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La salute degli italiani. Si vive di più, ma dilaga la depressione


23 APR - Ecco una sintesi dello stato di salute degli italiani fotografato dalla IX edizione del Rapporto Osservasalute 2011 del Policlinico Gemelli.
 
Continua la crescita della popolazione, ma non grazie alle nascite - I risultati del Rapporto danno conferma delle tendenze emerse negli anni scorsi: si riscontra un tendenziale aumento della popolazione residente in Italia rispetto al biennio 2008-2009 imputabile, sostanzialmente, alla componente migratoria. Le regioni che non crescono sono solamente Basilicata (-2,6‰) e Molise (-1,6‰); il saldo naturale medio del biennio 2009-2010 si è mantenuto pressoché costante rispetto al biennio precedente e si attesta su livelli ancora di segno negativo anche se, per alcune regioni, è prossimo allo 0; invece il saldo migratorio è positivo grazie, soprattutto, alla capacità attrattiva delle regioni del Centro-Nord.
Anche il movimento migratorio interno al Paese ha confermato i trend già evidenziati negli anni precedenti, ovvero il movimento in uscita dalle regioni meridionali (ad esclusione dell’Abruzzo). Le regioni più “abbandonate” dai propri cittadini e meno attrattive nei confronti di quelli di altre regioni sono Basilicata e Calabria che hanno il saldo migratorio negativo più elevato in Italia (rispettivamente, -3,5‰ e -2,9‰).

La fecondità è in stallo – Scompare quella sia pur flebile speranza di crescita riscontrata nelle precedenti edizioni del Rapporto: il tasso di fecondità totale (Tft) è passato, infatti, da 1,42 del 2008 a 1,41 del 2009 e le prime stime sul 2010 sembrano confermare questo trend. Si arresta quindi il sia pur minimo processo di ripresa dei livelli di fecondità che era iniziato a partire dal 1995 quando il Tft raggiunse il suo valore minimo di 1,2 figli per donna.
Anche nel 2009, quindi, il Tft è inferiore al livello di sostituzione (ossia quello, circa 2,1 figli per donna, che garantirebbe il ricambio generazionale).
Si confermano i primati positivi della precedente edizione: nel 2009 i valori del Tft più elevati si registrano nelle due Province Autonome, Trento (1,58), Bolzano (1,55) e in Valle d’Aosta (1,62); tutte al Sud le regioni con Tft particolarmente bassi: come per il 2008 sono Sardegna (1,13) e Molise (1,11); si aggiunge nel 2009 la Basilicata (1,18).
La fecondità delle straniere (2,23) è quasi doppia rispetto a quella delle italiane (1,31).

Italia sempre più vecchia e il futuro non promette inversioni di rotta – Anche il Rapporto 2011 mostra la tendenza incessante all’invecchiamento della popolazione italiana, la quota dei giovani sul totale della popolazione è, difatti, contenuta, mentre il peso della popolazione “anziana” (65-74 anni) e “molto anziana” (75 anni e oltre) è consistente.
Nel 2010 la popolazione in età 65-74 anni rappresenta il 10,3% del totale, e quella dai 75 anni in su il 10%. Si confermano regione più vecchia la Liguria (gli anziani di 65-74 anni sono il 13% della popolazione; gli over-75 il 13,9%), regione più giovane la Campania (65-74 anni sono l’8,3% della popolazione; over-75 il 7,6%).
È facilmente prevedibile che si assisterà a un ulteriore aumento del peso della popolazione anziana dovuto allo “slittamento verso l’alto” (ossia all’invecchiamento) degli individui che oggi si trovano nelle classi di età centrali, le più “affollate”. Al tempo stesso, si può supporre che nel futuro prossimo non si registrerà un numero di nascite e/o flussi migratori imponenti tali da contrastare il rapido processo di invecchiamento che si sta delineando visto che le nuove generazioni (che dovrebbero dar luogo a tali nascite) sono numericamente esigue.

Sempre più anziani soli: a livello nazionale oltre un anziano su quattro (28,3% della popolazione con 65 anni ed oltre nel 2009) vive solo, dato in aumento dal 2008 (27,8%). È in Liguria che tale percentuale raggiunge il suo valore massimo (34,1%). Il valore più contenuto si registra nelle Marche (22,9%), seguono Toscana (23,8%), Abruzzo (25,0%), Veneto (25,2%).
Solo il 15,1% (nel 2008 tale dato era pari a 14,5%) degli uomini di 65 anni ed oltre vive solo, mentre tale percentuale è decisamente più elevata, pari al 38% (37,5% nel 2008) per le femmine. Sia la differenza di età fra i coniugi, sia la maggiore mortalità maschile rende le donne più a rischio di sperimentare l’evento vedovanza e, quindi, di vivere sole nell’ultima parte della propria vita.

