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QS Edizioni - martedì 19 marzo 2024

Scienza e Farmaci

Antidepressivi: prescriverli è facile, interromperli è complicato. Il 56% dei pazienti che ha provato a ridurre o interrompere la terapia è andato in crisi di astinenza

di Paola Porciello
immagine 10 ottobre - Sono diversi anni ormai che si parla di “emergenza depressione”. L’allarme lanciato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2017 parlava chiaro: “Nel 2020 la depressione sarà la seconda causa di invalidità per malattia nel mondo”. Sempre secondo l’OMS, l’incidenza di questa patologia è aumentata del 20% negli ultimi dieci anni. In tutto il mondo ne soffrono 322 milioni di persone. Di pari passo, è aumentato anche l’uso di antidepressivi, prescritti da psichiatri, neurologi e medici di base. Il problema è smettere...
Uno studio recente curato dai ricercatori inglesi James Davies (anche membro dell’All-Party Parliamentary Group for Prescribed Drud Dependence) e John Read sul fenomeno dell’astinenza che può insorgere in seguito all’interruzione degli antidepressivi, pubblicato sul Journal of Addictive Behaviors, ha fatto il giro del mondo. In poche ore ne hanno scritto il Guardian, il Daily Mail, e l’Independent, solo per citarne alcuni.
 
Nelle interviste rilasciate a SkyNews e alla BBC gli autori hanno descritto i risultati della loro revisione sistematica effettuata su 23 studi:
- Il 56% dei pazienti che hanno provato a ridurre o a interrompere gli antidepressivi sono andati incontro a sintomi di astinenza.
- Circa la metà di coloro che hanno sperimentato questi sintomi, li ha descritti come “gravi”.
- I sintomi d’astinenza possono durare settimane o anche mesi.
 
Sono diversi anni ormai che si parla di “emergenza depressione”. L’allarme lanciato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2017 parlava chiaro: “Nel 2020 la depressione sarà la seconda causa di invalidità per malattia nel mondo”. Sempre secondo l’OMS, l’incidenza di questa patologia è aumentata del 20% negli ultimi dieci anni. In tutto il mondo ne soffrono 322 milioni di persone.
 
Di pari passo, è aumentato anche l’uso di antidepressivi, prescritti da psichiatri, neurologi e medici di base, in particolare di quelli “di ultima generazione”: gli SSRI, che agiscono aumentando i livelli di serotonina, uno dei neurotrasmettitori responsabili del funzionamento cerebrale, la cui scarsità si ritiene essere alla base del disturbo.
 
L’interruzione degli antidepressivi normalmente avviene in maniera graduale, alla fine di un percorso terapeutico farmacologico, quando il paziente è ormai asintomatico da qualche tempo. Si stima però che siano milioni le persone in tutto il mondo ad affrontare i sintomi astinenziali, che si rendono evidenti già dopo 24-96 ore dalla riduzione o sospensione del farmaco, senza capire cosa stia succedendo. Molti si affidano alla rete, dove hanno fatto la loro comparsa diversi forum che offrono consigli e danno la possibilità di condividere la propria esperienza. Uno di questi, survivingantidepressants.org è visitato da centinaia di migliaia di persone. Quello che più spesso succede è che, su consiglio del medico, il paziente finisce per tornare alle cure farmacologiche, tamponando solo temporaneamente il problema e dando vita a un circolo vizioso di sintomi e farmaci che può durare tutta la vita.
 
Il fenomeno, seppure segnalato da anni dai pazienti, sembra essere poco conosciuto anche dagli addetti ai lavori, è poco studiato e di nessun interesse per le aziende farmaceutiche che potrebbero invece finanziare ricerche longitudinali necessarie a una migliore comprensione del fenomeno.
 
Giovanni Fava, Professore di Psicologia Clinica dell’Università di Bologna, impegnato da anni nella ricerca pionieristica sulla sindrome d’astinenza da antidepressivi, conferma i risultati dello studio inglese, sottolineando che gli stessi dati sono già emersi in maniera chiara in due precedenti revisioni sistematiche di cui è l’autore principale: la prima si occupa degli SSRI, mentre la seconda prende in esame gli SNRI (la classe di antidepressivi che agisce sia sulla serotonina che sulla noradrenalina, altro neurotrasmettitore ritenuto implicato nell’insorgenza della depressione).
 
