semmelweis fu osteggiato e radiato perché colpevole di un atto supremo di ribellione: lavarsi regolarmente le mani e, quel che è peggio, indicarla come fattore di critico nella lotta alla sepsi. Dare degli zozzoni ai colleghi è disdicevole.
 
Buoni propositi, valide ricerche, idee innovative, miti sfatati con beneficio per i pazienti...tutti li vogliamo. Ma siamo tutti così aperti da poterli cogliere e apprezzare immediatamente, e con essi i loro portavoce “disallineati”?
 
Ci sono ataviche difese dello status quo che ce lo impediscono già a livello psico-sociale e antropologico. Figurarsi a livello pratico e operativo. Le categorie professionali alle quali apparteniamo assomigliano alle corporazioni storiche delle arti minori e arti maggiori. Se un’istanza innovativa viene da un’arte minore, l’arte maggiore la rifiuterebbe a priori per costituzione.
 
Forse ci sarebbe sì intesa interdisciplinare a livello personale, talora formalizzata a livello organizzativo aziendale, promossa da una dirigenza illuminata: lo constato quotidianamente nella mia realtà operativa.
 
Per inciso, anche fra le “arti minori” vige un certo distacco se non addirittura ostilità (ingenuamente liquidata come “guerra tra poveri” mascherando la debolezza argomentativa con la scarsità di reddito). Anche qui, ribadisco, c’è professionista e professionista, e fra persone intelligenti e preparate il dialogo o scontro assume toni più elevati e costruttivi.
 
Le recenti reciproche aperture degli Ordini delle due principali professioni sanitarie ci fanno ben sperare.
 
Tuttavia, organi che temono queste commistioni o condivisioni (peraltro validate come efficaci ed efficienti) le sanzionano, con censure anche solo locali (fatto questo che ne mette in discussione l’universalità).
 
Ma un buon professionista resta un buon professionista, e non andrebbe trattato come un’ancella, ma valorizzato. Il vantaggio sarà una crescita generale a beneficio del paziente. Anche a scapito dell’orgoglio di categoria fine a se stesso.
 
Insomma, c’è professionista e professionista. Non si può chiedere a tutti una performance stellare, ma non si può neppure pretendere che chi guarda alle stelle torni a guardare la punta delle scarpe. Giusto, Galileo?
 
Ivan Favarin
Infermiere 
28 maggio 2018
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