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QS Edizioni - giovedì 28 marzo 2024

Studi e Analisi

Perché Rosy Bindi non ha fatto autocritica sui fondi integrativi?

di Ivan Cavicchi
immagine 4 dicembre - Mi sarei aspettato che la Bindi per prima dicesse: con i fondi integrativi cioè con la 229, ci siamo sbagliati senza volerlo abbiamo aperto una voragine che rischia di inghiottirci tutti, si torna alla mutualità volontaria e libera quindi all’articolo 46 della legge 833. E invece no…
Il convegno organizzato (QS, 28 novembre 2019) da quell’area PD che scherzosamente ho definito i “duecentoventinovisti” (Bindi, Miotto, Dirindin, Bissoni, Macciocco ecc) (QS,  25 novembre 2019) mi ha sbattuto sul muso  una amara disillusione che, dato il momento difficile del paese, penso allo scontro epocale in atto tra  sinistra e destra, alla scadenza elettorale dell’Emilia Romagna e naturalmente alle grandi incertezze che incombono sulla sanità pubblica,  non intendo dissimulare.
 
Al contrario intendo contestare, con rispetto certo ma anche con la dovuta fermezza intellettuale. Se serve gridare e oggi in sanità serve farlo è sbagliato parlare sottovoce
 
Il problema “politico” della mutualità
Mi sarei aspettato che la Bindi per prima dicesse: con i fondi integrativi cioè con la 229, ci siamo sbagliati senza volerlo abbiamo aperto una voragine che rischia di inghiottirci tutti, si torna alla mutualità volontaria e libera quindi all’articolo 46 della legge 833: “È vietato agli enti, imprese ed aziende pubbliche contribuire sotto qualsiasi forma al finanziamento di associazioni mutualistiche liberamente costituite aventi finalità di erogare prestazioni integrative dell'assistenza sanitaria prestata dal servizio sanitario nazionale”.
 
E invece proprio la Bindi (intervista QS, 29 novembre 2019) è la prima, con tutto il convegno al seguito, che mentre il sistema è risucchiato dal privato fa l’estremo sconsiderato tentativo di riabilitare i fondi integrativi doc dimenticando a parte il problema degli incentivi e dell’assimilazione dei fondi alle attività non commerciali, che i suoi fondi doc:
• si riferiscono sia alle prestazioni non previste nei Lea che a quelle previste dai lea,
• permette a “ tutti i soggetti pubblici e privati” di istituire i fondi,
• per farli prevede a) contratti e accordi collettivi, anche aziendali; b) accordi tra lavoratori autonomi o fra liberi professionisti, promossi dai loro sindacati o da associazioni di rilievo almeno provinciale.
Stiamo andando verso il privato
Suvvia Rosy ma come si fa, dopo aver creato le condizioni favorevoli a questa mostruosità del welfare aziendale e a quell’altra sui fondi liberi del regionalismo differenziato, a non fare neanche un po’ di autocritica ma soprattutto a non ravvedersi almeno un po’ cercando quanto meno di permetterci di riparare ai danni. Il sistema grazie alla tua 229 sta viaggiando verso la sua privatizzazione e ancora non paga dei danni fatti ci riproponi i fondi doc? Mantenendo le incentivazioni fiscali?
 
Non voglio mancarti di rispetto, nonostante non ti sono mai stato simpatico e nonostante il tuo snobismo nei confronti delle mie idee, ti ho sempre considerata una sorta di riferimento politico importante, ma credimi l’unica cosa che mi viene da dirti è che sarai pure una cattolica di sinistra ma resti una gran bella democristiana.
 
Da una parte nei convegni ci dici che il welfare aziendale è un pericolo per la tenuta del sistema pubblico e ci spieghi che i diritti non possono dipendere dal lavoro dall’altra dimentichi di dire che sei tu che gli hai aperto la strada e che sei sempre tu che insisti nell’errore. Deciditi o welfare aziendale o sanità pubblica. Uno esclude l’altro.
 
Proprio l’altro giorno  l’Ufficio parlamentare bilancio ha pubblicato  un focus sulla sanità (QS, 2 dicembre 2019) in cui  tra le molte cose che stanno mettendo in crisi la sanità pubblica  si evidenzia che  “le agevolazioni fiscali concesse alle misure di welfare aziendale favoriscono un sistema categoriale-corporativo alternativo al servizio pubblico, che si dispiega anche fuori dal campo dei servizi integrativi”.
 
