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QS Edizioni - venerdì 29 marzo 2024

Studi e Analisi

Le sfide di Speranza nella ‘jungla’ della sanità

di Ivan Cavicchi
immagine 27 novembre - Nelle parole del Ministro vedo slancio, determinazione e entusiasmo, degne di un giovane ministro di sinistra.Tuttavia se, in sanità, bastasse la rappresentazione della volontà non avremmo tutti i problemi che abbiamo, per cui oltre la volontà, ci vuole anche quella particolare razionalità che alcuni chiamano “strumentale” che è quella che serve a trasformare le intenzioni e i desideri in politiche concrete.
Ieri, su questo giornale, la cronaca di Ester Maragò sul Forum Risk Management a Firenze e le parole del ministro Speranza: “dobbiamo rafforzare il Ssn rispetto alle sfide future”. L’altro giorno al Forum Ansa (QS 21 novembre 2019) sulla sanità universalistica parole analoghe: “voglio difendere con il coltello tra i denti questo modello adattandolo alle sfide dell’oggi”.

Le sfide, quindi, tra presente e futuro.
In queste parole vedo slancio, determinazione e entusiasmo, degne di un giovane ministro di sinistra, cioè vedo quello che con Schopenhauer definirei “il mondo come rappresentazione della volontà ”.Tuttavia se, in sanità, bastasse la rappresentazione della volontà non avremmo tutti i problemi che abbiamo, per cui oltre la volontà, ci vuole anche quella particolare razionalità che alcuni chiamano “strumentale” che è quella che serve a trasformare le intenzioni e i desideri in politiche concrete.
 
Allora chiederei al ministro Speranza, di spiegarci la “razionalità strumentale” con la quale, intende “adattare” o “rafforzare” il modello di sanità alle sfide dell’oggi? Quindi cosa vuol dire per lui adattare e rafforzare? E quali sono le sfide alle quali si riferisce?
 
Come in una jungla
La “razionalità strumentale” alla base di tutte le politiche di compatibilità decise dalla nascita dell’azienda ad oggi, si rifanno ad una precisa idea di “adattamento” che è quella darwiniana della selezione naturale, che, gli economisti, senza nessuna distinzione, hanno imposto alla sanità come se fosse una jungla: il sistema sanitario se vuole sopravvivere deve “adattarsi” ai limiti economici sapendo che adattarsi significa accettare la selezione come legge.
Una logica per la sanità semplicemente aberrante che però ha ispirato tutte le politiche del PD comprese quelle recenti che hanno spalancato le porte al welfare aziendale, fino ad arrivare al regionalismo differenziato.
 
Tutte le proposte contro riformatrici di questi anni sull’universalismo (selettivo, proporzionale, possibile, minimo e essenziale, sussidiario, comunitario ecc) sono tutte proposte di derivazione darwiniana, nelle quali, alla fine non comandano i diritti ma i limiti economici, gli unici davvero ritenuti dagli economisti capaci di selezionare il sistema che alla fine deve sopravvivere.
 
Il punto è che:
- la sanità non è una jungla,
- gli economisti è possibile che abbiano torto,
- la storia della selezione non così facilmente trasferibile da una jungla ad una azienda sanitaria
- può darsi che “adattare” come dice il ministro sia meno scontato di quello che sembra.
 
La scheda n° 9
La scheda n° 9 del “patto per la salute” che lei, ministro Speranza, ha mandato alle regioni e che riguarda i fondi integrativi, prevede l’istituzione di un gruppo di lavoro per “l’ammodernamento della normativa” non per il suo superamento, precisando che i fondi sanitari integrativi devono essere visti in chiave “complementare e sistemica” con il servizio sanitario nazionale. Più o meno quello che sostiene l’Emilia Romagna con la pre intesa sul regionalismo differenziato, e tutto il mondo dell’intermediazione finanziaria e chi l’ha preceduta al ministero. Quindi, mi pare di capire che anche lei, signor ministro, pensa che i fondi integrativi, naturalmente con funzioni complementari(sic), si devono fare per ragioni di sostenibilità. Se così fosse, ma spero tanto di no, lei resterebbe alla fine, pur con il coltello tra i denti, un darwiniano di sinistra che ritiene inevitabile che il sistema pubblico si “adatti” ai limiti finanziari nel senso che la sua privatizzazione anche blanda sarebbe una forma di adattamento dei diritti all’economia. (sic)
 
