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QS Edizioni - sabato 20 aprile 2024

Scienza e Farmaci

HIV: ancora troppe disparità regionali nell’applicazione del Piano Nazionale AIDS

di Marzia Caposio
immagine 23 dicembre - I risultati del progetto APRI di SDA Bocconi e Gilead Science e la firma di un Manifesto per il rinnovato impegno delle istituzioni all’evento “L’HIV 40 anni dopo. Rilanciare la lotta alla pandemia dimenticata”
I numeri della lotta all’Hiv in Italia non sono buoni. A renderli noti è il progetto di ricerca APRI – Aids Plan Regional Implementation, realizzato da SDA Bocconi School of Management con il contributo di Gilead Sciences e presentato lo scorso 16 dicembre nel corso dell’evento “L’HIV 40 anni dopo. Rilanciare la lotta alla pandemia dimenticata”. L’iniziativa è stata patrocinata da Istituto Medicina Solidale.
 
A due anni dall'entrata in vigore del Piano nazionale di interventi contro HIV e AIDS (PNAIDS) 2017-2019, nel 2019, solo la metà delle Regioni lo aveva recepito con Delibere regionali, solo nel 38% dei casi era stata nominata la Commissione regionale AIDS e si incontrava, appena il 37% delle Regioni aveva realizzato campagne di comunicazione per le popolazioni target e ancor meno, il 28%, aveva definito un PDTA dell’HIV. Una partenza lenta che, nonostante una ripresa nel 2019, in particolare sul fronte della nomina delle Commissioni regionali, fa trasparire ancora oggi diverse velocità e priorità regionali.
 
Le lentezze a livello organizzativo e di implementazione del PNAIDS contribuiscono ad aggravare uno scenario di per sé critico. La pandemia da Covid-19 ha infatti influito sul monitoraggio delle nuove infezioni da Hiv, causando un calo di oltre il 50% dei test HIV effettuati e ritardi nell’accesso ai servizi sanitari per visite e consulti.
 
"Nel 2017 c'è stato un piano anti-AIDS molto importante che però non è stato davvero implementato", commenta Massimo Farinella, Circolo Mario Mieli e coordinatore della sezione M del CTS.  Bisogna però lavorarci ancora e bisogna "coinvolgere maggiormente il terzo settore, che è stato necessario anche in tempo di pandemia".
 
Inoltre, la mancanza di informazione e sensibilizzazione alimentano il diffondersi dell’infezione soprattutto tra i più giovani esposti a una minor comunicazione sull’HIV a differenza del passato: l’incidenza più elevata di nuove diagnosi si riscontra infatti nella fascia di età 25-29 anni. In Italia, si stima siano circa 120.000 le persone affette da HIV: di queste circa 100.000 sono state diagnosticate (83%) ma le rimanenti 20.000 (17%) sono ancora “sommerso”, con il rischio di diagnosi tardiva e aggravamento dell’infezione da un lato e la sua continua diffusione dall’altro.
 
Oltre al fatto che l’incidenza di nuove diagnosi si riscontra in età giovanile, spesso la presenza del virus viene rilevata in soggetti che hanno già un'infezione avanzata, nota Gabriella D'Ettore, professore associato, dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive dell’AOU Policlinico Umberto I, Università Sapienza di Roma. "Questo non è ammissibile, perché indica che non stiamo lavorando bene sulla prevenzione". E aggiunge: "le terapie che abbiamo a disposizione ci permettono di raggiungere la soppressione virologica ma se non effettuiamo diagnosi precoci, questo risultato scientifico eclatante si perde".
 
Per quanto sia diventato, per fortuna, molto meno letale, il virus dell'HIV circola ancora, ed è quindi fondamentale fare informazione, soprattutto  tra i giovani, osserva Stefano Vella, Docente di Salute Globale, Università Cattolica di Roma. Bisogna anche trasmettere l'importanza di effettuare i test per l'HIV, anche perché "oggi le persone con l'HIV conducono una vita pressoché normale grazie ai nuovi farmaci".
 