Migliora la speranza di vita – Al 2010 la speranza di vita alla nascita è risultata pari a 84,4 anni per le donne, 79,2 anni per gli uomini.
I dati indicano, per entrambi i generi, una ripresa della crescita della speranza di vita che sembrava essersi arrestata nei 2-3 anni precedenti. Complessivamente, dal 2006 gli uomini hanno guadagnato 0,8 anni, le donne 0,4 anni.
Si continua a erodere il vantaggio delle donne rispetto agli uomini: nel 2006 il vantaggio femminile alla nascita era di 5,6 anni, si riduce a 5,2 anni nel 2010 continuando una tendenza che si è instaurata dal 1979, quando il vantaggio di sopravvivenza delle donne raggiunse il suo massimo, 6,8 anni in più rispetto agli uomini.
Nelle Marche gli uomini vivono più a lungo (80,1 anni), mentre per le donne è la PA di Bolzano (85,5 anni) quella con la sopravvivenza media maggiore. La Campania è, invece, la regione con la speranza di vita alla nascita minore tanto per gli uomini (77,7) quanto per le donne (83). Si conferma, quindi, almeno agli estremi della graduatoria regionale, la situazione già evidenziata negli anni precedenti.

Meno morti, soprattutto tra i maschi – I dati del 2008 mostrano negli uomini un calo generalizzato della mortalità complessiva rispetto al 2007 (da 111,85 per 10.000 del 2007 a 110,92 per 10.000 del 2008), mentre per le donne il tasso risulta sostanzialmente costante (da 69,44 per 10.000 nel 2007 a 69,46 per 10.000 nel 2008).
Per le fasce di età più giovani si è verificata una sensibile diminuzione della mortalità dovuta al calo di tutte le principali cause di morte; nella fascia di popolazione più anziana si evidenzia, invece, un leggero aumento dei rischi di morte, pur in presenza di un’ulteriore contrazione della mortalità per malattie del sistema circolatorio e, per gli uomini, dei tumori e delle malattie dell’apparato respiratorio.
Andando più nel dettaglio si vede che una contrazione di mortalità ha caratterizzato le età fino a 64 anni ed è il risultato della riduzione di tutte le principali cause di morte. Per entrambi i generi, ma con un’intensità generalmente maggiore per gli uomini rispetto alle donne, nel triennio 2006-2008 è continuata la riduzione dei rischi di morte per le malattie del sistema circolatorio, dei tumori, delle malattie del sistema respiratorio e dell’apparato digerente. La mortalità femminile per tumori diminuisce dell’1,2%, quella maschile del 6,4% tra i 19-64 anni; tra i 65-74 anni solo dello 0,3% a fronte del 3,7% degli uomini.
La mortalità per malattie del sistema circolatorio si è ridotta per lei del 10,3% in 3 anni, contro una riduzione del 7,8% per gli uomini.


NESSUN MIGLIORAMENTO SU STILI DI VITA PERICOLOSI PER LA SALUTE

Italia sempre più grassa – Continua a crescere, anche se di poco, la percentuale di italiani che ha problemi con la bilancia: nel 2010, oltre un terzo della popolazione adulta (35,6%) è in sovrappeso, mentre una persona su dieci è obesa (10,3%); complessivamente, il 45,9% dei soggetti di età ≥18 anni è in eccesso ponderale (era il 45,4% nel 2009).
Confermato il gradiente Nord-Sud: le regioni meridionali presentano più persone in sovrappeso (Molise 41,8%, Basilicata 41%) ed obese (Basilicata 12,7%, Puglia 12,3%) rispetto alle regioni settentrionali (sovrappeso: PA di Trento 30,9% e Lombardia 31,4%; obese: PA di Trento e Liguria 7,8%).
Confrontando i dati con quelli dell’anno precedente si osserva in diverse regioni, sia al Nord che al Sud, una tendenza all’aumento delle persone in sovrappeso, soprattutto in Valle d’Aosta (31,7% vs 35,2%), in Sardegna (32,3% vs 35,7%) e in Friuli Venezia Giulia (34,5% vs 38%).
Anche l’età pesa sulla bilancia - La percentuale di popolazione in condizione di eccesso ponderale cresce all’aumentare dell’età: il sovrappeso passa dal 15,7% della fascia di età 18-24 anni a oltre il 45% tra 65-74 anni, mentre l’obesità dal 3% al 16,2%. Nelle persone di 75 anni ed oltre il valore diminuisce lievemente (sovrappeso: 43,2% ed obesità: 13,8%).
Uomini peggio delle donne - Risulta in sovrappeso il 44,3% degli uomini rispetto al 27,6% delle donne ed obeso l’11,1% degli uomini ed il 9,6% delle donne.
In Italia, nel periodo 2001-2010, è aumentata sia la percentuale di coloro che sono in sovrappeso (33,9% vs 35,6%) sia quella degli obesi (8,5% vs 10,3%).