Aggiungendo  che“assecondare questa tendenza e contemporaneamente continuare nella compressione del finanziamento del servizio pubblico potrebbe mettere in discussione l’universalità del sistema vigente, laddove il passaggio a un sistema sanitario mutualistico, o addirittura privatistico, potrebbe avere l’effetto di aumentare la spesa complessiva per la sanità, con pressioni anche su quella pubblica".
 
Più pubblico non meno
 
In tutto il convegno del 29 novembre è rimbalzata la storiella della mutua solo integrativa, quando tutti sanno, esperti compresi, che nella realtà è una vera e propria favola metropolitana. La 833 con la mutualità libera e volontaria non a caso vietava l’integrazione perché sapeva molto bene che il rischio che correva il sistema era quello della sostituzione. E così è avvenuto. Le mutue integrative e complementari sono la foglia di fico per coprire le vergogne della privatizzazione.
 
Ma a parte questo vorrei spiegare che la questione dei fondi non è semplicemente una misura che mette in pericolo la natura pubblica del sistema, ma è una vera idea contro riformatrice, nel senso che è come se si dichiarasse l’impossibilità per il servizio pubblico di essere tale, cioè è come non credere al servizio pubblico, convinti in realtà che non potrà mai essere davvero pubblico. Quando così non è.
 
La vera sfida di sinistra oggi non è meno pubblico ma è più pubblico intendendo per pubblico non questa accozzaglia di servizi che abbiamo ora ma un ben altro sistema organizzato in ben altra maniera ma soprattutto con una ben altra cultura.
 
Noi oggi dal punto di vista della cultura non siamo altro che una gigantesca costosissima mutua nazionale molto lontani dall’offrire a questa società di esigenti un servizio adeguato e una idea moderna di salute. Ed è questa mutua nazionale che ha bisogno dei fondi. Un Ssn vero serio nuovo non ha bisogno dei fondi.
 
Il siparietto politico
Nel corso del convegno di Firenze, la Bindi ci ha proposto un siparietto politico, intervistata su Salvini ci ha detto che per combatterlo bisognerebbe dire “cose opposte dimostrando che sono più giuste”.
 
Dal punto di vista della logica questo principio è molto discutibile: una tesi più giusta non è semplicemente quella in opposizione ad un’altra tesi ma è quella che in “subiecta materia” risulta semplicemente più vera quindi più credibile e più convincente e alla fine più persuasiva. Il giusto dipende dal vero e il vero da ciò che è reale. Ma fa niente. Prendiamo l’aforisma della Bindi per buono.
 
Partiamo da un esempio pratico: se la città si allaga il problema non è la pioggia ma le fogne che non funzionano. Non ha senso opporsi alla pioggia come propone la Bindi, l’unica cosa che si può fare dal momento che le fogne sono la condizione necessaria e sufficiente per non far allagare la città è opporsi alle fogne per farle funzionare.
 
La domanda che la Bindi non si pone è: come fa la sinistra a dire cose opposte contro Salvini? Cioè ad opporsi alle fogne.  La risposta non è per niente scontata: per dire davvero cose opposte alla destra la sinistra deve dire cose opposte a se stessa, cioè deve cambiare ed essere diversa. Tornando alla sanità bisognerebbe dire “più pubblico di un altro genere” come dico io e non “più privato del vecchio genere” come dice la Bindi.
 
La nascita dell’ircocervo
Continuiamo con il ragionamento: facendo mio il principio della Bindi delle “cose opposte e più giuste” restando sui temi della sanità, le chiedo molto semplicemente: 20 anni fa avete fatto nascere una specie di ircocervo la 229:
• per accontentare la sinistra avete parlato di distretti, di dipartimenti di prevenzione, di programmazione, di integrazione sanitaria, di appropriatezza,
• per accontentare la destra  avete aperto ai fondi integrativi, all’atto aziendale di diritto privato, alla gestione pubblico- privato.
 
Quindi avete affermando con chiarezza tre principi davvero molto di “destra” quello:
• dell'economicità a priori nell'impiego delle risorse,
• delle compatibilità finanziarie,
• della definizione contestuale  dei lea con la definizione delle risorse.
 
Principi poveri per una politica povera: i soldi sono pochi vi dovete adattare.
 