Complici, appunto, i progressi terapeutici, chi vive con l’infezione oggi può controllarne l’andamento e i sintomi, con un’aspettativa e una qualità della vita che possono diventare analoghe ad un soggetto non infetto. La scarsa conoscenza dell’HIV e la presenza di atteggiamenti discriminatori influenzano però negativamente la qualità della vita dei pazienti e il percorso terapeutico. Ad esempio, il 32% dei pazienti è o è stato vittima di episodi discriminatori.
 
Per questo, secondo la Senatrice Paola Boldrini, Presidente dell'Intergruppo Parlamentare sulla cronicità, "bisogna parlare di HIV tutti i giorni dell'anno". I ragazzi delle scuole superiori devono essere formati e informati, aggiunge. "Parliamo di una malattia che si trasmette sessualmente, quindi credo sia importante tornare a fare educazione sessuale nelle scuole, per riuscire a fare prevenzione".
 
“La congiuntura storica che ci vede affrontare le conseguenze dell’emergenza pandemica da Covid-19 non può più rappresentare un ostacolo alla gestione e al trattamento delle altre patologie, specialmente quelle croniche come l’HIV su cui pesano maggiormente i ritardi di presa in carico e follow-up”. Così commenta Claudio M. Mastroianni, Presidente Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT) e Professore Ordinario di Malattie Infettive presso Sapienza Università Roma. “L’implementazione del PNAIDS sul territorio è in questo senso non solo auspicabile, ma necessaria - continua Mastroianni - per far fronte in maniera adeguata alle sfide dell’HIV che, proprio per la sua natura ormai cronica, necessita di un modello rafforzato di presa in carico, dalla diagnosi, all’accesso alle cure fino alla gestione del follow up, all’interno della filiera assistenziale, integrando i centri specialisti con la rete territoriale”.
 
Proprio nell’ottica di contribuire all’applicazione di alcune azioni specifiche del PNAIDS e di rivedere i modelli di presa in carico dell’HIV è nato il progetto di ricerca APRI 2.0. Partendo dalle criticità emerse dalla prima fase dello Studio nel promuovere politiche e strumenti di contrasto alla diffusione dell’HIV a livello regionale, la seconda fase hainteso identificare delle strategie d’intervento più adeguate attraverso la realizzazione di alcune case studies.
 
“Dalla fotografia dello stato dell’arte nell’implementazione e attuazione del PNAIDS sul territorio italiano realizzata in una prima fase progettuale – spiega Lucia Ferrara del Cergas SDA Bocconi – emergevano alcune sfide e priorità d’intervento: rafforzare i programmi di comunicazione rivolta alle popolazioni target, promuovere strategie e interventi di sensibilizzazione continuativa, diffondere la cultura e l’accesso al test, investire sulla presa in carico continuativa del paziente. Da qui siamo ripartiti, in una seconda fase del progetto, con lo sviluppo di quattro casi studio che ci hanno permesso di sviluppare delle linee di intervento esplorative per dare risposte concrete a questi stessi ambiti d’intervento”.
 
Il caso del Piemonteha consentito di individuare le opportunità per potenziare l’accesso al test e alla diagnosi precoce, mentre il caso della Puglia ha evidenziato le condizioni per migliorare l’integrazione ospedale territorio nella presa in carico del paziente. Il caso studio della Sicilia ha permesso di ragionare sulla presa in carico dei pazienti HIV come governo della filiera dei servizi e, infine, il caso del Veneto ha indagato la percezione dei pazienti HIV+ verso l’uso della telemedicina.
 
Quattro casi che rappresentano degli esempi utili per delineare che solo attraverso un sistema integrato si può rilanciare efficacemente la lotta all’HIV con l’obiettivo di contrastarne la diffusione, contenerne l’impatto e migliorare qualità di vita e di cura di chi ne è colpito. Tutto ciò in linea con i “6 95” gli obiettivi posti a livello internazionale nella lotta all’HIV, da raggiungere per il 2025.
 
