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QS Edizioni - martedì 23 aprile 2024

Lettere al Direttore

Inquinamento atmosferico e mortalità da Covid-19

di Alberto Donzelli
7 gennaio - Gentile Direttore,
ho letto l’articolo “Covid. Particolato atmosferico non favorisce la diffusione in aria del virus. Cnr e Arpa Lombardia smentiscono ipotesi di correlazione”, relativo a uno studio pubblicato su Environmental Research.
 
Condivido le conclusioni dell’articolo e la sintesi che ne fa QS, ma non vorrei che qualche lettore frettoloso intendesse che è smentito un contributo dell’inquinamento atmosferico alla gravità e letalità da Covid-19. In realtà l’articolo si limita a concludere che “il particolato atmosferico” all’aperto “non sembra agire come veicolo del coronavirus”, e che la “probabilità di trasmissione in aria del contagio, al di fuori di zone di assembramento, appare trascurabile”.
 
Vorrei aggiungere che le condizioni di assembramento che renderebbero plausibile una trasmissione all’aperto sono quelle di raduni piuttosto “statici”, in cui si resti a stretto contatto per un tempo consistente con gli stessi soggetti, tra cui ci può essere chi è potenzialmente contagioso. Si nota che l’articolo fa riferimento, ad es. per Milano, a una prevalenza dell’1% circa di infetti, per altro non tutti contagiosi.
 
Ma le probabilità di trovarsi per strada accanto a un soggetto contagioso sono ovviamente inferiori all’1%, anche perché una parte di questi presenta sintomi, e non sarebbe dunque in circolazione, ma cercherebbe di isolarsi. Ciò rende dunque irrilevante il rischio da prossimità “breve o accidentale” all’aperto con persone non conviventi.
 
Un Position Paper della Società italiana medicina ambientale (SIMA) aveva associato la velocità d’incremento dei contagi in alcune zone del Nord Italia con l’inquinamento da particolato atmosferico, di cui aveva ipotizzato un’azione di trasporto (carrier) a distanza, anche al di là degli effetti negativi sulla salute dell’esposizione cronica, elevata da decenni nella Pianura Padana.
 
Il documento ha fatto discutere,e l’ipotesi del carrier, con poca plausibilità biologica alla luce delle attuali conoscenze,poteva creare inutile panico nella popolazione, benché in ambienti chiusi, e soprattutto in strutture sanitarie, il virus eliminato con l’aerosol respiratorio potrebbe essere ancora infettivo, con un ruolo nella trasmissione dell’infezione che il particolato atmosferico potrebbe potenziare.
 
Nel dibattito si è inserito anche uno studio su un territorio in cui vive quasi tutta la popolazione USA, che ha riscontrato un aumento nella mortalità da COVID-19 per ogni mcg/m3 di incremento nell’esposizione a lungo termine di PM2,5. La clamorosa novità è stata che l’incremento riscontrato pare molto maggiore rispetto alla mortalità da ogni causa sinora associata al PM2,5, con stima finale di un significativo +11% di mortalità per ogni aumento di 1 mcg/m3 di PM2,5.
 
Se confermato, questo effetto potrebbe spiegare la differente gravità delle epidemie regionali in Italia, di certo condizionate da un “fattore geografico”, dopo che argomentazioni convincenti hanno fatto escludere altre ipotesi (maggior infettività o aggressività del virus al Nord, differenti misure di contenimento…) per spiegare la diversa gravità delle epidemie. In effetti la Pianura Padana ha fatto registrare le più alte concentrazioni medie annue di PM2,5 in Europa: da 25 a >30 mcg/m3, ben superiori ai limiti EU di 25 mcg e a quelli OMS di 10 mcg/m3, e molto superiori sia a valori medi italiani (~18 mcg/m3, e ancor più a quelli del resto d’Italia dopo aver escluso la Pianura Padana), sia a quelli medi USA, di soli 9,8 mcg/m3 nel 2016.
 
L’Istituto Superiore di Sanità ha a suo tempo annunciato uno specifico studio epidemiologico nazionale per verificare questa ipotesi.
 
In effetti, i dati di mortalità da Covid-19 Istat-ISS febbraio-novembre nella “Prima ondata” pandemica avevano mostrato un fortissimo eccesso di mortalità al Nord, nelle regioni della Pianura Padana. La “Seconda ondata” ha mostrato nel mese di ottobre un eccesso di decessi totali del 13% abbastanza uniforme nel territorio nazionale, ma in novembre, mese più caratterizzato da condizioni geotermiche invernali, si è di nuovo manifestato l’eccesso di mortalità del Nord (+61,4%), rispetto al Centro (+39,3) e al Sud Italia (+34,7%).
 
Dunque, pur in presenza di rischi multifattoriali e solo in parte identificati, sembra molto probabile uno specifico fattore legato alla Pianura Padana nei mesi tardo-autunnali e invernali. Il riferimento all’inquinamento atmosferico, in particolare da PM2,5, sembra ad oggi un forte fattore esplicativo.
 
La ricerca statunitense prima citata stima per l’Europa un contributo del 19% (da 8% a 41%) del PM2,5 alla mortalità da Covid-19. Dati i valori riportati in Pianura Padana (v. allegata immagine dal Rapporto 2019 dell’European Environment Agency Air Quality in Europe), per le regioni che vi gravitano il contributo del PM2,5 potrebbe essere molto maggiore.
 
Che cosa fare dunque? Istituzioni e decisori politici potrebbero adottare misure molto più energiche di contrasto alle emissioni atmosferiche, ma anche i cittadini, oltre a richiederle, potrebbero dare importanti contributi.
 
Ad esempio favorendo la conversione di impianti di riscaldamento inquinanti, facendo maggior ricorso a forme di mobilità ecosostenibili, a modelli alimentari (e agrozootecnici) a basso impatto ambientale, che sono anche più favorevoli alla salute, alla longevità e alla protezione dalle stesse malattie infettive. Si ricorda che il contributo della filiera alimentare alla produzione di gas serra, al consumo di acqua e di suolo è stimato maggiore rispetto a quello dei trasporti a livello mondiale (si pensi ad es. ai consumi eccessivi di carni e all’impatto sproporzionato degli allevamenti intensivi): scelte coerenti dei consumatori potrebbero mitigarlo.
 
Per finire, si ricordano anche semplici misure di protezione individuale: anziani con problemi cardiorespiratori (o adulti/bimbi con asma) possono monitorare i bollettini con i valori di particolato atmosferico, evitando nei giorni di picco di camminare/fare attività fisica lungo strade trafficate. Per chi si muove in bicicletta nel traffico (comunque meglio che viaggiare in abitacoli d’auto chiusi, dove gli inquinanti non si disperdono e si concentrano), evitare ore di punta o riparare naso e bocca con una mascherina, preferendo quelle lavabili a quelle usa e getta che alimentano l’inquinamento.
 
Evitare strade trafficate con bimbi nei passeggini, all'altezza degli scarichi veicolari. Ventilare le abitazioni in ore senza il traffico diurno di tante città.
 
Dott. Alberto Donzelli
Comitato scientifico della Fondazione Allineare Sanità e Salute
7 gennaio 2021
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