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“Dottore, ma è sicuro che io campo fino a novembre del 2020?” 

di Antonio Chiodo

12 SET - Gentile Direttore,
ritengo sia mio dovere civico e persino istituzionale, nella mia qualità di medico del SSN ovvero di pubblico ufficiale ( art. 357 C.P. con sentenza n. 35836 del 22.02.2007 Ud [dep. 01.10.2007] della Cassazione Sezione Penale 6°) intervenire presso di Lei non già per denunciare un malcostume, ma per sollecitare, gli aventi specifica responsabilità, ad intervenire per porre rimedio a fenomeni di opinabile civiltà assistenziale.

La prenotazione di un esame diagnostico avviene per il tramite di un operatore del CUP secondo tempi e modi stabiliti dalla legge ovvero in base ai cosiddetti codici di priorità sulla cui applicazione esiste una “letteratura” organizzativa e soggettiva che oramai pare sia gerarchicamente superiore alla disposizioni normative. E così accade che il medico prescrittore, nella fattispecie quello delle Cure Primarie, debba spogliarsi del camice bianco perindossare la “toga nera” per difendere i diritti dei propri assistiti a fronte di una frase del genere: “… dottore, ma è sicuro che io campo fino a novembre del 2020?”.

Dai documenti allegati a fondo pagina Ella, gentile Direttore, noterà che in Puglia, per alcuni esami diagnostici, peraltro richiesti in regime di lettera “P” che prevede un periodo di attesa di massimo 180 giorni (dal 1 gennaio 2020 saranno 120 gg) alcuni miei assistiti (e non solo miei) devono attendere 435 giorni accompagnati dall legittimo e sdrammatizzante interrogativo: ma ce la farò a vivere per altri 435 giorni per avere notizie sulla mia condizione di salute? Eppure, proprio per prevenire lungaggini burocratiche, il medico (lo scrivente) aveva programmato una verifica clinica a distanza di massimo 6 mesi dalla data della prescrizione. Ma mai avrei immaginato che in sanità si potesse ipotecare fino a tal punto la salute ovvero l’esistenza in vita della popolazione.

E’ semplicemente immorale. A questo punto non mi interessa se è illegale ( e lo è!), ma è immorale !

A mio avviso lo sono i tempi di attesa in sé stessi perché nessun medico si “diverte” a prescrivere esami diagnostici senza necessità. E se ci sono inappropriatezze, si prendano provvedimenti singoli, ma non si scateni lo sconforto di chi non ha favorevoli speranze di benessere.
C’è del’altro accaduto, nella giornata odierna, ad un paziente neoplastico in costante sorveglianza clinica.

Al CUP gli hanno detto che i tempi di attesa cambiano a seconda del tipo di ricetta. Su quella digitale si anticipa, su quella “rossa” si ritarda.
Oramai la letteratura “cuppina” ( in dialetto salentino “cuppino” ha un significato metaforico) è tale e tanta da richiedere interventi drastici e risolutivi come quelli che desidero invocare in questa sede. Ma non si ricorra al medico proscrittore come panacea di tutti i problemi della sanità perché la sua giornata lavorativa non è di 24 ore e neanche di 12!. Si utilizzino, piuttosto, i servizi telematici, innanzitutto come strumento di trasparenza e poi come fonte di servizio.

Ogni dichiarazione degli addetti al CUP deve essere resa all’utenza in modo formale (RISCONTRABILE) soprattutto per ridurre al minimo la presunta autorevolezza decisionale di chi è dietro uno sportello dettando o applicando regole non scritte.

Se poi quei 435 giorni scaturiscono da carenza di personale medico o da disorganizzazione aziendale o da altro, si rifletta mille volte prima di sopprimere strutture assistenziali pubbliche con la formula della razionalizzazione della spesa sanitaria che pare debba essere razionale solo in decremento, giammai in crescendo.

Dott. Antonio Chiodo
Medico Chirurgo ASL Lecce

12 settembre 2019
© Riproduzione riservata

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