Obiettivi ambiziosi che richiedono un’azione congiunta e sinergica di tutte le ‘anime della Salute’, a partire dalle Istituzioni, chiamate a lavorare insieme proprio nell’ottica di rilanciare la lotta alla pandemia dimenticata puntando ad eliminare le limitazioni strutturali e gestionali-organizzative che impediscono un efficace contrasto alla diffusione del virus e un’adeguata qualità di vita dei pazienti.
 
Un’azione da parte di legislatori, comunità scientifica, amministratori nazionali e regionali che si è concretizzata con la firma del primo Manifesto per un rinnovato impegno nella lotta all’HIV, un patto inter-istituzionale per la messa in campo di strumenti e modelli organizzativi di rilevamento epidemiologico e sorveglianza, di prevenzione e di gestione della cronicità che siano dinamici e in linea coi tempi, in un’ottica multicanale, senza barriere nell’implementazione sul territorio, senza divari tra regioni.
 
Il concreto impegno nella lotta all’HIV portato avanti in Parlamento passa soprattutto dalla proposta di revisione della legge 135 del 1990 proposta dall'Onorevole Mauro D'Attis, Presidente dell'Intergruppo parlamentare "L'Italia ferma l'AIDS". Con questa revisione, spiega l’Onorevole, "si introducono elementi innovativi, come l'abolizione dell'obbligo di sottoporre ad autorizzazione dei genitori o dei tutori i minorenni per l'accesso ai test per l'HIV". Una serie di norme prevedono poi il potenziamento del monitoraggio, della ricerca, un rafforzamento delle funzioni del terzo settore, che prima era chiamato volontariato e che ora verrà riconosciuto anche da un punto di vista economico. La proposta di revisione si trova ora in discussione alla Camera e per i primi mesi del 2022 ci si aspetta una accelerazione nell'iter approvativo.
 
"I pazienti con HIV oggi sono cronici e hanno una buona aspettativa di vita, quindi dobbiamo pensare soprattutto al loro futuro e al loro presente, dobbiamo seguirli non solo da un punto di vista sanitario ma anche dal punto di vista sociale", aggiunge l'Onorevole Fabiola Bologna, Segretario XII Commissione Affari Sociali.
 
Nonostante gli enormi progressi compiuti finora, la battaglia contro l'HIV non è ancora finita, sottolinea l'Onorevole Angela Ianaro, Presidente dell'intergruppo parlamentare Scienza e Salute. "Dobbiamo non solo incentivare gli sforzi nel campo della ricerca scientifica per ottenere il vaccino che cerchiamo da 40 anni, ma soprattutto dobbiamo dare sempre più spazio ad attività di screening e diagnosi precoce e garantire sempre una migliore qualità di vita per i malati di AIDS".
 
"L'impegno di Gilead nella lotta all'HIV parte dalla ricerca”, racconta Valentino Confalone, vice President and General Manager Gilead Sciences Italia. “Abbiamo messo a disposizione delle persone che convivono con l'HIV numerosi trattamenti trasformativi che hanno consentito, negli anni, a rendere il trattamento sempre più efficace e tollerabile", portando ad un miglioramento della qualità della vita. L'impegno non si ferma qui, è a 360 gradi e consiste nel "facilitare l'accesso alla diagnosi, supportare le persone HIV positive, la ricerca indipendente e le associazioni pazienti". Il progetto APRI, conclude Confalone, “è un esempio concreto di questo impegno. Lo studio ha messo in evidenza criticità importanti ma la sua fase 2, con le 4 linee di azione identificate a livello regionale, offre un modello replicabile perché il Piano Nazionale possa vedere piena applicazione”.
 
Marzia Caposio
23 dicembre 2021
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