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QS Edizioni - sabato 20 aprile 2024

Studi e Analisi

Il dibattito sull’Ebm. Cosa vi è di evidente nell’evidenza?

di Pier Paolo Dal Monte
immagine 12 ottobre - Proseguiamo il dibattito sollevato dall'ultimo libro di Ivan Cavicchi sulle evidenze scientifiche in medicina con Pier Paolo Dal Monte. “Secondo una visione del mondo, vittima della più classica delle illusioni che informano il riduzionismo positivista, proviene la concezione che vorrebbe che il canone definito dalla cosiddetta Evidence Based Medicine, costituisse il metodo esclusivo nella formazione del sapere medico, dando per scontato che questo fosse oggettivabile mediante metodi statistici
Se seguiamo la definizione di Thomas Kuhn, la medicina non può essere considerata una “scienza normale”[1]. Innanzitutto essa non può essere classificata come “scienza particolare”, ossia una singola e specifica branca del sapere, ma è, senza dubbio, una “meta-conoscenza” che racchiude in sé un complesso di strumenti epistemici e saperi, derivanti da diverse scienze “particolari”, coordinati tra loro ed utilizzati in maniera pragmatica secondo lo scopo, ovvero il risultato che ci si prefigge.
 
Tra questi possiamo citare quelle che vengono definite “scienze di base”, come la fisica, la chimica, la biologia, e altre discipline più specifiche all’ambito medico come l’anatomia, la fisiopatologia, la farmacologia, lepidemiologia, eccetera.
 
Tuttavia, la medicina non si limita ad essere solo un’assieme di conoscenze teoriche coordinate attraverso una s”intesi clinica” ma, come ha sottolineato Michael Polanyi, una conoscenza empirica “personale” (“Personal Knowledge”): «L’abilità del medico, è tanto un’arte di fare che un’arte di conoscere […]La grande quantità di tempo impiegata dagli studenti di chimica, biologia e medicina, nel frequentare corsi pratici, mostra quanto queste scienze poggino sulla trasmissione dei saperi e della perizia dal maestro all’allievo. Il che è una dimostrazione piuttosto evidente di quanto l’arte del conoscere rimanga ancora poco precisabile»[2].
 
Questa conoscenza implicita è fondamentale per ciò che riguarda quello che è l’atto medico per eccellenza, ovvero l’interazione tra  medico e  paziente; esso comprende diversi strumenti epistemici non codificati e non passibili di quantificazione, quali: l’esperienza del medico e la sua capacità di mettere assieme le informazioni raccolte attraverso l’interazione con il paziente e tramite gli strumenti diagnostici, la capacità di osservazione , l’intuizione (dal latino in-tuere: “vedere dentro”).
 
Lo statuto epistemico della medicina è, pertanto, desumibile solamente questo essere meta-conoscenza, sintesi di una complessità di fatti e conoscenze, teoriche e pratiche, di dati quantificabili ed inferenze empiriche, coordinati i e assembra dal ragionamento clinico.
Sarebbe, quindi, un grave errore ridurre la medicina   ad una sorta di parodia positivistica di scienza esatta (o “normale”) che abbia la pretesa di proporsi come apodittica, riduzionista e “oggettiva”.
 
In questo contesto epistemico si inserisce il libro di Ivan Cavicchi, L'evidenza scientifica in medicina. L'uso pragmatico della verità (Nexus, 2020), che, costituisce un vero e proprio manuale di epistemologia dell’agire medico.
Il libro costituisce un fondamentale caveat nei confronti delle derive riduzionistiche che hanno afflitto la medicina  negli ultimi decenni.
 
Vi è vi è un’ampia scuola di pensiero che si ostina a ritenere che la medicina possa ambire allo status di scienza esatta o, almeno, che questo sia il traguardo al quel essa debba tendere. Quest’orientamento tende a considerare la malattia un fatto avulso dal contesto e che essa debba essere, sempre e comunque, “oggettivabile” mediante dati quantitativi.
 
