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QS Edizioni - venerdì 29 marzo 2024

Lettere al Direttore

Benci e i medici

di Gianni Porro
2 agosto - Gentile Direttore,
il Dott. Luca Benci, giurista e  vostro collaboratore abituale, è a mio avviso spesso abbastanza duro nei giudizi, specie coi medici, tanto da farmi talvolta sospettare che non deve trovarli nemmeno molto simpatici. Nella sua foto di presentazione, si fa ritrarre davanti ad uno scaffale tappezzato di libri, sicuramente segno di grande cultura. Non ha mai avuto la responsabilità di un paziente in tutta la sua vita nè l'avrà mai, perchè naturalmente non è il suo mestiere.

Il suo è un mestiere molto più difficile: lui è un giurista e giudica l'operato di quelli che invece di pazienti se ne occupano. Come nel recente articolo ("Se il medico è mandante e l'infermiere esecutore") non si limita a valutare l'agire nel merito, ma spesso esprime giudizi generali sulle relazioni organizzative tra le varie figure sanitarie, naturalmente viste da un punto di vista giuridico. Entra anche nel merito dell'agire clinico e le sue sintesi sono inoppugnabili.
 
Tutto nella sua ricostruzione dei fatti, sembra svolgersi secondo una semplice e fluida concatenazione. Peccato che quest'analisi, splendida come un coleottero morto tenuto in una bacheca, si svolga a bocce ferme, quando tutti possono dire qualsiasi cosa (avete presente come siamo bravi a fare la schedina il lunedì?). Per questo, a mio avviso (e non dò la cosa per scontata), un giudice dovrebbe cercare di essere molto attento e prudente verso tutte le parti in causa e non dimenticare mai la sua umanità.

Prendiamo come esempio il caso dell'articolo citato. Qualcuno sa cosa vuol dire avere sotto la propria responsabilità una paziente appena operata ancora molto fragile, con 5,3 di Hb? Come si sente il paziente, ma come si sente anche il medico? Può magari succedere a qualcuno, vivendo nella quotidiana paura di commettere errori, di fare una sciocchezza, come p. es. costringere il paziente, con mezzi di fortuna, a ricevere un atto terapeutico che si crede in buona fede necessario (e che il paziente non vuole), pensando nel frattempo per tutelarsi, di mandare una richiesta (probabilmente formalmente sbagliata) al magistrato di turno, chiedendo l'autorizzazione a procedere (errore grossolano: tanto lo sappiamo già, che quando succederà qualcosa, sarà lo stesso magistrato il primo ad impallinarti)? Siamo poi così sicuri che questa trasfusione non abbia invece salvato la vita alla persona? C'è qualcuno, consulente o meno, che può stabilirlo con assoluta sicurezza?

Eppure l'analisi di Benci, inflessibile, non mostra mai il benchè minimo dubbio o incertezza sul giudizio esclusivamente negativo dell'operato del medico, fino a coinvolgere anche gli infermieri, rei di non essersi opposti ("culturalmente arretrati" rispetto al loro attuale ruolo professionale o qualcosa del genere). Il linguaggio in cui si esprimono questi giudizi, apparentemente oggettivo e corretto, a me personalmente turba per la sua sostanziale freddezza e perfino per la sua crudeltà ("dura Lex sed Lex" nella sua versione più pura).
 
Ebbene, cosa sto cercando di dire?
 
Voglio dire che non invidio il Dott. Luca Benci. E' vero che nella sua posizione spesso si fa un figurone senza rischiare niente, ma nonostante tutto non vorrei essere al suo posto. Ma se proprio dovessi, diciamo perchè obbligato, proverei comunque a farlo con un pizzico di umiltà in più, con un rispetto ed un linguaggio sicuramente un po' diversi e con il minimo livello possibile di giudizio (diciamo quello sindacale).
 
E dico per l'occasione ai miei fratelli medici, infermieri ed oss di non scoraggiarsi, malgrado tutto, perchè l'assistenza ai malati è il più bel mestiere del mondo, che ha il potere di trasformarci in persone migliori, soprattutto se ci ricordiamo, almeno qualche volta, di tenere il cuore il più aperto possibile.
 
Dott. Gianni Porro
Psichiatra 
2 agosto 2018
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