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QS Edizioni - martedì 19 marzo 2024

Scienza e Farmaci

Un team anglo-giapponese riesce a sintetizzare un “super antibiotico” efficace contro i batteri resistenti ma anche contro forme di tumori molto aggressive. La ricerca durava da 20 anni

di Maria Rita Montebelli
immagine 6 maggio - Gli addetti ai lavori lo considerano un risultato epocale. Ci sono voluti 20 anni di ricerche ma alla fine il team guidato dal britannico Martin Lear e dal giapponese Masahiro Hirama è riuscito a riprodurre in laboratorio la kedarcidina, una sostanza dalla struttura molto complessa, isolata nel 1992 da actinomiceti presenti nel suolo dell’India, e dotata di attività sia anti-tumorale che antibiotica. Da questa scoperta potrebbe dunque scaturire una nuova classe di antibiotici, preziosa in epoca di antibiotico-resistenza, ma anche un nuovo tipo di trattamento mirato in maniera specifica al DNA delle forme tumorali più aggressive
Ci sono voluti ben vent’anni di ricerca ma alla fine i ricercatori di due università internazionali sono riusciti a riprodurre una copia completa di un ‘antibiotico anti-tumore’. Questo l’annuncio dato dal dottor Martin Lear dell'Università di Lincoln e dell'Università di Tohokue (Giappone) e da ricercatori giapponesi sempre della stessa Università di Tohokue, Keiichiro Hirai, Kouki Ogawa, Shuji YamashitaMasahiro Hirama, sul Journal of Antibiotics, una rivista del gruppo Nature.
 
La misteriosa sostanza che, a detta dei ricercatori, rappresenta una scoperta senza precedenti (schiere di scienziati in tutto il mondo da anni stanno cercando di sintetizzarla in laboratorio) è la kedarcidina, un agente dalla struttura molto complessa che è in grado di danneggiare il DNA, colpendo un target preciso. Lear, Hirama e gli altri ricercatori sono riusciti a ‘craccare’ il codice chimico di questo ‘antibiotico anti-tumorale’, efficace sia contro le cellule cancerose, che contro una serie di batteri antibiotico-resistenti, riuscendo per la prima volta a riprodurlo in laboratorio. Questa scoperta potrebbe inaugurare dunque una nuova era nella terapia anti-tumorale e per la produzione di antibiotici inediti.
 
La kedarcidina è stata scoperta per la prima volta 30 anni fa, quando un’azienda farmaceutica l’ha isolata nella sua forma naturale da un campione di suolo in India; il terreno rappresenta la fonte naturale di tutti antibiotici sviluppati a partire dagli anni ’40, ma per poter essere utilizzati come farmaci è necessario riuscire a sintetizzarli in laboratorio.
 
La particolarità di questa super-sostanza è che non possiede solo proprietà antibiotiche ma è anche attiva contro le cellule tumorali, e questo la rende dunque un potenziale nuovo trattamento oncologico.
 
“Dopo essere stata scoperta nel suolo, ci sono voluti 10 anni per determinare la struttura molecolare della kedarcidina, una sostanza che ha uncore reattivo protetto da un involucro proteico, una peculiarità questa che la fa assomigliare alle ‘uova alla scozzese’. E’ dal 1997 che, insieme al professor Hirama, stiamo cercando di sintetizzare in laboratorio il core reattivo della kedarcidina; un’operazione molto complessa, consistente nel comporre un puzzle molecolare di enorme difficoltà e quindi di sviluppare nuovi modi di produrre le ‘tessere ‘ di questo puzzle. Ci sono voluti 20 anni. Ma siamo alla fine riusciti a risolvere il puzzle”, ha detto Lear.
 
La scoperta del team anglo-giapponese è di non poco conto. Secondo le ultime proiezioni, entro il 2050 ci saranno almeno ulteriori 10 milioni di persone destinate a morire ogni anno a causa di infezioni resistenti agli antibiotici. E’ dunque di fondamentale importanza individuare nuove potenziali classi di antibiotici da affiancare a quelle tradizionali; questo studio rappresenta dunque un importante passo in quella direzione.
 
Sul fronte dei trattamenti oncologici, la kedarcidina potrebbe rappresentare una risorsa contro le forme tumorali più aggressive. Ora che è possibile riprodurre per sintesi la kedarcidina, sarà più facile comprendere più a fondo i meccanismi alla base della sua attività anti-tumorale che potrebbero renderla un futuro trattamento nel campo delle neoplasie ematologiche o dei tumori solidi, quali il melanoma.
 
Maria Rita Montebelli      
6 maggio 2019
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