Quali idee “opposte e giuste” per opporci al decadimento?
Sono passati 20 anni, la parte di sinistra dell’ircocervo è rimasta sulla carta, la parte di destra ha dato luogo come dice “l’ufficio parlamentare bilancio” a una infinità di problemi al punto da mettere a rischio la sopravvivenza della natura pubblica del sistema.
 
A questo punto chiedo, prima di tutti alla Bindi, quali cose “opposte e più giuste” si devono fare rispetto alla 229 per fermare il declino della sanità pubblica?
 
La risposta che il convegno ha dato è chiara: “nulla”, faccio una associazione ma per tenermi stretta la mia 229 di 20 anni fa e fare qualche convegno in giro per l’Italia, mi tengo i fondi doc, la privatizzazione, le diseguagliane, cioè mi tengo in sostanza  i miei limiti e le mie scelte di “destra”:
• primo perché non sono capace di trascenderli,
• secondo perché se li trascendessi pur facendo l’interesse della sanità dovrei ammettere di aver sbagliato,
• terzo dando ragione e chi mi ha criticato mio malgrado dovrei includere nei miei spazi di potere altri punti di vista quelli che finora ad ora ho ignorato obbligandoli ai margini e che “sdoganati” finirebbero per indebolirmi.
 
Insomma, parliamoci chiaro, va bene la sanità il diritto, i cittadini ma “prima di tutto vengo io” tutto il resto viene dopo.
Salvini, ne sono sicuro, con questa sinistra di governo può dormire sonni tranquilli e la sanità può benissimo andare a farsi benedire.
 
Un’altra 229
La teoria delle cose “opposte e più giuste” della Bindi se la si applica oltre Salvini anche alla sanità, suppone, almeno sul piano teorico, che si possa fare un altro genere di 229.
 
A ben guardare alla fine degli anni 90, non c’era nessun obbligo di scrivere “quella” 229 . Molte erano le strade alternative percorribili, e alcuni di noi avevano già cominciato ad indicarle.
 
Avremmo potuto reinventare gli ospedali, superare il doppio sistema territorio ospedale, avremmo potuto riorganizzare il lavoro dei servizi, avremmo potuto ripensare le professioni, la prevenzione, ripensare la medicina, l’azienda, e un mucchio di altre cose. Allora perché è stata scritta “quella” precisa 229 e non un’altra 229?
 
La risposta è semplice perché per il senso comune del Pd di quel tempo, altre politiche, che non fossero strettamente amministrative, non erano concepibili, ma, attenzione inconcepibili per voi del PD non inconcepibili in assoluto.
 
Dire cose “opposte e giuste” in sanità oggi significa superare prima di ogni altra cosa la visione solo amministrativista della politica sanitaria. Il mondo della sanità è pieno di migliaia di oggetti i più diversi ebbene per il senso comune che amministra la sanità ancora oggi gli oggetti principali ammessi sono al massimo una decina e sono tutti oggetti amministrativi.
 
Conclusioni
 
Dopo 20 anni la Bindi in pensione, torna alla sanità, bene, ma che ci torna a fare se, mentre tutto viaggia verso la negazione della sanità pubblica, continua a dirci senza nessuno sforzo autocritico le stesse cose di 20 anni fa? Quelle che, per altro, ci hanno inguaiato?
 
E’ del tutto evidente che, il convegno di Firenze, particolarmente in certi interventi, ha mostrato, senza ombra di dubbio, un ministro Speranza suo malgrado del tutto dipendente da un vecchio pensiero strategico. Un grande problema politico per noi tutti, non solo per il giovane ministro, che, a questo punto, rischia di essere inutilmente giovane. E’ come se dopo Copernico egli continuasse a pensare attraverso la 229 all’universo come Tolomeo.
 
Io credo che tutti noi a questo giovane ministro di sinistra dovremmo dare una mano ma nel senso di costruire tutti insieme una vera strategia “opposta e giusta” che faccia i conti con i nostri errori storici e che sia all’altezza dei tempi.
 
Questa volta ha ragione la Bindi a dire che non tutto è perduto e che è possibile recuperare qualche bue che nel frattempo è scappato. Mettiamo al primo posto la sanità pubblica. Io nel mio piccolo una proposta ce l’avrei già pronta, sulla quale a differenza vostra ho lavorato per anni, che è la “quarta riforma”, vogliamo discuterne? Che ne dite se per fare sul serio scrivessimo tutti insieme per il ministro Speranza una nuova 229?
 
Ivan Cavicchi
4 dicembre 2019
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