Queste ultime, non a caso, sono citate tra le fonti del lavoro degli autori inglesi. Secondo Fava il nocciolo della questione è semplice: “Prescrivere gli antidepressivi è molto facile. Toglierli, invece, può rivelarsi molto complicato.” Gli antidepressivi, nelle loro indicazioni terapeutiche, “sono farmaci salvavita – prosegue Fava - ma come tutti gli altri farmaci hanno effetti collaterali che vanno valutati e bilanciati in base alle esigenze di ogni singolo paziente”. Coloro che soffrono di depressione andrebbero infatti gestiti fin dall’inizio “non solo dal dal punto di vista farmacologico, ma anche da quello medico e psicologico”, tenendo presente l’eventuale assunzione di altri farmaci, le condizioni di vita, la presenza di altre patologie (psichiatriche e non) in corso.
 
“A complicare ulteriormente il quadro, c’è il fatto che è diventata consuetudine prescrivere gli antidepressivi anche per i disturbi ansiosi – spiega Fava- per i quali invece la psicoterapia deve essere la prima scelta. La decisione di introdurre gli antidepressivi va presa in considerazione solo se il paziente non risponde alla psicoterapia”.
 
Presso l’Università di Firenze è operativo l’unico centro italiano dedicato, diretto da Fiammetta Cosci, medico psichiatra e Professore associato di Psicologia Clinica. “Il servizio accoglie pazienti che affluiscono da tutta Italia, in particolare dalle regioni del Centro-Sud”. Insomma, c’è chi parte dalla Sicilia per essere seguito nel “tapering” dell’antidepressivo, cioè quel processo tarato a misura su ogni singolo paziente di riduzione e, infine, eliminazione degli antidepressivi. Processo che, in presenza di sintomi astinenziali, “può durare alcune settimane, ma anche mesi o anni”, aggiunge Cosci e che nonostante preveda un sostegno medico e psicoterapeutico specializzato, non è facile da perseguire per via dei sintomi spesso gravi e debilitanti che lo accompagnano.
 
Di seguito si riporta una lista dei sintomi astinenziali che possono insorgere:
 

 

 
La risonanza dello studio inglese è stata tale da indurre il NICE (L’Istituto nazionale per la salute del Regno Unito) a prenderlo in considerazione per valutare se e come rivedere le linee guida relative all’interruzione degli antidepressivi, che parlano di sintomi modesti e di durata inferiore alle due settimane.
 
“Nel nostro paese non esistono linee guida”. Ad affermarlo è Massimo Biondi, direttore dell’Unità operativa complessa di psichiatria e psicofarmacologia clinica del Policlinico Umberto I di Roma. “Finora non erano chiare le dimensioni del fenomeno dell’astinenza. Questi nuovi dati potrebbero portare a riconsiderare il rapporto tra efficacia e tollerabilità degli antidepressivi, senza dimenticare che questi non vengono prescritti solo per la depressione, ma anche per i disturbi di panico, di ansia generalizzata e del disturbo ossessivo compulsivo”, afferma Biondi. Consapevole dell’importanza di discutere con il paziente “sia gli effetti positivi che quelli negativi legati all’assunzione di antidepressivi”, Biondi ribadisce che questi non vanno demonizzati “pena il rischio di non intraprendere una cura farmacologica quando questa è necessaria se non vitale”. “Ciò che emerge è un quadro complesso che necessita di interventi misti”, conclude Biondi.
 
Come è noto, la depressione, pur essendo molto diffusa, non è una malattia semplice né da diagnosticare né da curare e spesso si accompagna ad altre patologie, di natura psichiatrica e non. Inoltre, ne esistono diverse tipologie, ciascuna con variabile gravità di sintomi e prognosi. E gli antidepressivi disponibili sul mercato sono ormai tantissimi, basati su diversi  meccanismi d’azione e con diversi sintomi target: ansia, panico, depressione, ideazione suicidaria, pensieri ossessivi.
 
Qual è allora il percorso da intraprendere per affrontare una situazione così complessa? Innanzitutto sono necessari studi longitudinali specifici che indaghino il problema dell’astinenza legata all’uso delle varie classi di antidepressivi. Altrettanto importante è fare informazione, non solo per i pazienti, ma anche per gli addetti ai lavori che, come già detto, spesso nemmeno sono a conoscenza del fenomeno.
 
“In un mondo ideale - conclude Fava – dovrebbero esistere centri specialistici che gestiscono questi problemi, con team costituiti da psichiatri, internisti e psicologi-piscoterapeuti. Questi servizi andrebbero istituiti nelle Asl locali”.
 
Paola Porciello
10 ottobre 2018
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