toggle menu
QS Edizioni - giovedì 28 marzo 2024

Governo e Parlamento - Veneto

Carenza medici e numero chiuso. Intervista a Leoni (Cimo Veneto): “Toglierlo non risolve il problema. Ma il test di accesso va rivisto”

di Endrius Salvalaggio
immagine 18 ottobre - Per il sindacalista l’alto numero di candidati alla Facoltà di Medicina è il segnale di come la professione sia ancora ambita “nonostante il definanziamento costante della sanità, i problemi di responsabilità professionale e i contratti bloccati da circa 10 anni”. Ma se si vuole risolvere il problema della carenza di medici, “bisogna aumentare il numero di specialisti e non i laureati”. Resti, dunque, il test d'accesso. Che però, per Leoni, deve sapere selezionare i futuri medici “su base scientifica dedicata, con attenzione al profilo etico ed attitudinale”
In tempi in cui i medici scarseggiano, la sanità viene spesso messa in discussione ed alcuni direttori ricorrono allo strumento dei medici in affitto: tant’è che ci si auspicava che i test di accesso alla facoltà di medicina fossero resi più "aperti". E’ categorico il Segretario CIMO Regione Veneto Dott. Giovanni Leoni, secondo il quale i test d’ingresso non è uno strumento che assicura se una persona è adatta o meno a fare il medico.

Dott. Leoni, per formare un medico tra università e specializzazioni ci vogliono circa 10 - 11 anni: come sopperire all’attuale carenza?  
Per prima cosa serve un aumento adeguato del numero di posti delle Scuole di Specialità mediche, attualmente bloccati a circa 6.700 ma che dovrebbero essere innalzati di almeno altre 3.000 unità, con maggiore attenzione e implementazione per quelle branche più carenti tra cui: Anestesia e Rianimazione,  Pediatria , Ginecologia , Pronto Soccorso, Radiologia, Chirurgia Generale e Medicina Interna.
Inoltre, ritengo dovrebbero essere maggiormente considerate anche branche come Neuroradiologia, Gastroenterologia, Cardiologia. Gli specializzandi possono poi essere destinati a frequentare, con ritmi semestrali, gli Ospedali di riferimento per la parte clinica, restando inseriti per la didattica nelle Università, come già succede per alcuni ambiti nell’Università di Padova, acquisendo così esperienza pratica e coprendo quel lavoro dove la carenza di personale è ormai fatto notorio. L’affiancamento nella nostra professione fra medici giovani e più esperti è fondamentale.

Commentiamo i recenti dati pubblicati dal Miur; il 30% dei corsisti che hanno affrontato i test ingresso per la disciplina di medicina ed odontoiatria, è stato bocciato. Cosa ne pensa?
E’ confortante il dato che rivela come sia ancora tanto ambita, tra i giovani, la laurea in Medicina e Chirurgia nonostante il definanziamento costante della sanità, i problemi di responsabilità professionale ed i contratti bloccati da circa 10 anni. Il test di accesso è necessario ma la selezione deve poggiare su domande atte a selezionare i futuri medici su base scientifica dedicata con attenzione al profilo etico ed attitudinale. 10.000 medici all’anno sono adeguati al ricambio secondo un recente studio della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici, ma forse è auspicabile portare la cifra a 15.000.
Secondo FederSpecializzandi, dall’indizione del primo concorso nazionale di accesso alle Scuole di Specializzazione ad oggi, il divario tra i candidati e i posti a disposizione è rimasto immutato. Nel 2014 si sono iscritti 12.168 candidati a fronte di 5.504 posti totali; nel 2015 si sono iscritti 13.188 candidati a fronte di 6.363 posti; nel 2016 si sono iscritti 13.802 candidati a fronte di 6.725 posti; nel 2017 si sono iscritti più di 15.000 candidati a fronte di 6676 posti. Per il 2018 il numero dei contratti statali a disposizione è di 6.200 unità, che anche con le integrazioni delle borse Regionali, non saranno sufficienti a far fronte ai numeri di candidati attesi.
 
