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QS Edizioni - venerdì 29 marzo 2024

Regioni e Asl

Migliorano le performance della sanità sarda. Lo certifica il Piano nazionale esiti dell’Agenas

di Elisabetta Caredda
immagine 10 giugno - Migliorano nel 2017, rispetto al 2016, le prestazioni su parti e fratture, su queste ultime alcune strutture raggiungono gli standard internazionali. Migliora anche l’appropriatezza e l’efficacia del percorso diagnostico-terapeutico del paziente a 30 giorni dall’infarto miocardico acuto o di ictus ischemico o di embolia polmonare. C’è da lavorare ma fanno ben sperare gli esiti delle colecistectomie con degenza inferiore a 3 giorni e delle ricostruzioni nel ricovero per intervento chirurgico demolitivo su tumore al seno. IL PNE 2018. I GRAFICI
La Regione Sardegna mostra segni di crescita nel nuovo Programma nazionale esiti di Agenas (PNE) relativo all'anno 2017, e presentato a Roma qualche giorno fa, rispetto ai dati registrati su di alcuni indicatori facenti parte dell’edizione precedente per l’anno 2016. Il PNE sviluppato da AGENAS per conto del Ministero della Salute, fornisce valutazioni comparative di efficacia, equità, sicurezza e appropriatezza delle cure prodotte nell’ambito del servizio sanitario italiano. Le attività sulle quali si concentra prevalentemente il PNE  riguardano la valutazione comparativa tra soggetti erogatori, quali aziende sanitarie, ospedali pubblici e privati accreditati, e tra gruppi di popolazione.  

Per la Regione Sardegna, dove si ricorda che nell’agosto 2016 nasce l’Azienda Unica Sanitaria (ATS), tra gli indicatori analizzati dal Programma nazionale esiti e sui quali abbiamo approfondito, troviamo:

FRATTURA DEL COLLO DEL FEMORE
Con il progressivo invecchiamento della popolazione e di conseguenza dell’aumento dell’aspettativa di vita, la proporzione di persone sopra la mezza età che sono a rischio di una possibile frattura del femore nonchè la sopravvivenza in condizione di disabilità, sono entrambi eventi destinati ad aumentare nel tempo e ad avere un impatto crescente in termini di risorse  dedicate. In proposito, l’intervento tempestivo sulla frattura del collo del femore nell’anziano consente di ridurre la mortalità e l’insorgenza di complicanze post-operatorie, migliorando l’opportunità di ripresa del paziente e di recupero del funzionamento dell’arto.

Il Regolamento del Ministero della Salute sugli standard quantitativi e qualitativi dell’assistenza ospedaliera (DM70 del 2015) fissa al 60% la proporzione minima per struttura ospedaliera di interventi chirurgici entro 2 giorni su pazienti con frattura del collo del femore di età maggiore di 65 anni. In riferimento a questo standard, si è visto che in Italia la proporzione di fratture del collo del femore sopra i 65 anni di età operate entro le 48 ore è passata dal 58% del 2016, al 65% del 2017. Si stima che nel 2017 siano circa 24.000 i pazienti che hanno beneficiato dell’intervento tempestivo. Dalle 245 strutture che nel 2016 rientravano in questo standard, si è passati nel 2017 a 289 strutture ospedaliere che si posizionano al di sopra della soglia prevista, delle quali 97 presentano valori addirittura in linea con lo standard internazionale (almeno 80%), con un conseguente aumento delle condizioni di equità di accesso a un trattamento di provata efficacia nella riduzione della mortalità e della disabilità.

In proposito, vediamo che nell’anno 2017 la Regione Sardegna mostra un valore medio regionale del 57,6% (quadratino giallo), leggermente inferiore al valore medio nazionale del 65% ma superiore alla media regionale del 2016 che era del 50,8% (pag. 2 e 3 allegato); la struttura ospedaliera con le più alte proporzioni effettua più dell’80% di interventi entro le 48 ore (trattino orizzontale superiore) in linea con lo standard internazionale e la struttura con proporzioni più basse svolge con tempestività circa il 25% degli interventi (trattino orizzontale inferiore). La metà delle strutture ospedaliere sarde, inoltre, effettua interventi tempestivi in proporzione tra il 43% e il 70%. L’altezza del rettangolo rappresenta infatti la variabilità interna. Di contro, nel 2016 la struttura ospedaliera con le proporzioni più alte per la tempestività degli interventi raggiungeva appena il 76,4%, quella con le proporzioni più basse arrivava a toccare il 17%.