Naturalmente aspetto le conclusioni del gruppo di lavoro per saper fino a quanto lei, con il coltello tra i denti, intende difendere la sanità pubblica, nel frattempo dal momento che è Darwin che fino ad ora sulla sanità, ha ispirato la maggior parte delle politiche fino ad ora adottate, mi consenta di offrirle un aggiornamento della sua teoria.
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Exattamento (exaptation)
Tutte le politiche sanitarie adottate dagli anni 90 si sono basate sulla convinzione che: adattarsi ad un limite fosse l’unico modo possibile per essere compatibili e che adattarsi fosse inevitabile quindi una sorta di legge di natura.
 
Una stupidaggine colossale.  Non esiste nessuna legge economica che obbliga a queste politiche. Cioè in questi 40 anni, ricordandoci di Leibniz cioè delle idee di Dio come mondi possibili, avremmo potuto adottare altre politiche non per forza adattazioniste e compatibiliste. Avremmo potuto dare una interpretazione diversa del concetto di “adattamento”
 
Oltretutto, a partire dagli anni 70 del precedente secolo si è reinterpretato il concetto di “adattamento” anche se gli economisti della sanità hanno fatto orecchio da mercante e sono rimasti fedeli alla vecchia idea di Jungla. In quegli anni Gould e Lewontin scrissero un libro straordinario " I pennacchi di San Marco e il paradigma di Pangloss” il cui sottotitolo non a caso è “Critica del programma adattazionista”. La traduzione in italiano comparve un anno dopo l’approvazione della riforma sanitaria.
 
Mi sa che la sinistra di governo non abbia mai letto i lavori di Gould.
A partire dalla reinterpretazione del concetto di adattamento si è aperta la strada ad una nuova visione dell’evoluzione che ha rivalutato il valore della contingenza, della ridondanza, della flessibilità, dell’autonomia, della creatività. La sanità non è un sistema costretto meccanicamente e linearmente dall’esterno ad adattarsi ad un limite ad esso imposto. Resta un sistema che pur con dei limiti possiede un importante grado di libertà per esprimere e esplicare dall’interno delle potenzialità trasformando funzioni in altre funzioni. O come a me piace dire per trasformare limiti in possibilità, cioè politiche compatibiliste tendenzialmente involutive in politiche compossibiliste decisamente evolutive.
 
Non ce l’ha mica ordinato il dottore
E’ vero che il grande sauro buttandosi in acqua per disperazione è diventato piano piano balena, come diceva Monod per “caso” e per “necessità” ma è anche vero che esso alla fine ha scelto di usare le proprie potenzialità e le sue ridondanze interne, decidendo nello stesso tempo di diventare balena. Quindi certamente per caso. certamente per necessità, ma anche per libertà.
 
E’ questo grado di libertà a fare la differenza:
- un conto per la sanità è adattarsi ad un limite subendolo accettando quindi i tagli lineari, i piani di rientro, la riduzione dei servizi, il blocco del turn over, i tetti di spesa,
- un conto è affrontare un limite con libertà decidendo di diventare per esempio un sistema diverso cioè meno costoso con meno contraddizioni e meno disfunzionalità
 
Come dire:
- è vero che la sanità ha dei limiti finanziari ma è altrettanto vero che essa oltre ai limiti, ha delle possibilità e che i limiti non per forza devono essere tradotti in limitazioni sacrificando la sua natura pubblica
- è vero che si può rendere compatibile la sanità con le risorse disponibili ma è anche vero che sarebbe meglio renderla compossibili per non avere gli effetti involutivi della compatibilità
- è vero che esistono i limiti ma nessuno impedisce di essere compossibili, cioè non è obbligatorio essere per forza dei compatibilisti
 
Per comprendere la differenza tra compatibiltà e compossibilità rimando all’articolo precedente (QS 25 novembre 2019)
  
Exaptation
La nozione di “adattamento” (adaptation in inglese) viene di fatto superata con un neologismo ex-aptation, tradotto in italiano con exattamento o esattamento e che vuole sottolineare con quella ex “non più adaptation”.
 
