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QS Edizioni - venerdì 26 aprile 2024

Lettere al Direttore

Se null’altro, oltre Sgarbi, conta

di Michele Castello
22 luglio - Gentile Direttore,
questa è la breve risposta di un infermiere all’ultima esternazione del senatore Vittorio Sgarbi sui suoi colleghi: “Gli infermieri debbono fare gli infermieri, non stare su Facebook a postare messaggi di paura per i cittadini o farsi selfie tra i malati e lanciarsi in improbabili sermoni dai toni insopportabilmente moralistici. A mettere terrore ai cittadini ci pensano già abbastanza bene la Protezione Civile, il ministero della Sanità e l’Istituto Superiore della Sanità”.
 
“Ho sempre sopportato con una paziente scrollata di spalle, perché la sopportazione è l’insegna di tutta la nostra tribù”1, diceva un noto personaggio di Shakespeare. Ancor di più poi, col senatore Sgarbi. Trovo tuttavia irrispettoso ignorarlo, come potrebbe accadere con una persona con turbe mentali. In segno di rispetto a lui, quindi, gli risponderò.

La risposta comincerà innanzitutto con le scuse per aver contravvenuto alle sue indicazioni: purtroppo, per leggere il suo pensiero, ahimè, ho dovuto “stare su Facebook”. In realtà, stando su Facebook ho avuto modo nel tempo di leggere anche altre sue mirabili considerazioni sugli infermieri, come quella del gennaio 2018 e le sue successive scuse che comprendevano altri insulti; quindi, da reo confesso, lo ammetto: sono anche recidivo.

È bello che il nostro autore possa esprimere liberamente il suo pensiero. Tuttavia, mentre lo fa, è anche un senatore della Repubblica, il che – almeno per me – complica un pochino le cose. Già annusavamo da lontano i toni pleonastici di chi ci chiamava eroi durante l’emergenza (politici prima di tutto) pur essendo i veri artefici del fatto che partivamo da una situazione di emergenza già prima del Covid. Se un senatore mi dice questo, per quanto mi riguarda, mi sta dicendo questo lo Stato. Devo per forza prenderne atto.

Con grande afflato accolgo il principio per cui “gli infermieri debbono fare gli infermieri”. Quindi ciò vuol dire che debbono scrupolosamente attendere al proprio lavoro, senza surrogare a nessun’altra professione. Provo a immaginare ospedali in cui ciò avviene, in cui gli infermieri non debbano a un tempo essere oss, autisti, segretari, personale di pulizie, psicologi, operai. Ci provo ma non ci riesco, perché se gli infermieri facessero gli infermieri, molte aziende sanitarie si paralizzerebbero di colpo.

Ma lungi da me nello scadere in un improbabile sermone. Sono d’accordo anche su questo. Guai a chi predica ma non passa mai all’atto pratico. Rischia di non veder mai nulla di realizzato. Via la morale, dunque. Parliamo un attimo dei nostri contratti. Abbiamo un contratto bloccato da più di dieci anni e, per legge, avremmo diritto anche agli arretrati per il lavoro svolto e non pagato. Prima di fare la morale a noi, si preoccupi il senatore – sempre in veste di rappresentante dello Stato – di rifonderci del dovuto. E ancora non ho parlato delle nostre condizioni di lavoro. Perché né le adulazioni in tempo di crisi, né il disprezzo in tempo di pace possono sanare questo problema.
 
Mi piacerebbe poter dire che i politici facciano i politici, non stare su facebook a postare messaggi di paura per i cittadini o farsi selfie tra i malati (e presunti sani) e lanciarsi in improbabili sermoni dai toni insopportabilmente moralistici, ma non lo faccio. Ricordo solo che l’insopportabile moralismo vorrebbe che prima di pensare al lavoro altrui, ognuno pensasse al proprio.
Ma veniamo al terrorismo, che è il punto focale del nostro critico.
 
Forse il senatore Sgarbi non crede nelle misure di protezione per l’emergenza Covid-19 e ai dati che gli istituti citati forniscono. Va bene, ognuno può credere ciò che vuole, non sarò certo io a dissuaderlo. Tuttavia, se non vuol sentir parlare di Covid, io pure, coerentemente con la mia risposta e il suo messaggio, scelgo di restare terrorista e mi lancio in un attacco kamikaze.

Stando a quanto dimostrato da noti terroristi come Vincent2 o Maruff3, lavorare stanchi e sotto stress è come lavorare da ubriachi. Gli effetti delle condizioni di lavoro a cui siamo attualmente sottoposti noi infermieri – mediocri e inattendibili comunicatori – sono un rischio di cui temere non più del Covid, per cui capisco che il senatore – che già non teme troppo il Covid, non si curi anche di questo pericolo. Il carico di lavoro di un infermiere nell’unità operativa semplice tipo degli ospedali pubblici è nel rapporto di 1 infermiere a 13 pazienti; in alcune realtà e in certe situazioni (es. turni notturni)in molte RSA, questo rapporto passa drammaticamente a 1 infermiere a 40 pazienti, in media.
 
Nonostante la scarsa scientificità del nostro lavoro(cfr. sua esternazione del gennaio 2018)4, secondo le linee guida dei Paesi più attenti alla patient safety (sicurezza del paziente), dovrebbe essere di 1 infermiere a massimo 6 pazienti5; ma in Italia pare non indispensabile investire in sicurezza delle cure; molto più facile additare come inetti gli infermieri quando accadono eventi avversie quando postano le proprie osservazioni su Facebook.
 
Se una domanda potessi rivolgere al senatore Sgarbi, gli chiederei: lei si farebbe curare da un infermiere ubriaco? Le garantisco che gli infermieri starebbero meno sui social e farebbero meno “terrorismo” se lavorassero meglio e in condizioni di sicurezza e dignitose.

Michele Castello
Infermiere
 
Bibliografia
1 Shakespeare W., Il mercante di Venezia, shakespeareitalia.com .
2 Vincent C., La sicurezza del paziente, Springer Science & Business Media, 17 feb 2011.
3 Maruff P. et. al, Fatigue‐related impairment in the speed, accuracy and variability of psychomotor performance: comparison with blood alcohol levels, J. Sleep Res. (2005) 14, 21–27.
4 Biondino A., Sgarbi insiste: “Fare l’infermiere non richiede conoscenze rigorose e professionali”, Nurse Times, 31/01/2018.
5 Griffiths P, Ball J, Murrells T, et al. Registered nurse, healthcare support worker, medical staffing levels and mortality in English hospital trusts: a cross-sectional study. BMJ Open 2016;6:e008751. doi:10.1136/bmjopen-2015- 008751.
22 luglio 2020
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