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Piano Nazionale Cronicità: criticità e soluzioni al centro della V Conferenza “Sanità e comunità locali” di Cittadinanzattiva 

“Dagli atti ai fatti” è il titolo della conferenza che si è tenuta oggi a Torino sulle strategie per la gestione dei malati cronici. Alessio Terzi, segretario Cittadinanzattiva Piemonte: “L’applicazione del Piano comporta un mutamento dell’organizzazione sanitaria, radicale ma inevitabile, a cominciare dalla costruzione e la messa in rete di cabine di regia nelle aziende”.

02 MAR - "Il Piano Nazionale Cronicità deve essere considerato come un punto di partenza per riformare il servizio sanitario garantendone l’universalità e la sostenibilità. Il documento di programmazione siglato nel settembre 2016, che definisce le strategie per la gestione di un numero consistente di malati cronici, si basa su un sistema fondato sulla medicina di iniziativa e sulla personalizzazione dei trattamenti. Un’impostazione che ribalta inevitabilmente l’attuale organizzazione della sanità e che modifica in modo radicale tutti i modelli professionali, compreso quello dei pazienti, richiedendo, per la sua applicazione, tempi lunghi e il superamento di numerose criticità. Quali sono nello specifico e come superarle?".
 
Tali questioni sono state affrontate nel corso della quinta Conferenza annuale “Sanità e comunità locali”, dal titolo "Dagli atti ai fatti", che si è tenuta oggi nella sede di Federfarma a Torino e che vengono sintetizzate in una nota di Cittadinanzattiva Piemonte.
 
L’applicazione del Piano comporta un mutamento dell’organizzazione sanitaria, radicale ma inevitabile. Per scongiurare la fine del sistema sanitario universale dovrà necessariamente confrontarsi con molte le criticità”, dichiara Alessio Terzi, segretario di Cittadinanzattiva Piemonte. “La costruzione e la messa in rete di cabine di regìa nelle aziende e nell’assessorato regionale può contribuire efficacemente alla guida delle trasformazioni, se sostenute da un adeguato impegno delle direzioni aziendali ma anche dalla capacità di raccogliere e integrare tutti i punti di vista interessati, a partire da quello dei cittadini. A tale proposito, la positiva sperimentazione delle Comunità di pratica, realizzata nel 2018 nelle Asl di Torino città, Torino3, Cuneo 1 e VCO ha dato indicazioni importanti che non devono essere abbandonate”.
 
Le criticità
"Sono molti gli ostacoli da superare per permettere l’applicazione del Piano Nazionale Cronicità e alcuni di questi possono persino comprometterne l’avvio, come:
-La gestione della privacy e del consenso informato;
- l’integrazione dei sistemi informatici;
- le modalità di presa in carico;
- il rapporto con le comunità locali".

La privacy e il consenso informato
"Il Piano Nazionale Cronicità prevede che un numero consistente di malati cronici gravi vengano assistiti seguendo un piano di cura personalizzato, attraverso i Piani di assistenza individuale (PAI). La prima fase del processo di gestione delle persone con malattie croniche riguarda l’identificazione delle popolazioni target e la registrazione e condivisione efficace e tempestiva delle informazioni necessarie per la gestione del percorso di cura fra gli operatori coinvolti, tenendo conto delle normative vigenti in materia di privacy. Più precisamente si dovrebbe realizzare un processo che prevede:
- la stratificazione della popolazione sulla base dei dati sanitari già a disposizione della Regione con la selezione dei pazienti fragili e a rischio;
- la trasmissione degli esiti della stratificazione alla Regione e alle aziende;
- l’inoltro da parte delle aziende degli elenchi risultanti ai rispettivi medici curanti;
- la convocazione dei pazienti individuati da parte dei rispettivi medici curanti, in quanto mancherebbe il preventivo consenso al trattamento dei dati da parte dei pazienti.

Se si accetta una interpretazione restrittiva delle norme sulla privacy, la stratificazione sarebbe possibile solo in forma anonima e dunque inutile: se i medici non sanno chi convocare come possono chiedere agli interessati il consenso? E se le aziende e l’assessorato non possono accedere a questi dati come possono tenere sotto controllo l’effettiva attuazione del Piano?
 
E ancora, lo scambio rapido di informazioni fra professionisti necessario per l’attuazione dei Piani di assistenza individuale potrebbe, per assurdo, essere ostacolato dalla richiesta dell’esplicito consenso del paziente interessato, per cui ogni passaggio di informazioni dovrebbe essere condizionato con conseguenze imprevedibili, in particolare nel caso di soggetti fragili. Del resto, già oggi, il Tribunale per i diritti del malato constata un numero, minoritario ma non irrilevante, di situazioni in cui le norme sulla privacy sono utilizzate per eludere assunzioni di responsabilità".
 
Se le norme sulla privacy diventano meri adempimenti, soggetti all’interpretazione soggettiva dei singoli funzionari e professionisti, il piano delle cronicità potrebbe restare solo sulla carta”, avverte Terzi. “È necessaria un’inversione di tendenza che interpreti il consenso al trattamento dei dati e il consenso informato come strumenti che danno forza e sostanza all’adesione dei pazienti ai percorsi personalizzati e, insieme, responsabilizzino i professionisti e l’organizzazione, proprio come richiesto dal Piano Nazionale Cronicità”.
 
