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QS Edizioni - venerdì 19 aprile 2024

Studi e Analisi

In risposta a Gardini/ 1. La medicina si sta autidistruggendo, c’è qualche rimedio?

di Antonio Panti
immagine 26 febbraio - In tutto il ragionamento etico e deontologico di Gardini che condivido, c'è qualcosa che non torna. Mi sembra che, quando ci occupiamo della possibilità di garantire a tutti lo stesso diritto alla tutela della salute (l'articolo 32), sottovalutiamo una specie di basamento sotterraneo antecedente a tutte le questioni e cioè la struttura economica del mondo in cui viviamo. Ancora una volta manca la politica
Andrea Gardini ha pubblicato su questo giornale, qualche giorno fa, un interessante riflessione sul futuro della medicina (e della sanità). Seguendo le idee di Callahan e Nulan, Andrea conclude che solo un atto di umiltà dei medici e una maggior consapevolezza dei cittadini possono rallentare una spirale distruttiva che, con l'offrire successive costosissime illusioni, allontana la medicina dai suoi veri scopi, curare ma anche prendersi cura, offrire soluzioni ma anche prevenire, in una parola di non limitarsi a allungare di poco la vita a costi esorbitanti e di provocare l'aumento invece che la diminuzione delle disuguaglianze.
 
Gardin ripete, con Callahan e Nulan, che vi sono presupposti della medicina che non sono più indiscutibili:
1.  i progressi della medicina sono infiniti
2.  nessuna malattia letale è incurabile
3.  i progressi della medicina sono sostenibili con un management adeguato.
 
Fin dall'inizio ho seguito con grande  favore lo sviluppo di slow medicine e ne condivido le idee. La medicina sembra oggi affetta da una sorta di hybris anche se ne sono innegabili gli straordinari successi. Tuttavia, a mio avviso, tutto quel che accade merita di essere visto alla luce di molteplici riflettori.
 
Sul primo punto non sarei così drastico. E' vero che spesso "i nostri risultati consistono nel prolungare la vita di soggetti molto malati", più attenti alla quantità che alla qualità della sopravvivenza. Però la recente introduzione del sofusbuvir rappresenta una conquista vera; prevedere il futuro è esercizio di metafisica e Kant ha dimostrato che ciò che non attiene alla scienza non si può né dimostrare né affermare. Tuttavia finora l'innovazione non è mai venuta meno. Forse sarebbe meglio intendersi sul concetto di innovazione. Il potere del mercato e una certa condiscendenza dei medici fa chiamare innovazione anche l'introduzione di strumenti a mala pena nuovi e non certo tali da cambiare la vita alla gente.
 
Il secondo punto è innegabilmente vero e non occorre ricordare Camus. Scomparsa la peste abbiamo avuto AIDS, Ebola, Zica e certamente ne avremo ancora altre. Se riflettiamo sulla trasformazione demografica e nosologica della cronicità è chiaro che dovremmo più assistere che curare, sostenere la medicina di iniziativa piuttosto che l'intensivologia, puntare sulle cure primarie di comunità piuttosto che sulla sempre più sofisticata specialità.
 
Vorrei richiamare però l'attenzione sul terzo punto e inserirne un quarto. Vorrei chiedere a Gardin e a qualsiasi direttore sanitario se è possibile gestire un ciclo produttivo così complesso quale è un moderno ospedale, dai costi così ingenti, dotato di numerosissimo personale tutto laureato, senza un management professionale. Siamo certi che affidare l'impresa sanitaria a esperti in organizzazione, con potere non su quel che il medico fa ma su come si gestisce, non porterebbe a risparmi significativi? Ovunque la sanità è gestita o da politici o da medici e ben pochi sono competenti in materia.
 
Ma vi è un quarto punto: i costi. Infatti alle spalle del ragionamento etico e deontologico, in cui, ripeto, io ho sempre creduto, sta anche la questione della sostenibilità dei servizi medici. Non solo per decidere quale sia il modo più equo per spendere tanti soldi, ma se in realtà si sia in grado di farlo, sia per propensione a spendere di chi paga sia per rispetto degli altri gravami del bilancio pubblico. Torniamo al sofusbuvir.
 
Senza ripercorrere una storia che tutti conoscono e evitando la domanda retorica: quale sarebbe stato il prezzo del farmaco se fosse rimasto nella mani di Pharmasset, pur con l'aggiunta dei costi di marketing? Il problema è lo stesso del caso Embraco di cui si parla in questi giorni. Il minor costo produttivo dovuto alle più basse retribuzioni degli operai slovacchi porta alla diminuzione del prezzo dei frigoriferi o finisce tutto agli azionisti? E' chiaro che, su questa questione l'opinione di Papa Francesco e quella di Marchionne non coincidono ma, quando si pone il caso dei farmaci, cioè di prodotti in cui il monopolio si confronta con un monopsonio, l'acquirente pubblico, non è possibile tentare un accordo?
 
Insomma, in tutto il ragionamento etico e deontologico che condivido, c'è qualcosa che non torna. Mi sembra che, quando ci occupiamo della possibilità di garantire a tutti lo stesso diritto alla tutela della salute (l'articolo 32), sottovalutiamo una specie di basamento sotterraneo antecedente a tutte le questioni e cioè la struttura economica del mondo in cui viviamo. Ancora una volta manca la politica.
 
Antonio Panti
Componente commissione deontologica nazionale  
26 febbraio 2018
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