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QS Edizioni - giovedì 28 marzo 2024

Lettere al Direttore

Dopo il Covid nulla dovrà essere come prima

di Bruno Ravera
31 luglio - Gentile Direttore,
seguo con il consueto interesse il dibattito sulla necessità di eliminare il cosiddetto “imbuto formativo”. Credo che il problema non sia solo quello di aumentare il numero delle borse di studio, su cui siamo tutti d’accordo. Osservo però che al di la di toni inutilmente aggressivi e talvolta offensivi (che è sempre un pessimo modo di polemizzare) bisogna dare obiettivamente atto che quest’anno, probabilmente per merito (!) della Covid-19, vi è già stato un consistente aumento delle borse di studio. Dire che non è ancora sufficiente mi pare il minimo sindacale, anche se sarebbe lecito domandare, almeno ai più giovani (attenti ai cattivi maestri!); perché non si sono adoperate le stesse espressioni quando l’aumento delle borse di studio era fatto ogni anno a dosi omeopatiche?
Credo anche che il problema delle specializzazioni sia un po’ più complesso e richieda un maggiore approfondimento.
 
Per parte mia tenterò di farlo, trascorsa la calura estiva che per antica saggezza può provocare brutti scherzi. Nei paesi civili in estate il Parlamento chiude. Quando rimane aperto, come in Italia, accade quello che spesso apprendiamo da sia pur striminziti report parlamentari e immagini televisive.
Dal momento che anche il patrio governo non ha ancora definitivamente deciso chi lo predisporrà e come si affronterà il famoso piano previsto dal Recovery Found, possiamo prenderci un po’ di tempo per elaborare una proposta complessiva che tenga conto dei vari aspetti del problema. Ma una domanda pregiudiziale deve essere posta. Siamo proprio sicuri che le attuali scuole di specializzazioni siano oggi in condizioni di dare una formazione specialistica adeguata a questo aumento esponenziale dei legittimi aspiranti?
 
Credo che nessuno abbia intenzione di rilasciare o richiedere titoli fasulli, come pure è accaduto qualche volta (solo?) in passato. Mi limito a citare l’esempio di Torino degli anni 60. Allora diamoci (potrebbe non essere un plurale maiestatis) una calmata e inseriamo questo decisivo problema all’interno di un approfondito discorso sulla organizzazione e formazione universitarie, che resta ovviamente sempre compito essenziale, sia pure non esclusivo, dell’Università. Ad esempio, per la Facoltà di Medicina, di cui molti professori universitari sollecitano un adeguamento, le istituzioni mediche nel rispetto dei ruoli potrebbero dare utili suggerimenti.
 
Tutti però dovremmo associarci a quanti richiedono adeguate risorse per la ricerca, l'Università, la scuola e la cultura. Con quello che si sarebbe risparmiato senza la sciagurata pensione a 100 (a proposito: a quando una class action dei giovani, su cui ricadranno gli oneri di questo scempio, contro i responsabili?) o con il reddito di cittadinanza, sacrosanto se fosse andato solo ai veramente bisognosi, si sarebbe consentito a questo vitale settore di abbandonare le ultime posizioni conquistate (!) tra le nazioni civili.
 
Naturalmente il problema è molto più vasto e coinvolge una riforma complessiva del sistema Italia, che tutti auspicano almeno a parole. In essa Sanità e Scuola dovrebbero costituire assolute priorità.
Si sta procedendo invece a spizzichi e bocconi. Ognuno cerca di risolvere i problemi di una singola categoria, dimenticando che il bene comune non è mai la somma dei beni individuali e che bisogna assolutamente evitare le terribili e purtroppo prevedibili ammucchiate (ogni riferimento è ovviamente voluto).
 
Tutto si tiene. Non vi sono compartimenti stagni ma vasi comunicanti. Tempo fa lanciai una provocazione su QS che qualche collega riprese. Era il periodo della polemica con la non rimpianta Ministra Grillo. Se il Ministro dicesse alla FNOMCeO: “fate voi una riforma della Sanità”, che risposta avrebbe avuto?
 
Per carità di patria non accenno, almeno per ora, a quello che ogni sigla sindacale medica propone: ognuno presenta la sua ricetta e quanto più piccola è, più fa sentire la propria voce. E’ serio?
Temo l’assalto alla diligenza, come nelle migliori tradizioni italiche.
 
La mia speranza sta nell'Europa. A costo di passare per “nemico della patria” come Andrea Chenier, io ritengo che le condizioni imposte dall'Europa per utilizzare il Recovery Found siano più che condivisibili, auspicabili.
 
E’ incomprensibile che mentre per il Recovery Found si accettano o si subiscono vincoli e condizionamenti (per di più, doverosi), per il MES, ove vi sono 37 mld di Euro senza condizionalità, se non quella benedetta che si tratta di somme da utilizzare direttamente o indirettamente solo per la Sanità e Dio sa se non ce n’è assoluto bisogno (v. Speranza e Sileri) si rinvia ogni decisione. Ma vi è di peggio e di più. Il Recovery Found è utilizzabile a partire dalla seconda metà del 2021 e il MES è invece immediatamente spendibile. E allora?
 
Non cogliere questa opportunità per un malinteso patriottismo, che è invece nazionalismo bello e buono, è assumersi una grande responsabilità verso il proprio paese, di cui si potrà un giorno essere chiamati a rispondere.
 
Proclamare petto in fuori: “l'armi, qua l'armi, io sol combatterò, procomberò sol io”, con quel che segue, potrà anche suscitare l'applauso ma è un comportamento da irresponsabili.
 
E allora? E qui viene in soccorso la saggezza della Chiesa, che pare abbia recepito il concetto dal mondo greco-romano. “Quos Deus perdere vult, prius dementat”. Per i non cristiani al posto di Deus ci si può mettere Juppiter, ma come in matematica, il prodotto non cambia.
 
Tutti dicono che dopo la Covid-19 nulla sarà come prima. Io mi limiterei a dire: nulla dovrà essere come prima.
 
Le avvisaglie non sono incoraggianti, ma come lei sa, io sono un uomo di fede.
 
 
Bruno Ravera
Già Presidente Omceo Salerno
31 luglio 2020
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