“Bisogna evitare che si riproduca la classica situazione a ‘macchia di leopardo’ in cui convivono, fianco a fianco, situazioni virtuose e ‘buchi neri. Occorre pensare ad una soluzione, concordata con il Garante della Privacy, fondata sulla possibilità di dare vita a veri e propri documenti di ‘condivisione informata’, che precisino e legittimino le modalità della presa in carico e di attuazione dei percorsi di cura”, prosegue.
 
L’integrazione dei sistemi informatici
"È necessaria un’integrazione dei sistemi informatici, che risulta tuttora arretrata. L’attuazione dei piani di assistenza individuali presuppone infatti un’integrazione fra strutture, servizi e professionisti che dev’essere sostenuta da supporti adeguati; se ciò non avviene, si rischia che i pazienti continuino ad essere i 'postini' e i gestori delle prenotazioni".
 
Le modalità di presa in carico
"Attualmente non si dispone di una stima precisa della quantità di assistiti che dovrebbero accedere al Piano di assistenza individuale. In diverse occasioni abbiamo sentito parlare di percentuali che variano dal 2% al 20%. Applicando queste percentuali al Piemonte si avrebbero, in alternativa, 80.000 o 800.000 PAI. È del tutto evidente che le modalità della presa in carico non possono essere le stesse e che, in ogni caso, sarà necessaria una forte responsabilizzazione di tutti i professionisti interessati. È necessario anche il superamento degli attuali limiti di attivazione dell’ADI (Assistenza Domiciliare Integrata), che escludono di fatto la prestazione per molte patologie croniche invalidanti - ponendo di fatto a carico della famiglia il costo della assistenza infermieristica e riabilitativa - impedendo il controllo dell’aderenza terapeutica e la prevenzione del peggioramento della disabilità".
 
Il rapporto con le comunità locali
"L’assistenza ai soggetti fragili, nelle aree fragili, richiede - come proposto dalla legge 328/00 - un’effettiva collaborazione fra servizi sanitari, servizi sociali e cittadinanza attiva. I distretti, a questo proposito, dovrebbero assumere un forte ruolo promozionale e attrezzarsi per garantire una interlocuzione permanente con i comuni e le associazioni locali, anche di patologia, per progettare soluzioni, mobilitare risorse e verificare lo stato dei diritti. In assenza di un’adeguata integrazione, i PAI potrebbero rimanere inattuati. È quanto rischia di avvenire, per esempio, con il contingentamento dei buoni taxi e con la riduzione dei contributi alle associazioni che garantiscono il trasporto dei malati fragili".
 
Chi deve definire i PAI? Chi li deve legittimare? Chi è il responsabile della loro effettiva attuazione? Le esperienze della Lombardia, dell’Emilia Romagna e della Toscana dimostrano che questa è un’area inesplorata di non facile soluzione, soprattutto in assenza di un sostanziale e continuo confronto con le associazioni dei malati”, conclude Terzi. “Siamo convinti che queste questioni debbano essere affrontate con il contributo di tutte le risorse professionali disponibili, vale a dire i medici di medicina generale, i clinici, gli infermieri e i farmacisti”.
 
Le malattie croniche: i numeri
"Le malattie croniche sono quelle patologie caratterizzate da un lento e progressivo declino delle normali funzioni fisiologiche, che richiedono un trattamento continuo volto al miglioramento del quadro clinico e dello stato funzionale, alla prevenzione della disabilità e al miglioramento della qualità della vita. Tali interventi richiedono un periodo di tempo che si estende da anni a decenni e che presuppone un grande impegno di risorse umane, gestionali ed economiche per gestirne l’impatto in termini di costi diretti e indiretti.
 
Le malattie croniche in Europa colpiscono l’80% delle persone oltre i 65 anni e spesso si manifestano contemporaneamente nello stesso individuo; in Italia sono circa 24 milioni gli individui affetti da una o più malattie croniche. Si stima che il 70-80% delle risorse sanitarie a livello mondiale sia speso per gestire tali patologie e dalla recenti proiezioni epidemiologiche emerge che nel 2020 rappresenteranno l’80% di tutte le malattie nel mondo.
 
Il paziente cronico è spesso affetto contestualmente da più patologie, cosa che richiede l’intervento di diverse figure professionali e che comporta il rischio che i singoli professionisti intervengano in modo frammentario. Le sue esigenze assistenziali sono determinate non solo dalle condizioni cliniche, ma anche da altri determinanti, come lo status socio-economico e ambientale e l’accessibilità alle cure. Per tale ragione, al fine di assicurare ai malati cronici cure efficaci occorre modificare in modo radicale l’organizzazione dei servizi sanitari e sociosanitari".
 
Partner e sostenitori
La conferenza è organizzata in collaborazione con la Scuola di Igiene e Medicina preventiva dell’Università di Torino e gode del patrocinio di Regione Piemonte, ANCI Piemonte, Federsanità Piemonte e Federfarma Piemonte. All’iniziativa aderiscono Action Aid - ANMAR, ANAP, Auser-CAPED; la Confederazione italiana agricoltori (CIA), la Confederazione italiana promozione salute educazione sanitaria (CIPES). 

02 marzo 2019
© Riproduzione riservata

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