toggle menu
QS Edizioni - martedì 23 aprile 2024

Studi e Analisi

In risposta a Gardini/2. Ecco perché Slow Medicine non ci salverà

di Ivan Cavicchi
immagine 26 febbraio - Ma chi ha detto che rispetto a cambiamenti epocali il paradigma della medicina debba essere considerato invariante? La sua storia millenaria dice esattamente il contrario. Ma se la varianza paradigmatica della medicina è la sua vera forza allora siamo autorizzati a pensare che per l’Hasting Center per Callahn, per Smith e quindi per Slow medicine e il nostro amico Gardini la medicina sia paradigmaticamente invariante non perché è inevitabile che lo sia, ma solo perché questi onesti signori non sono in grado di immaginarne un’altra
Mi dispiace ma l’articolo di Andrea Gardini (QS 22 febbraio 2018) l’ho trovato pretestuoso e un po’ raffazzonato. Esso adduce argomenti come se fossero oro colato solo perché scritti in inglese e di fatto ci considera dei poveri sprovveduti facilmente impressionabili.
 
L’articolo si potrebbe definire un “commento del terzo ordine” nel senso che su un tema, dato come costante, che è la presunta autodistruzione della medicina in occidente, il suo è un commento ad un commento di un commento, alla fine di questa reiterazione, la tesi iniziale resta invariata ma con una piccola aggiunta propagandistica: la medicina in occidente si sta distruggendo ma per fortuna c’è slow medicine che la salverà.
 
La medicina impossibile
Quello di Gardini  è oltretutto   bibliograficamente  omissivo perché  si occupa di un articolo del 2011 commentato nel 2018 ma ignorando o dimenticando  che il primo è la riproposizione delle  tesi  contenute  nel rapporto conclusivo della ricerca “The Goals of Medicine”  pubblicato dall’ Hasting Center nel 1997  da cui nasce il  libro di Callahan (che non è un filosofo ma un bioeticista) intitolato “False Hopes”, nel quale venivano segnalate tre caratteristiche negative della medicina occidentale:
· l'idea di dominare la natura
· il proporsi scopi  illimitati
· la tendenza  a medicalizzare tutto
 
In Italia False Hopes nel 2001 diventa “La medicina impossibile. Le utopie e gli errori della medicina moderna” edizione preceduta da storiche recensione come quelle di Richard Ashcroft (1999) e Richard J, Coker (2001) sul Journal of Medical Ethics, e tanti altriche per brevità non cito e che in Italia vede uno stuolo di commentatori soprattutto nell’ambito della bioetica.
 
Ragionare
Aggiungere un “quarto ordine” ad un commento del “terzo ordine” proprio non me la sento cercherò quindi di ragionare sul “tema costante” cioè sulla presunta “autodistruzione della medicina occidentale”, con la speranza di aggiungere qualcosa di più ad una tesi logora quanto datata.
 
Se si ragiona come si dovrebbe ragionare quindi in subjecta materia è possibile che Richard Smith ma lo stesso Callahan esprimano opinioni discutibili e che quindi assecondare pedissequamente e acriticamente una tesi solo perché fa comodo e scritta in inglese, sia fallace.
 
Che sia l’ex editor di BMJ a proporre una tesi è significativo, ci mancherebbe altro, ma logicamente conta poco, ciò che conta è la consistenza della tesi che egli propone. Che la tesi che egli propone solo per il fatto di essere proposta da costui, sia automaticamente vera, da qualsiasi persona ragionevole, non può essere accettata. E’ vera solo per chi non pensa e non ha idee.
 
L’autorità o l’autorevolezza, ci dice la logica, non è sempre garanzia di verità. Una tesi è vera solo se è vera, ed è vera solo se la confutazione la dimostra tale secondo le convenzioni epistemologiche del momento.
 
Le tesi
Le tesi sono due:
· la prima è  quella dell’Hasting Center /Callahan ed è l’autodistruzione della medicina americana
· la seconda è quella di Smith che sostiene  che l’autodistruzione  vale per tutto l’occidente
 
E’ così? Intanto sono passati più di 20 anni dalla pubblicazione del rapporto dell’Hasting Center e non abbiamo ancora visto la distruzione profetizzata ma abbiamo visto ben altro.
 
Distinguendo “medicina” da “sanità” in America la medicina non è vero che si sta autodistruggendo ma al contrario continua scientificamente a crescere mentre la sanità cioè le assicurazioni sanitarie fanno sempre più fatica a reggere sul piano della sostenibiltà economica quindi a mettere i suoi prodotti a mercato. Così il mercato è costretto a rinunciare alla sua storica libertà e a moderare la quantità offerta di medicina proprio perché, per i motivi ben descritti dall’Hasting Center già nel 97, il mercato non è in grado di sostenere una medicina senza limiti. Per cui è costretto a mettere dei limiti. Il sistema assicurativo americano è a rischio default come lo è stato a suo tempo il nostro sistema mutualistico e come lo sarà, se si farà, da noi, il futuro sistema multipilastro.
 
