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QS Edizioni - sabato 20 aprile 2024

Lettere al Direttore

Gli omicidi dei poliziotti a Trieste, #IAmNotDangerous e la Negazione

di Marco Iannucci e Gemma Brandi
9 ottobre - Gentile Direttore,
il 1° ottobre scorso The Lancet Psychiatry ha pubblicato un editoriale con questo titolo: #IAmNotDangerous and the politics of stigma. Nell’editoriale si partiva da una forte critica al Presidente Trump, il quale, dopo avere affermato che gli ultimi mass murders americani - quelli protagonisti in agosto delle stragi di El Paso nel Texas e di Dayton in Ohio - erano affetti con ogni evidenza da gravi problemi psichici, aveva indicato la necessità di rafforzare le istituzioni pubbliche di salute mentale perché - aveva detto - “we can’t let these people on the street” (“non possiamo lasciare queste persone per strada”).
 
Secondo l’editorialista di The Lancet Psychiatry sarebbe assolutamente fuorviante tirare in ballo la follia in occasione di simili mass shootings, visto che le organizzazioni di salute mentale avrebbero provato, al di là di ogni dubbio, che il problema americano della violenza con le armi non è un problema di salute mentale. Meglio sarebbe indicare la responsabilità dei politici collusi con i lobbysti delle armi.
              
Per contestare il legame tra follia e pericolosità sociale - legame che secondo l’editorialista sarebbe una bufala (a red herring) e rappresenterebbe una ulteriore e ingiustificata “stigmatizzazione” delle persone con disturbi mental i- si è sviluppata una delle abituali compagne sui social media, a partire dal commento critico alle affermazioni di Trump di una infermiera psichiatrica britannica, Cara Lisette, la quale,  dalla sua esperienza personale di persona affetta da un disturbo bipolare e da anoressia nervosa, aveva concluso il suo commento critico lanciando l’hastag #IAmNotDangerous. Molte altre persone, dopo l’appello/protesta di Cara Lisette, hanno testimoniato la loro esperienza di follia e rivendicato l’assenza, in loro, di una pericolosità sociale. L’editorialista conclude che sono queste persone ad essere per le strade e che queste persone siamo “noi”.
              
Va detto che c’è da rimanere esterrefatti e confusi di fronte alle affermazioni dell’editorialista di The Lancet. Ogni psichiatra serio, che abbia una vera esperienza della follia (la follia che consente all’immaginario di irrompere prepotentemente e senza controllo nella realtà, impedendo un adeguamento all’esame di realtà), sa perfettamente che in quella follia si annida una pericolosità sociale patente, che talora sostiene una aggressività irragionevole e incontrollata. Moltissimi dei gravi episodi aggressivi degli ultimi tempi (non importa che si tratti di mass shootings, ma specie si tratta di mass shootings) vengono compiuti da persone con gravissime turbe psichiche. Turbe psichiche talora non adeguatamente riconosciute dai servizi di salute mentale, ovvero non adeguatamente curate.
 
Oppure si tratta di folli completamente “abbondanati per strada”, perché i servizi non possono o non vogliono prendersene cura. Come nel caso degli stranieri affetti da grave malattie mentali. Abbiamo recentemente pubblicato un articolo sul tema delle Navi dei folli e sulla ipocrisia con cui, anche dalle nostre parti, viene affrontato il problema della “follia lasciata per le strade”.
 
Solo nell’ultimo mese gli episodi aggressivi (talora mortali) sono stati molteplici: a Lecco e ad Arezzo, alla stazione o nei pressi, tre donne sono state colpite senza alcun motivo da giovani evidentemente folli; alla stazione Tiburtina un giovane accoltella un vigilante, gli stappa la pistola e si uccide; a Parigi un “funzionario modello” (che viene peraltro indicato anche come “disabile”) entra nella Prefettura, accoltella quattro agenti e viene ucciso; a Trieste una persona, chiaramente folle a detta dei familiari, rapina uno scooter scaraventando a terra la giovane proprietaria, viene denunciato dai familiari e, giunto in Questura, uccide due poliziotti con le loro pistole e ne ferisce un terzo prima di essere a sua volta ferito e immobilizzato. Non è fra l’altro di scarsa importanza che si trattasse in gran parte di aggressori stranieri, considerando che la follia dello straniero o non viene riconosciuta o viene spesso trascurata.
              
 
Non si tratta quindi di stigmatizzare la follia. Si tratta piuttosto di compiere un adeguato esame di realtà e di riconoscere che talune forme di follia possono comportare, in certe fasi, gradi elevati di pericolosità sociale. I bravi psichiatri lo sanno. I bravi psichiatri non scotomizzano il fatto che le carceri siano ormai stracolme di pazienti affetti da gravi o gravissime turbe psichiche (talune delle “mental health advocacy organisations” americane che vengono citate nell’editoriale di The Lancet vanno da anni sottolineando che gli psicotici, nelle carceri statali e federali degli US, superano ormai il 10% della popolazione reclusa: 250 mila pazienti affetti da psicosi su 2 milioni e mezzo di detenuti!).
              
 
Soprattutto, i bravi psichiatri, sanno esattamente in quale conto tenere una negazione. Lo sanno dopo che Freud, ormai un secolo fa, pubblicò il bellissimo scritto su La negazione. Se dunque una infermiera psichiatrica, che ha sofferto di un disturbo bipolare e di una anoressia, ci dice che lei non è pericolosa, nel caso gli psichiatri volessero davvero commentare utilmente quel cinguettio (#IAmNotDengerous), dovrebbero far comprendere (anche alla infermiera Cara Lisette) il valore della affermazione contenuta nella negazione dell’hashtag. Alcuni anni or sono una giovane detenuta che era frequentemente in preda a comportamenti autolesivi, disse ad uno di noi che, nonostante facesse del male a sé stessa, “non avrebbe mai fatto del male agli altri”.
 
La psichiatra, che conosceva bene il valore della negazione oltre che della clinica, obiettò alla giovane paziente che la sua esperienza le impediva di credere che una persona che dimostrava, coi suoi comportamenti autolesivi, di non portare alcun rispetto per sé e per la sua vita, avrebbe invece portato rispetto per le altre persone e per la loro vita. Osservazione che aprì la strada, per quella paziente detenuta, alla cura della sua psiche, della sua persona e della sua pericolosità sociale.
 
Dr. Mario Iannucci
Dr.ssa Gemma Brandi
Psichiatri psicoanalisti
Esperti di Salute Mentale applicata al Diritto
9 ottobre 2019
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