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Fine vita. Dalla Consulta un “anno sabbatico” che non fa ben sperare

26 OTT - Gentile Direttore,
sono due le notizie riprese in questi giorni da Quotidiano sanità che mi inquietano e mi imbarazzano. La prima attiene la decisione della Corte costituzionale di non pronunciarsi sulla questione di costituzionalità dell’art. 580 della legge penale (Istigazione o aiuto al suicidio); la seconda riguarda il commento che su questa decisione è stato fatto dal Ministro della salute, On. Giulia Grillo, ed il suo annuncio che la legge sul consenso informato e sulle disposizioni anticipate di trattamento sarà finalmente operativa con l’istituzione di quel registro (rectius, banca dati) delle DAT che doveva essere resa operativa entro il 22 giugno u.s. come previsto dall’ultima legge di stabilità.
 
Per come comunicate, queste due notizie sembrano avere minime interconnessioni nonostante esistano intrecci ed intersezioni che meritano una pacata e serena riflessione.
 
Muovo da una premessa di carattere generale: nonostante quanto pensi il nostro Ministro, non sarà certo una banca dati a rinnovare le coscienze civili delle persone e dei professionisti, a colmare i vuoti legislativi ed a dare piena applicazione alla norma approvata quando eravamo oramai giunti nella zona Cesarini dell’ultima legislatura con il meccanismo, democraticamente poco simpatico, del canguro.  E non sarà certo l’attendismo ponziopilatesco della Consulta a colmare quei vuoti costituzionali che pur ci sono visto e considerato che il nostro Paese ha impiegato oltre 40 anni ad approvare una norma annunciata come legge sul biotestamente che, invero, è una norma che disciplina il consenso informato; con vuoti, salti, errori e distrazioni che ho ripetutamente segnalato nei dibattiti scientifici e che non possono certo ricadere sulle sole spalle dei medici ai quali, secondo qualcuno, spetterebbe oggi l’arduo onere di dare ad esse un’interpretazione costituzionale.
 
Ciò che è pero certo è che si è persa un’altra buona occasione perché la Corte costituzionale era stata attivata  dalla Corte d’Assise di Milano per valutare non già la costituzionalità dell’istigazione/aiuto al suicidio ma quella parte della legge penale che punisce la sua agevolazione senza però influenzare la volontà dell’altra persona tanto più  con la pena della reclusione da 5 a 10 anni, prevista dall’art. 580 c.p., senza distinzione tra le condotte di istigazione e quelle di aiuto, nonostante le prime siano certamente più incisive anche solo sotto il profilo causale, rispetto a quelle di chi abbia semplicemente contribuito al realizzarsi dell’altrui autonoma scelta e nonostante del tutto diversa risulti, nei due casi, la volontà e la personalità del partecipe.
 
La questione di costituzionalità era, quindi, ben posta e –almeno al momento- non si comprendono appieno le ragioni dell’astensione della Consulta che, con una decisione quanto mai inedita, è venuta meno ad un suo preciso dovere costituzionale; a nulla rilevando l’invito rivolto al legislatore, attraverso un breve comunicato stampa, “ad intervenire con un’appropriata disciplina” del fine-vita. Segno indiscreto che anche i supremi Giudici si oppongono all’idea che la legge approvata il 22 dicembre 2017 sia una legge sul fine vita ma che non ha però voluto cogliere le sue pecche, i ritardi nella costituzione di quella banca dati che permetterà alle volontà anticipate di circolare in rete speriamo nel rispetto della nostra riservatezza ed i molti vincoli (culturali ed istituzionali) che ingessano oggi la relazione di cura all’interno dei sistemi performanti della sanità pubblica italiana e dei meccanismi premiali sui quali essa si consolida.
 
Non sono convinto che quest’anno di (forzato) silenzio sabatico della Consulta porterà risultati incoraggianti. Non solo perché lo scenario politico mi sembra proteso verso lidi diversi rispetto a quelli auspicati dalla Consulta ma anche perché non vedo, nemmeno tra le Società scientifiche, iniziative finalizzate a consolidare la care promuovendo le grandissime opportunità della pianificazione condivisa della cura e l’impegno che essa pretende non solo nel  rispetto finale della volontà espressa dalla persona senza appellarci al ridicolo orpello dell’obiezione o della clausola di coscienza. Se non siamo pronti a ciò  come possiamo iniziare un dibattito che prima o poi dovrà affrontare anche il tema del suicidio assistito e dell’eutanasia? E come possiamo farlo senza appellarci a stigmi ideologici che non hanno nulla  a che vedere con la dignità della persona umana?
 
Sono quesiti a cui non so rispondere anche se, cogliendo del bicchiere mezzo pieno la sola parte vuota, non credo che il livello del nostro vivere comune abbia raggiunto quel grado di maturità per affrontare seriamente e serenamente  questioni così dure che lacerano le nostre coscienze. Non siamo ancora pronti, non lo sono nemmeno i professionisti della salute e non lo sono soprattutto le nostre organizzazioni sanitarie perché vorrei chiedere al Signor Ministro quante sono state al momento le ASL che hanno onorato il mandato formativo che la legge approvata nel dicembre del 2017 pur affidava loro.
 
Poche, davvero troppo poche … perché, come conferma la mia esperienza locale, questi temi non sono di alcun interesse per i management aziendali. Lo affermo con grande amarezza e con rinnovata delusione, nella piena consapevolezza che i silenzi e gli annunci non servono a nulla se non ad intorbidire ulteriormente le acque di un dibattito pubblico rado e molto spesso confuso.
 
Fabio Cembrani
Direttore UO Medicina legale
Azienda provinciale servizi sanitari di Trento

26 ottobre 2018
© Riproduzione riservata

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