La reazione del mercato americano a questi problemi classici di sostenibilità come dimostra choosing wisley che ricordo non è stata inventata da slow medicine ma dai grandi gruppi assicurativi, è stata quella di:
· moderare l’offerta di prestazioni per moderare i consumi
· inventare il risk management per contenere i costi legali del contenzioso
· esasperare le procedure di cura per controllare i costi
· ricorrere alla teoria del cost value questa volta copiata di Gimbe ecc.
 
Il problema della medicina invariante
Qual è il punto? Il mercato e i suoi epigoni a medicina invariante tenta, ma senza grandi risultati, di ridurre la quantità dell’offerta della medicina che c’è. Se la medicina è impossibile come dice Callahan e non ci sono alternative non resta che renderla possibile cioè fare in modo che sia compatibile con il Pil.  Cioè imporle dei limiti.
 
Si tratta quindi di offrire meno medicina perché il presupposto di partenza è che il paradigma della medicina sia invariante.
 
Ma chi ha detto che rispetto a cambiamenti epocali il paradigma della medicina debba essere considerato invariante? La sua storia millenaria dice esattamente il contrario.  Ma se la varianza paradigmatica della medicina è la sua vera forza allora siamo autorizzati a pensare che per l’Hasting Center per Callahn, per Smith e quindi per Slow medicine e il nostro amico Gardini la medicina sia paradigmaticamente invariante non perché è inevitabile che lo sia, ma solo perché questi onesti signori non sono in grado di immaginarne un’altra. Se così fosse, e temo che lo sia, l’invarianza paradigmatica della medicina sarebbe il prodotto dei limiti culturali di una società ma non un limite oggettivo alle sue possibilità evolutive.
 
Come è noto, anche se nella più totale minoranza, personalmente  da decenni sostengo il contrario e cioè che il paradigma positivista della medicina, proprio perché è cambiato radicalmente  il mondo, diventando suo malgrado un paradigma impossibile , debba essere riformato perché  a forza di imporre limiti  alla medicina che c’è , si sta snaturando la dottrina , il medico sta diventando un non medico, e il malato è sempre meno curato ed è sempre più curato male e in certi casi non è curato.
 
Europa e Italia
In Europa, mi dispiace contraddire Smith di cui ho apprezzato tanti editoriali, le tendenze generalmente sono quelle che descrive Callahan ma gli effetti sono molto diversi da paese a paese. La variabile che decide le differenze è la forma del welfare. In Italia a causa del definanziamento programmato siamo ormai alla “medicina amministrata” e il rischio dell’autodistruzione della medicina, di cui parla Smith, non esiste, mentre esiste il rischio di privatizzare la sanità pubblica cioè di fare paradossalmente quello che in America sta diventando sempre più insostenibile. In Italia con la scusa della sostenibilità si punta a mettere a mercato la salute pur sapendo che mettere a mercato significa come dimostra l’America insostenibilità garantita.
 
La medicina ippocratica in Italia sta diventando altro e a causa di un mucchio di fattori che rimandano alla “questione medica” che non è un processo di autodistruzione della medicina ma di snaturamento nel senso che la medicina come scienza anche in Italia continua a crescere e a offrire i suoi prodotti ma il suo uso pubblico è sempre più amministrato.
 
Per amministrare la medicina lo Stato si vede costretto ad amministrare il medico e ben volentieri si avvale delle teorie razionali del less is more e della chosing wiseley perché alla fine sempre di limiti da imporre si tratta.Ma amministrare il medico vale nel tempo e oltre una certa soglia di ragionevolezza, come snaturare la medicina e danneggiare la qualità delle cure. Finché si tratta di eliminare le improprietà è un conto ma quando come con i Lea e con il definanziamento si tratta di contingentare i diritti cambia la musica. 
 
L’unico tratto in comune che ha l’Italia con l’America e con il resto dell’Europa  quindi è la logica della quantità. Oggi in occidente si tratta di offrire meno medicina tanto nei sistemi privati quanto in quelli mutualistici e universalisti. Slow medicine, Gimbe, e tanti altri tentano meritoriamente di ridurre le quantità impossibili (cioè insostenibili) con criteri razionali (evidenze scientifiche, epidemiologiche, di efficacia, ecc.) nel tentativo di eliminare le inappropriatezze senza ledere i diritti delle persone.
 
Ma la sfida ormai si è oggettivamente spostata sul paradigma. Cioè sulle sue qualità, sui suoi modi di essere, su quale medicina e quale medico, ma anche quale malato, sulla complessità da governare, su una idea nuova di adeguatezza, di compossibilità, su una idea di medicina che sia diversa ma senza snaturarsi.
 
