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Parlano Vilma Varvo e Antonio Silvestri, coordinatrice e responsabile risk manager e qualità del Gruppo di lavoro del Ptda sul fine vita

di L.C.

26 MAR - Vilma Varvo è la coordinatrice, nonché unica psicologa, del Gruppo del San Camillo-Forlanini di Roma che ha elaborato il Pdta sul Fine vita approvato con delibera del Dg nel dicembre 2018. Quando le chiediamo cosa ha spinto l’Azienda a intraprendere questo cammino, ci risponde che “morire con dignità significa essere coerente con il proprio progetto di vita, e non è detto che il progetto di vita sia condiviso dagli operatori che ci hanno in cura. Il Ptda serve a raggiungere questa condivisione, che non significa necessariamente essere d’accordo, ma significa intraprendere un percorso che permetta di rispettare il progetto di vita e di morte del paziente”.

Varvo afferma che al San Camillo già da tempo si stava sviluppando una sensibilità progressiva da parte degli operatori nei confronti delle cure nel fine vita. A dimostrarlo il fatto che dal 2011 al 2017 sono stati promossi numerosi corsi formativi sui temi di bioetica e fine vita, a cui hanno partecipato circa 400 tra medici, infermieri e ostetriche. Questo perché “i cittadini sempre più spesso ci interrogavano su questi aspetti. Manifestavano la voglia di autodeterminarsi, ma anche le loro perplessità e difficoltà a farlo, perché quella del fine vita resta ancora oggi una materia sensibile e forse lo sarà sempre”.
 
Di fronte alle incertezze e alle domande dei cittadini, spiega Varvo, “la classe medica aveva bisogno di saper dare risposte”. In questo contesto si è poi andata ad inserire la legge sul fine vita approvata a dicembre 2017 e in vigore da gennaio 2018, che se da una parte offriva un quadro di riferimento in materia, dall’altro rendeva sempre più urgente la necessità delle aziende ospedaliere di saper dare applicazione alle disposizioni. Ed è quello che il San Camillo Forlanini ha cercato di fare con il Pdta.

Varvo evidenzia anche come si verifichino casi di famigliari che hanno ben chiare quali sono le volontà del loro caro in fase terminale. “Lo sanno perché se ne è parlato in casa. Questo aiuta a ricostruire le volontà del paziente. Averne parlato può davvero fare la differenza, sia nelle scelte più difficili che per l’avvio delle cure palliative. Purtroppo, però, la morte resta in molte occasioni ancora un tabù. Questo non solo mette le famiglie in crisi al momento di prendere decisioni, ma rischia anche di penalizzare il paziente facendolo accedere alle cure palliative con grande ritardo. Non si dovrebbe arrivare impreparati di fronte a certe scelte da compiere”, afferma la coordinatrice del gruppo sul Pdta nel Fine Vita.

Il Pdta cerca di fare la differenza puntando sul rapporto che i pazienti e i famigliari instaurano con l’équipe del reparto incaricata di gestire il Ptda sul fine vita. “Non solo le informazioni si danno informazioni costantemente, ma anche in anticipo rispetto al previsto peggioramento della salute del paziente. In questo modo si dà al malato e ai famigliari il tempo utile per riflettere e per accettare quello che sta per accadere. È un aspetto molto importante perché, come si afferma nella stessa legge sul fine vita, il tempo dedicato al dialogo è tempo di cura”.

Nel Pdta non è stato ancora esplorata la questione inerente i pazienti minorenni, “ma riteniamo il lavoro fatto sugli adulti sia una base importante da cui partire. Abbiamo cercato di lavorare guardando al futuro e ai prossimi passi che presumibilmente saranno compiuti su queste tematiche”.

Un ruolo fondamentale, nell’elaborazione del Pdta ma anche nella sua applicazione, lo avrà anche il responsabile del risk management e della qualità, come spiega Antonio Silvestri. “Il ruolo del risk manager e della qualità è soprattutto un ruolo di ‘facilitatore’ tra le diverse professionalità. Se è vero che ruoli e professionalità sono state chiaramente codificate nel Pdta, è anche vero che ora tutto questo dovrà essere fatto convergere nella pratica. Il punto strategico di questo percorso è lo snodo tra la parte clinica e la parte sociologica, etica e psicologica”, afferma Silvestri.

Uno dei punti strategici del ruolo e delle competenze del risk manager e della qualità, peraltro, sarà riferito alla “tenuta in sicurezza e alla qualità della documentazione clinica, dei consensi informati e delle Dat”.

Intanto, partirà un grande lavoro di formazione al San Camillo per fornire il giusto sapere a tutti i professionisti che andranno a comporre le équipe sul fine vita nei diversi reparti. “Non saranno formate solo le singole persone, formare le équipe”, precisa Varvo.
 
L.C.

26 marzo 2019
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