PROPORZIONE DI PARTI CON TAGLIO CESAREO PRIMARIO
L’Organizzazione Mondiale della Sanità sin dal 1985 afferma che una proporzione di parti con taglio cesareo superiore al 15% non è giustificata, per maggiori rischi che il cesareo potrebbe comportare per la donna e per il bambino, e dovrebbe essere effettuato solo in presenza di specifiche indicazioni di diagnosi materne o fetali che lo rendano necessario.

Il DM70 fissa al 25% la quota massima di cesarei primari per le maternità con più di 1000 parti annui e al 15% fissa quella per le maternità con meno di 1000 parti annui. Relativamente a queste soglie, si è visto che in Italia la proporzione dei parti cesarei primari ha continuato a scendere progressivamente anche nell’ultimo anno di valutazione, passando dal 24,5% del 2016 al 23,3% del 2017, con differenze importanti all’interno di ogni singola regione e tra le regioni. Si stima che nel 2017 siano più di 17.000 le donne alle quali è stato risparmiato un taglio cesareo primario.

La Regione Sardegna nell’anno 2017 mostra in relazione al ricorso di parti chirurgici (pag. 5 e 6 allegato), un valore medio regionale del 27,2% (quadratino giallo), superiore al valore medio nazionale del 23,3% ma inferiore rispetto alla media regionale del 2016 che era del 29,2%; la struttura ospedaliera che effettua cesarei in maggior proporzione tocca appena il 39% (trattino orizzontale superiore) e quella che ne effettua in minor proporzione conta il 16% di interventi (trattino orizzontale inferiore); la metà delle strutture sarde esegue tra il 24% e il 29% parti cesarei, nel 2016 le percentuali erano comprese tra il il 22% e il 34%. Questi dati, nonostante ci sia ancora da migliorare, rilevano tuttavia per la Regione Sardegna un leggero decremento al ricorso dei parti chirurgici.

INFARTO MIOCARDICO ACUTO: MORTALITÀ A 30 GIORNI
La mortalità a 30 giorni dal ricovero per infarto acuto del miocardio, che misura la qualità e l’appropriatezza dell’intero percorso assistenziale al quale è sottoposto il paziente con infarto nei primi trenta giorni, a partire dall’accesso ai servizi di emergenza, continua a diminuire: si passa dall’8,6% del 2016 all’8,29% del 2017. Questo valore medio nazionale risulta essere un dato positivo, pone la mortalità post-IMA dell’Italia tra le più basse nei paesi occidentali.

Nell’anno 2017 la Regione Sardegna presenta un valore medio regionale di mortalità ai 30 giorni per infarto di circa l’ 8,27% (pag. 8 e 9 allegato), circa quanto il valore medio nazionale, e molto inferiore alla media regionale del 2016 che era pari a 9,25%.

ICTUS ISCHEMICO: MORTALITÀ A 30 GIORNI
Si stima che l’80-85% degli ictus siano di natura ischemica. Quest’indice misura la mortalità a 30 giorni dopo ricovero per ictus ischemico e valuta l’appropriatezza ed efficacia di tutto il processo diagnostico-terapeutico del paziente nel primo mese post-evento; il valore della media nazionale per il 2017 rimane pressochè stabile intorno l’11%.
In questo caso la media regionale della mortalità per ictus in Sardegna per il 2017 vediamo essere più o meno allineata a quella nazionale (pag. 11 e 12 allegato); si nota inoltre che la metà delle strutture sarde ha registrato una proporzione di mortalità a 30 giorni dopo ricovero per ictus ischemico tra l’8,96% e il 12,6% mentre nel 2016 le proporzioni erano comprese tra il 5,76% e il 16%.