Lascerebbe o toglierebbe il numero chiuso nelle università di medicina?
L’aumento dei medici che accedono alla facoltà non risolverebbe nell'immediato il problema della crisi medica. Il problema sta nei medici, quindi già laureati, che non riescono a specializzarsi o a finire il triennio formativo di medicina generale.
Sono 15.000 in Italia i laureati che non hanno completato, con specialità o triennio formativo per la Medicina del territorio, gli studi necessari che li qualificano ad accedere in maniera completa alla professione.
E’ inoltre indispensabile valutare il numero di posti assegnati alle scuole di specializzazione secondo una rigorosa programmazione in funzione delle reali necessità, anche alla luce della riorganizzazione del servizio sanitario in applicazione progressiva del decreto 70.
Come già detto, ritengo poi necessario poi rivedere il test d’ingresso con domande non solo di cultura generale ma anche con quesiti che possano evidenziare l’attitudine specifica del candidato alla professione medica . Il futuro medico deve essere valutato sulla cultura scientifica e medica di base, sull'etica e sulla sensibilità sociale, sulla personale disponibilità mentale a lavorare a favore del prossimo.
Infine, come già in essere grazie ad un progetto della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici, bisogna ampliare la possibilità di inserire, già negli ultimi anni delle scuole superiori, ore specifiche dedicate alla educazione medica e sanitaria, per valutare da subito le affinità elettive dei giovani a questa professione. In conclusione, in questo preciso momento storico, come strategia di intervento per il ricambio generazionale dei medici, bloccato da troppi anni a fini di mero risparmio economico, bisogna aumentare gli specialisti e non i laureati.

Un neolaureato in medicina che vuole specializzarsi, spesso, a causa della carenza di posti, ripiega in corsi che non sono quelli che vorrebbe fare o che sono nelle sue corde. Non le sembra una cosa frustrante e controproducente?
Purtroppo il concorso nazionale a scaglioni rende possibile ottenere l’ambito posto in specialità con relativo stipendio, cosa non trascurabile visto per parliamo di professionisti di circa 24 -25 anni che devono affrancarsi dal mantenimento dei genitori, ma differente per disciplina e spesso sede logistica da quella desiderata. Così l’anno dopo si riprova e la borsa abbandonata non viene recuperata.
Massimo Minerva, da post dedicato del 2/9/2018 conferma che i meccanismi dell’abbandono sono sostanzialmente due. Il primo: una persona vince una borsa e l’anno dopo decide di abbandonarla per prenderne un’altra più desiderata (tra il 2016 e il 2017 circa 350 borse si sono perse così). Il secondo meccanismo riguarda, invece, lo sfasamento delle prove tra Specialità e Corso Triennale per la Medicina Generale con possibilità per molti candidati di vincere una borsa per la Specialità partecipare alla prova per la Medicina Generale. In caso di superamento del test i decide per Territorio ed il posto in Specialità abbandonato non viene recuperato

In tempi dove le risorse della sanità pubblica scarseggiano, trova giusta l’idea di una collaborazione tra pubblico e privato?
La collaborazione è già in essere da tempo in alcuni settori, in particolare per le attività in elezione come la Riabilitazione e alcune Chirurgie elettive con ottimi risultati. Ma il Sistema Sanitario Pubblico deve rispondere all’Urgenza - Emergenza nelle 24 ore, alle patologie complesse, ai soggetti polipatologici su cui si aggiunge l’ennesima patologia importante, pazienti difficili a cui servono medici ed infermieri dedicati a fare le cose difficili, ed una particolare predisposizione  d’animo  che non deve essere frustrata da ritmi di lavoro insostenibili.

Parliamo dei medici in “affitto”: cosa ne pensa di questa ormai prassi?
La carenza di programmazione, che è alla base del mancato ricambio, imputabile alle Istituzioni preposte quali Ministero - Università in una branca delicatissima come il Pronto Soccorso, che è la specialità più carente, è di una gravità inaudita. Lo dico per vita vissuta quale medico di Pronto Soccorso per alcuni anni subito dopo la specialità in Chirurgia Generale. Lo studio dedicato, l’affiancamento con i colleghi più esperti e la dedizione a questo particolare tipo di lavoro, sono valori fondamentali per un adeguato servizio all’utenza.
Sono profondamente vicino a tutti i colleghi che ricoprono a vario titolo un ruolo denominato “medici in affitto”: lo trovo indecoroso per tutta la categoria, lesivo per una adeguata progressione di carriera. Auspico, quindi, la stabilizzazione dei precari, l’accesso dedicato alle Scuole di Specialità anche in sovrannumero, il ritorno agli avvisi ed ai concorsi a tempo indeterminato, il controllo della turnistica con adeguata alternanza di lavoro e riposo. Non mi sembra di chiedere niente di strano, o forse sì?
 
Endrius Salvalaggio
18 ottobre 2018
© QS Edizioni - Riproduzione riservata