Da questa visione del mondo, che è vittima della più classica delle illusioni che informano il riduzionismo positivista, proviene la concezione che vorrebbe  che il canone definito dalla cosiddetta Evidence Based Medicine (Medicina Basata sulle Evidenze, in seguito EBM), costituisse il metodo esclusivo nella formazione del sapere medico, dando per scontato che questo fosse oggettivabile mediante metodi statistici. Il desiderio inespresso che è alla base di questo canone metodologico è che esso avrebbe potuto metter fine ai dubbi e alle aporie derivanti dalle incertezze insite nelle “scienze della salute”, e potesse, pertanto, trasformarle in “scienze normali”, tramite l’adozione di  un metodo “algoritmico” che, in ultima analisi, possa astrarre la figura del medico, ossia, la sua soggettività e le sue “imperfezioni”, dalla pratica clinica.
 
Vi è stato chi ha, addirittura, sostenuto che questo canone costituisse un “cambio di paradigma scientifico”[3] nel senso descritto da Thomas Kuhn, ovvero un cambiamento dell’ «intera costellazione di credenze, valori e tecniche condivisi dai membri di una comunità scientifica»[4], processo nel quale i vecchi paradigmi vengono rovesciati e sostituiti da altri, dando luogo a ciò ch’egli definisce “un cambiamento nella visione del mondo”[5].
 
Le definizioni usate per ritrarre l’ "Evidence-Based Medicine" sono, in genere, informate da una certa vaghezza, ma, soprattutto tendono a rientrare nell’ ambito delle definizioni circolari o tautologiche, come testimoniano i due esempi che riportiamo qui:
 
«L’uso coscienzioso, esplicito e giudizioso delle migliori evidenze disponibili nel prendere decisioni che riguardano la cura dei singoli pazienti»[6]
 
«L’uso delle migliori informazioni che provengono dalle ricerche mediche che siano al contempo valide e disponibili per l’applicazione clinica»[7]
 
Queste definizioni sembrano affermare che l’EBM consista, sic et simpliciter, nell’uso più saggio delle migliori evidenze disponibili, ovvero, non posseggono alcun contenuto descrittivo e si limitano ad essere tautologie “auto-validanti”. Lo stesso termine “evidenza”, dal punto di vista etimologico (ex-videntia) rimanda a qualcosa che non ha bisogno di essere dimostrato, è palese, scontato, per l'appunto “evidente”[8].
Se queste enunciazioni avessero un senso remante descrittivo, renderebbero impossibile qualsivoglia critica a questo canone metodologico:  chi mai chi mai potrebbe eccepire qualcosa all’uso delle migliori evidenze in maniera saggia[9]? Quale medico tralascerebbe di utilizzare “in maniera coscienziosa e giudiziosa le migliori evidenze disponibili nel prendere decisioni”?
 
Tuttavia, siccome questa tautologia è stata così ben confezionata da assurgere a criterio di verità, da essa scaturisce addirittura una sorta di sillogismo deontologico: Se il compito del medico è quello di perseguire la salute del paziente, è evidente ch’egli debba adottare il metodo più efficaci per detto scopo, ovvero la “verità scientifica”.
 
Quindi: “Solo se perseguiamo la verità potremmo giungere al metodo più efficace per ottenere la salute. Solo se seguiamo l’ EBM possiamo massimizzare la probabilità di raggiungere la verità. Quindi l’ EBM è il metodo più efficace per ottenere la salute[10]
 
Proviamo, quindi, ad analizzare prima il quadro metodologico che caratterizza l’EBM, per cercare di valutare se, la pretesa di questo “cambio di paradigma”,[11] abbia qualche fondamento. L’EBM prevede una serie di strumenti, regole e tecniche che si basano sull’analisi della letteratura scientifica[12] che adottano principi epidemiologici e statistici, allo scopo di fornire un metodo che, negli intenti dei suoi fautori, è atto a fornire un mezzo “oggettivo” che possa fare da guida nelle decisioni cliniche e nelle linee guida (algoritmi diagnostici e terapeutici).
 
L’ “imperativo morale” di cui sopra si basa sulla premessa, arbitraria e preanalitica[13] , che la conoscenza generata attraverso questo canone metodologico possa assurgere ad una sorta di “oggettività” ed essere, quindi, più “scientifica”, in quanto esente da distorsioni e pregiudizi dell’osservatore. Questo ha generato una superstizione, molto più pericolosa, ossia che questo canone metodologico dovesse (imperativo morale) essere l’unico criterio veritativo lecito per ciò che riguarda la formazione del sapere medico e, di conseguenza per le cure della salute tout court.
Se, tuttavia, sottoponiamo queste premesse ad un critica metodologica ed epistemologica abbastanza superficiale, possiamo constatare che esse si rivelano piuttosto illusorie, in quanto, gli studi e le ricerche sui quali si basano non sono affatto immuni da distorsioni o fallacie.
Una di queste
 