Questa idea trasferita alla sanità è molto semplice:
- in sanità è possibile autoriformarsi quindi auto-organizzarsi
- si tratta di organizzare nuove funzioni, indipendentemente da quelle primitive,
- si tratta di dare vita a nuove forme, nuove organizzazioni, nuovi comportamenti, nuove prassi usando le nostre potenzialità interne e i nostri margini di libertà.
 
Buttandola in politica:
- anziché essere istruiti da un limite economico con la logica lineare input/output come se fossimo una trivial machine, per la sanità è possibile decidere liberamente di essere semplicemente diversa da quella che è
- in nessun caso si è obbligati a comprimere il sistema, a ricorrere ai fondi integrativi, a snaturare la sua natura pubblica ma solo a condizione di cambiare il modello di sanità  in auge
- la privatizzazione della sanità è un sopruso ma non un destino,
- come è possibile contro-riformare è altrettanto possibile riformare
 
Cosa vuol dire adattare?
Quindi torno al mio quesito: signor ministro cosa vuol dire per lei, coltello tra i denti, “adattare” la sanità alle sfide dell’oggi?
 
Per me se io fossi al suo posto cioè se fossi un ministro di sinistra post darwiniano:
- metterei la parola fine al subdolo contro riformismo della sinistra di governo, quindi andrei oltre la 229, farei davvero un salto evolutivo, dicendo “no grazie” al regionalismo differenziato, ma solo per offrire al paese un sistema sanitario non adattato ma adeguato cioè in grado di essere liberamente ciò che vuole essere per rispondere tanto a dei limiti che a dei diritti, entrambi da rispettare
- riscriverei la scheda n° 9 facendo probabilmente arrabbiare l’Emilia Romagna e tutto il mondo dell’intermediazione finanziaria, ma anche il sindacato, per dire: siccome intendo offrire al paese una nuova sanità pubblica riformata non c’è alcun bisogno di avere dei fondi integrativi o un welfare aziendale. Nel caso in cui le persone volessero dei fondi integrativi, come dice la legge del 78, essi sono liberi di farseli ma a condizione che se li paghino tutti integralmente
- scriverei una “quarta riforma” per avere una sanità  non “appropriata”  a certi costi come voleva la 229  ma “adeguata” sia ai costi che ai bisogni , cioè a nuove complessità, con la quale coordinare tante riforme diverse mai fatte tutte insieme, dalla medicina all’organizzazione del lavoro, alle prassi professionali, alla formazione,  per avere alla fine un sistema sanitario non “adattato” ai limiti economici ma “adeguato” a delle nuove complessità quindi tanto ai limiti che ai diritti.
 
Conclusione
Se lei signor ministro facesse sua la lezione di Gould e di Lewontin non adatterebbe ad una società complessa fatta da “esigenti” una sanità pensata per una società semplice fatta da “pazienti”, sarebbe come adattare il vestito di un nano ad un gigante, inventerebbe invece una nuova sanità ed esattamente quella che in questi 40 anni avremmo dovuto inventare e che nonostante tante leggi non abbiamo ancora inventato. Cioè deciderebbe di essere un riformatore post darwiniano.

In questi anni, per andare dietro a Darwin, abbiamo cambiato meno di quello che avremmo dovuto e le invarianze cioè le cose che nonostante i cambiamenti del mondo, non sono mai cambiate in sanità sono più di quello che lei immagina.
Exaptation, signor ministro, no adaptation.
 
 
Ivan Cavicchi
27 novembre 2019
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