EMBOLIA POLMONARE: MORTALITÀ A 30 GIORNI
Nell’edizione 2018 del Programma nazionale esiti, Agenas introduce l’analisi di un nuovo indice, quello dell’embolia polmonare. Questa patologia è considerata la terza causa della malattia acuta cardiovascolare e colpisce in Italia una persona su centomila. Nella maggior parte dei casi, l’embolia polmonare è secondaria ad una trombosi venosa profonda degli arti inferiori o di altri letti venosi: i coaguli, trasportati dal sangue fino al cuore come emboli, vengono spinti nelle arterie polmonari, dove determinano un’ostruzione acuta del letto vascolare. La mortalità entro trenta giorni dalla diagnosi è del 7-11%, la tempestività della diagnosi che consente di intervenire ed aumenta l’efficacia dei trattamenti necessari ad ottenere la regressione trombotica e la conseguente stabilizzazione emodinamica, è dunque fondamentale.

In Italia la mortalità per embolia polmonare a 30 giorni è passata dal 10.6% del 2016 al 10.5% del 2017. Rispetto a questo valore medio nazionale, la media regionale della mortalità per embolia in Sardegna è dell’11%, un risultato che rileva quantunque dei miglioramenti se si pensa che nel 2016 la media regionale era del 13% (pag. 14 e 15 allegato).

COLICISTECTOMIE LAPAROSCOPICHE: DEGENZE OPERATORIE INFERIORI A 3 GIORNI
La colecistectomia per via laparoscopica è funzionale nel trattamento della calcolosi della colecisti nei casi non complicati: a differenza dell’intervento a cielo aperto si svolge con una degenza ospedaliera e ad una convalescenza di tempi significativamente più brevi. Il Regolamento del Ministero della Salute sugli standard quantitativi e qualitativi dell’assistenza ospedaliera fissa al 70% per struttura la quota minima di colecistectomie con degenza postoperatoria inferiore a 3 giorni. Il valore medio nazionale di questi interventi in Italia con degenza postoperatoria inferiore a 3 giorni è passata dal 72.7% del 2016 al 75.6% del 2017.

La Regione Sardegna nell’anno 2017 ha svolto interventi con degenza postoperatoria inferiore a 3 giorni per un valore medio regionale del 74% (pag. 17 e 18 allegato), lievemente inferiore al valore medio nazionale ma superiore alla media regionale del 2016 che era del 72%; la struttura ospedaliera in maggior proporzione tocca il 93,5% e quella in minor proporzione di interventi il 39%. La metà delle strutture sarde mostrano una proporzione di colecistectomie con degenza postoperatoria inferiore a 3 giorni compresa tra il 62% e l’89%, nel 2016 le percentuali erano tra il il 66,5% e il 90,6%.

PROPORZIONE DI INTERVENTI DI RICOSTRUZIONE O INSERZIONE DI ESPANSORE NEL RICOVERO PER INTERVENTO CHIRURGICO DEMOLITIVO PER TUMORE INVASIVO DELLA MAMMELLA
Il carcinoma mammario ha una incidenza pari al 30% circa di tutti i tumori e risulta essere la neoplasia più frequentemente diagnosticata e la prima causa di morte nelle donne in tutte le fasce di età. La scelta del trattamento dipende dal tipo e dallo stadio del carcinoma, dalle condizioni e dall’età della paziente, ma la terapia standard prevede l'intervento chirurgico, radicale o conservativo, eventualmente associato a chemioterapia e/o radioterapia.

L’indicatore analizzato nel PNE di Agenas misura la necessità di sottoporre la paziente a un ulteriore intervento chirurgico, in via integrativa e compensativa rispetto a un primo intervento di resezione per tumore maligno della mammella. La proporzione in Italia di ricostruzione contestuale all’intervento demolitivo per TM della mammella è migliorata nel tempo ed anche rispetto al penultimo anno di valutazione, passando da 48,1% del 2016 al 50% del 2017 e aumentando anche nel corso del 2017. La media italiana è del 50%.

Nell’anno 2017 la Regione Sardegna ha svolto questo tipo di interventi per un valore medio regionale del 45,3% (pag. 20 e 21 allegato), risultato leggermente inferiore al valore medio nazionale e significativamente superiore alla media regionale del 2016 che era del 39%; la struttura ospedaliera in maggior proporzione tocca il 57% e quella in minor proporzione di interventi il 21%. La metà delle strutture sarde mostrano una proporzione di interventi di ricostruzione o inserzione di espansore nel ricovero per intervento chirurgico demolitivo per tumore invasivo della mammella compresa tra il 29,5% e l’56,7%, nel 2016 le percentuali erano tra il 16,5% e il 43,6%.

Elisabetta Caredda
10 giugno 2019
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