Una di queste, è, senza dubbio, correlata alle fonti di finanziamento delle ricerche. È ragionevole affermare che vi siano pochi dubbi circa il fatto che gli studi e le ricerche, dai quali può scaturire  un potenziale ritorno economico, abbiano una maggiore probabilità di ottenere finanziamenti rispetto a quelli che non possiedono questa caratteristica. In questi casi è non solo plausibile, ma affatto probabile, che gli stessi interessi economici in questione si adoperino affinché questi studi tendano a dimostrare l’efficacia pelle procedure o delle terapie in oggetto[14].
 
Le influenze di questo tipo sono sempre foriere di fallacie sistematiche sulla formazione del “sapere” medico, su ciò che viene ritenuto probato e probante. Nessuno studio condotto secondo il canone dell’EBM ci può essere d’aiuto per dirimere tale questione in senso veritativo, perché ogni studio viene deprivato di gran parte della propria attendibilità se non è situato nel contesto più ampio dei molteplici interessi socioeconomici nel quale si effettua la ricerca in oggetto, che ne influenzano la struttura (scopi, disegno dello studio, tipo di risultati che si spera di ottenere[15], metodologia di analisi di questi ultimi).
 
Un’altra fonte di distorsione è dovuta a quelli che vengono definiti le “fallacie (bias) tecniche”, e consistono nel privilegiare lo studio di fenomeni dai quali è possibile estrapolare dati quantitativi, rispetto ad altri nei quali questa caratteristica sia meno presente[16]. Il risultato di quest’’attitudine è il fatto che vi sia una predominanza di studi e di ricerche dai quali è più facile ottenere dati  quantitativi, rispetto a quelli nei quali quest’operazione sia meno agevole: quale evidenza può acclarare che i primi siano più importanti, significativi o dirimenti dei secondi?
 
Un terzo tipo di distorsione che, per certi versi, comprende entrambi i precedenti, è quello che viene definito “Fallacia (bias) di pubblicazione” che, per certi versi, è simile al secondo e che riguarda la tendenza, da parte delle riviste scientifiche, a pubblicare studi che abbiano risultati “positivi”, ovvero che attestino o confermino l’efficacia delle procedure, delle tecniche o delle terapie studiate.
 
Abbiamo quindi diversi tipi di distorsioni che possono influenzare l’attendibilità degli assunti e dei risultati che fanno parte del sapere scientifico condiviso[17]. Nel primo dei casi elencati, l’effetto è quello di una scarsa attendibilità degli studi in oggetto dovuta ai conflitti d’interesse in gioco. Negli ultimi due, invece, l’effetto è quello di restringere il complesso dei dati disponibili, dal momento che i ricercatori sono spinti ad investigare solo  quei fenomeni grazie ai quali vi sia una maggiore possibilità di trarre risultati pubblicabili, tralasciandone altri.
 
Il secondo tipo di critica che rivogliamo all’EBM è quello più squisitamente epistemologico. Da questo punto di vista vi è un fatto che non è ancora stato preso troppo in considerazione, ovvero che l’EBM, in quanto canone metodologico “veritativo”, non soddisfa i propri stessi criteri per definirsi “basato sulle evidenze”. Di fatto non vi sono studi controllati (RCT) che attestino una superiore efficacia della pratica basata sull’EBM[18]. Pertanto arriviamo al paradosso che, per dirlo con uno slogan, la “Medicina Basata sull’evidenza, non è basata sull’evidenza.
 
Inoltre vi è un altro aspetto da tenere in considerazione: l’EBM  si basa, come abbiamo detto, su dati quantitativi e statistici, che vengono considerati gli unici ammissibili. Possiamo senz’altro dire che, anche questa scelta preanalitica di ammissibilità, non si basa su alcuna evidenza tra quelle codificate dal canone: non vi sono studi in grado di attestare che l’attenzione esclusiva ai dati quantificabili e passibili di elaborazione statistica conducano ad una pratica medica più efficace. In compenso, però, questo comporta a quella semplificazione eccessiva di una realtà complessa (il paziente) che abbiamo compreso nel termine “riduzionismo”. Come scrivono Henry et al.: «La Medicina Basata sulle Evidenze non può adoperare concetti che non sono passibili di analisi quantitativa, pertanto rinforza e formalizza la tendenza dei medici a considerare concetti che esulano dall’analisi quantitativa come ininfluenti o imperscrutabili»[19]
 
In questi casi l’EBM diviene un simulacro di scienza che ripudia sistematicamente concetti ed evidenze che non possono essere rappresentate nel proprio canone, ossia nel proprio linguaggio, la cui credibilità e autorevolezza deriva, più che altro, dal fatto che esso è un sistema accreditato socialmente, il cui valore dipende dal principium auctoritatis che lo legittima.
 