Il limite e la medicina
Quando l’Hasting Center pubblicò il suo rapporto, ricordo che parte della critica americana giudicò la sua analisi e le sue implicazioni come “deprimenti”. In quegli anni, mi limitai a dire che:
· giustamente veniva proposto la  questione del limite
· le tendenze descritte  erano vere
· era ora che cominciassimo a pensare ad un’altra medicina
 
Era ed è illusorio pensare di risolvere una crisi epocale di un paradigma regolando solo il rubinetto del consumo al grido less is more.
 
Il libro di Callahan al lavoro dell’Hasting center diede una interpretazione bioetica con non poche aporie:
· traduce un problema di sostenibilità economica in una questione bioetica
· riduce la medicina  a cura e a  terapie
· considera la medicina erroneamente solo come un conflitto tra  scienza e economia
· ignora del tutto il ruolo del cittadino e della società
· trascura le dimensione sociali e  culturali  della medicina
· trascura la grande questione della complessità
· ritiene inconcepibile riformare la medicina come paradigma
 
Ma il limite più grande, che poi è quello di slow medicine e degli altri, riguarda proprio la concezione di limite. Il limite in sostanza, da Callahan in poi, non può che limitare l’offerta di medicina in nessun caso può essere una possibilità per cambiare la medicina.
 
La grande differenza quindi tra me e slow medicine non riguarda ciò che loro propongono tecnicamente e che in quanto soluzioni di buon senso sono del tutto condivisibili ma riguarda come intendere il rapporto tra limite e medicina.
Per slow medicine il limite deve comunque limitare ciò che è giudicato eccessivo improprio ingiustificato. Per me il limite, ma non solo, anche i cambiamenti del malato, le nuove opportunità della tecnologia, i cambiamenti della domanda i problemi della professione, il rispetto dei diritti, il problema del contenzioso legale, ecc., in una parola la questione medica sono tutti motivi per riformare la medicina.
 
Personalmente non sono disposto a rinunciare ad una medicina ippocratica e a una buona clinica a causa dei limiti culturali di chi affronta i limiti senza nessuna capacità riformatrice vera.
 
Che ci faccio di una medicina amministrata senza veri medici. Che ci faccio di medici eteroguidati dai lineaguidari? Che ci faccio di una clinica predefinita in standard diagnostici e terapeutici spersonalizzata? E con il malato (non “paziente” Andrea ma “malato”) che faccio? Quello che esasperato ormai mi mette le mani addosso, che mi denuncia e mi porta in tribunale ma soprattutto che non ha più fiducia nella medicina del limite che limita e basta
 
Savants
In questi 20 anni la riduzione bioetica di Callahan al problema della medicina impossibile non ha funzionato. Alla fine la bioetica saggiamente si è guardata bene dal togliere le castagne dal fuoco ad un paradigma e ad un mercato ormai visibilmente non solo insostenibili ma fondamentalmente anacronistici e regressivi.
 
Cioè la bioetica si è guardata bene dal sostituirsi al medico per decidere cosa dare non dare, fare e non fare ecc. Ma non così gli economisti, i gestori, i razionalizzatori, i tecnocrati della sanità, i lineaguidari, i neo-mutualisti, i lumacari, gli evidenziatori, i narratori, cioè coloro che il tema della medicina impossibile l’hanno trasformato in una legge del limite limitante.
 
Oggi è il tempo dei savants coloro che, a medicina invariante, dicono al medico, in nome e per conto del malato, soprattutto cosa non deve fare. Costoro ci dicono come limitare le cure ma sono incapaci di immaginare un altro genere di medico in grado di usare la propria autonomia (un altro genere di autonomia) per fare in un altro modo una buona medicina in questo mondo, perché quello di Bernard e di Beveridge, ormai è finito da un pezzo.
 
Conclusioni
Voglio concludere con Ermanno Bencivenga un filosofo nostrano che apprezzo molto e che però, di questo mi scuso con Gardini, non ha niente a che fare né con Richard Smith né con il BMJ.
 
Egli sostiene che la più insidiosa catastrofe del nostro tempo è la rinuncia a ragionare e che a causa di ciò ci si sta abituando, anche grazie al computer, all’idea che qualcuno o qualcosa possa ragionare per noi (La scomparsa del pensiero, perché non possiamo rinunciare a ragionare con la nostra testa Feltrinelli 2017).
 
Come dargli torto? Mi permetto solo di aggiungere che la catastrofe diventerebbe massima se oltre a rinunciare a ragionare si rinunciasse a immaginare qualcosa di migliore. Qualcosa di altro. Una riforma ad esempio.
 
Se la capra pelle e ossa oltre il suo magro pascolo non immagina niente di diverso come farà a trovare un pascolo migliore per rimettersi in carne?
 
Ivan Cavicchi
26 febbraio 2018
© QS Edizioni - Riproduzione riservata