La pretesa che “l’evidenza parli da sola”[20] è un’illusione nominalistica insita nell’etimologia stessa del termine, ma, dal punto di vista epistemologico, è una corbelleria positivista che ritiene che, un certo tipo di rappresentazione della realtà coincida con la “verità” ,ignorando la complessità dell’essere umano nella sua interazione con la malattia e col contesto sociale, economico, politico nel quale ci si trova ad agire.
Inoltre, non esistono mai i dati, in quanto tali: esiste la scelta preanalitica su quali dati cercare ed utilizzare e la loro interpretazione ma la loro interpretazione, e nessuna scelta preanalitica può essere “neutrale” o “oggettiva” ma è giocoforza informata da innumerevoli influenze che fanno parte del contesto culturale e storico.
 
«In ogni caso, se sottoponiamo l’EBM ad un’analisi “decostruttiva”, constatiamo che è un sistema che barcolla sotto il peso dei propri editti, un sistema che per sostenere le proprie contraddizioni, può essere descritto solo come “basato sulla fede” o, secondo Ernest House[21]: “un fondamentalismo metodologico»[22].
 
Naturalmente, quanto scritto non vuole significare che si debba “gettare il bambino con l’acqua sporca”, ovvero rigettare l’EBM tout court: la pratica medica non può prescindere dalle evidenze, altrimenti sarebbe un confuso procedere nelle nebbie del solipsismo dell’opinione. E neppure rinunciare ad un metodo per verificarle. La questione cruciale, a questo punto, come avverte Cavicchi, verte su quale metodo, o complesso di metodi, sia opportuno adottare.
 
Se, come abbiamo detto, il dovere del medico è quello di perseguire il beneficio per il paziente, con gli strumenti epistemici più  adatti, la riflessione su questi ultimi non può partire da posizioni aprioristiche e ideologiche, che postulano che vi sia un solo ed unico canone corretto. Se seguiamo la distinzione heideggeriana tra “pensiero calcolante” e “pensiero meditante”[23], il predominio del primo tende a ridurre il medico a tecnico che applica pedissequamente ed esclusivamente il “pensiero calcolante”, che è fatto di algoritmi e procedure “preconfezionate”, quasi ch’egli debba essere una macchina che, dati determinati impulsi, giunga sempre alla stessa soluzione o esegua sempre gli stessi atti.
 
Anche se consideriamo le nostre osservazioni tutt’altro che esaurite, riteniamo che, per ragioni di spazio, sia bene avviarsi alle conclusioni di questa breve disamina critica. La prima è che l’EBM è utilizzata come “vincolo esterno”, per fare sì che il medico possa autoassolversi dalla propria responsabilità di clinico e adattarsi a quella che Cavicchi definisce “medicina amministrata”.
 
Questo ci porta alla seconda conclusione: l’EBM, ovvero la medicina amministrata secondo rigide tecniche,  fa parte di quelli che, seguendo Foucault, si possono definire “paradigmi biopolitici”[24], ovvero modi per governare la vita politica e sociale attraverso «tecnologie nelle quali i corpi sono sostituiti da processi biologici generici e la vita individuale diviene vita della specie […] e fare in modo che essi vengano, se non disciplinati, “regolarizzati”»[25].
 
Pier Paolo Dal Monte
Chirurgo e saggista, Bologna
 
 
Leggi gli articoli precedenti di Gensini et al.ManfellottoMantegazzaIannoneFamiliariMancinBenatoSaffi GiustiniCavalliGensiniPanti,  Brandi, Stella, Defilippis e Abbinante
 

Note bibliografiche:
[1]“In questo saggio, 'scienza normale' significa una ricerca stabilmente fondata su uno o su più risultati raggiunti dalla scienza del passato, ai quali una particolare comunità scientifica, per un certo periodo di tempo, riconosce la capacità di costituire il fondamento della sua prassi ulteriore”.  Kuhn, T.S., The Structure of Scientific Revolutions, Chicago University Press, Chicago 1970, p.10

[2]
M. Polanyi, Personal knowledge. Towrds a post-critical philosophy, Routledge, London 2005, pp. 57-58
 

[3]
S. R. Sehon, D. E. Stanley, A philosophical analysis of the evidence- based medicine debate, «BMC Health Services Research 2003», 3:14.
Couto J.S. (1998). Evidence-based medicine: a Kuhnian perspective of a transvestite non -theory. Journal of Evaluation
in Clinical Practice, 4:267-275

[4]
T. Kuhn, Op. cit., p 175

[5]
T. Kuhn, Op. Cit., Cap X

[6]
Sackett DL, Straus SE, Richardson WS, Rosenberg W and Haynes RB: Evidence-Based Medicine: How to Practice and Teach EBM. 2ndth edition. Edinburgh, Churchill Livingstone; 2000.

[7]
Haynes RB: What kind of evidence is it that Evidence-Based Medicine advocates want health care providers and consumers to pay attention to? BMC Health Serv Res 2002, 2:3 15

[8]
Anche in inglese, esso conserva quest’accezione, avendo in commune l’etimologia conil vocabolo ’italiano, ancorchè venga usato più nel senso di “prova”.

[9]
Scott R Sehon and Donald E Stanley, Op. cit. 

[10]
M. Gupta: Journal of Evaluation in Clinical Practice, 9, 2, 111–121M. Gupta, Op. cit., p. 115

[11]
M. K. Cho. L.A. Bero L.A.. The quality of drug studies published in symposium proceedings. Annals of Internal Medicine, 1996, 124, 485–489.

 [12]Questi strumenti sono basati sugli studi clinici randomizzati (Randomized Clincal Trials, in seguito RCT), il cui principio fondamentale è l’assegnazione casuale di un numero sufficientemente ampio di pazienti selezionati in gruppi sperimentali e gruppi di controllo, in modo da distribuire in modo eguale le variabili che possano falsare l’esperimento, così che le differenze nei risultati siano attribuibili agli interventi praticati. Inoltre, nell’EBM sono considerati altri tipi di studi, secondo una “gerarchia dell’evidenza”, che vede agli ultimi posti ciò di cui abbiamo descritto essere parte della “conoscenza implicita”, ovvero l’intuito, l’esperienza clinica non sistematizzata o il razionale fisiopatologico (Henry, 2007; Guyatt, 2002; Sackett, 2000)

[13]
Scelta prenalitica: “descrizione parziale della realtà, tende a rappresentare quelle parti di essa che sono ritenute significative da coloro che creano o adottano un modello”. Cfr. Il Pedante, P.P. dal monte, Immunità di legge, Macro e Arianna editrice, Cesena 2019, p.142

[14]
M. Gupta, Op. cit., p. 115. M.K. Cho, L.A. Bero, Op. cit.

[15]
Cfr. Op.cit.

[16]
L. Culpepper. T.T. Gilbert, Evidence and ethics. Lancet 353, 1999, 829–831

[17]
Pubblicazioni su riviste scientifiche, volumi e atti, relazioni congressuali, linee guida, ecc.

[18]
Cfr.: I. Devisch, S. J. Murray, Op. cit.

[19]
Henry, S. G., Zaner, R. M. & Dittus, R. S. (2007) Viewpoint: moving beyond evidence-based medicine. Academic Medicine, 82 (3), 292– 297.

[20]
Cfr.: I. Devisch, S. J. Murray, Op. cit.

[21]
Cfr.: I. Devisch, S. J. Murray, Op. cit.

[22]
E. R. House, Methodological fundamentalism and  the quest for control(s). In Qualitative Inquiry and the Conservative Challenge (eds N. K. Denzin & M. D. Giardina), pp. 93–108. Walnut Creek, CA: Left Coast Books  2006
 

[23]
Cfr., Heidegger, M., L’abbandono, Il Nuovo Melangolo, Genova 2004

[24]
Cfr.: I. Devisch, S. J. Murray, Op. cit

[25]
M. Foucault, Society must be defended. Lectures At The College De France, 1975-76, Picador, New York 2003, p.246
 
12 ottobre 2020
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