Il sovrappeso porta in ospedale - L’analisi delle Schede di Dimissione Ospedaliera 2001-2009 evidenzia che circa 40.000 ricoveri sono attribuiti ogni anno all’obesità e ai disturbi da iperalimentazione come diagnosi principale, inoltre se ne registrano altri 110 mila nei quali l’obesità è indicata fra le diagnosi secondarie, ovvero condizioni che coesistono al momento del ricovero e che influenzano il trattamento ricevuto e/o la durata della degenza.
La silhouette dei bambini - Particolarmente preoccupanti i dati sui bambini in sovrappeso o obesi: la prevalenza è pari, rispettivamente, al 23% e all’11% dei piccoli da 6 a 17 anni, con valori più alti nelle regioni del Centro e del Sud del Paese.

Anche quest’anno lieve aumento degli sportivi, ma l’italia resta sedentaria – Continua il trend in lieve crescita degli sportivi, già visto nella precedente edizione del Rapporto: nel 2010 il 22,8% della popolazione italiana con età ≥3 anni pratica con continuità, nel tempo libero, uno o più sport (nel 2009 era il 21,5%, nel 2008 il 21,6%). Il trend in aumento è continuo dal 2001 quando gli sportivi erano appena il 19,1% della popolazione. Al contempo, la percentuale dei sedentari è diminuita (da 40,3% a 38,3%), soprattutto tra le donne (da 46,1% a 42,8%).
Il 10,2% degli italiani pratica sport in modo saltuario; il 28,2% dichiara di svolgere qualche attività fisica (fare passeggiate per almeno 2 Km, nuotare, andare in bicicletta etc); è sedentario il 38,3% della popolazione.
L’abitudine all’attività fisica non è uguale in tutte le regioni. Esiste un gradiente Nord-Sud con livelli maggiori di pratica sportiva nella PA di Bolzano (38,3%) e in Veneto (29,4%); i valori più bassi spettano a Campania (14,7%) e Sicilia (15,7%).
Al crescere dell’età, nel range 25-74 anni, aumentano le persone che svolgono qualsiasi tipo di attività fisica (37,6%); dopo i 75 anni, invece, sono segnalati in aumento i soggetti sedentari (68,2%), soprattutto tra le donne.

La dieta mediterranea, una tradizione persa anche per colpa della crisi – Forse anche per colpa della crisi, che fa impennare i prezzi di frutta e verdura, in Italia cala il consumo consigliato di frutta e verdura, infatti nel 2009 si registra per la prima volta una flessione della frequenza di coloro che dichiarano di consumare 5 e più porzioni al giorno di “Verdura, Ortaggi e Frutta”.
Per la prima volta dal 2005, si registra un calo seppur limitato del numero di porzioni consumate/giorno (4,8% vs 5,7%, dato che era rimasto grosso modo stabile fino al 2008). A mangiarne di più sono coloro che spesso consumano i pasti a mensa e al ristorante. L’evoluzione dei consumi alimentari ha messo in evidenza il ruolo della mensa come luogo di consumo dei pasti in relazione all’assunzione giornaliera di verdura, ortaggi e frutta.

Alcol – Siamo ben lontani dalla vittoria nella lotta all’alcol. I non consumatori nel 2009 risultano pari al 28,7% della popolazione (29,4% nel 2008), mentre diminuiscono di un punto percentuale gli astemi, cioè coloro che non hanno mai bevuto; gli astemi si riducono tantissimo in Abruzzo (-9 punti percentuali).
La prevalenza dei consumatori a rischio è pari al 25% degli uomini e al 7,3% delle donne, senza differenze significative rispetto alla precedente rilevazione (nel 2008, il 25,4% degli uomini e il 7% delle donne).
La prevalenza di consumatori a rischio 11-18enni raggiunge, nel 2009, il 17,7% dei maschi e l’11,5% delle femmine e non ci sono differenze significative a livello regionale.
Nella fascia di età 19-64 anni, per entrambi i generi, le realtà a maggior rischio risultano essere Piemonte-Valle d’Aosta (M = 24%; F = 8% Totale = 16,0%), Trentino-Alto Adige (M = 30,6%; F = 8,7%; T = 19,7%), Veneto (M = 26,7%; F = 6,7%; T = non statisticamente significativo), Friuli Venezia Giulia (M = 25,8%; F = 6,3%; T = non statisticamente significativo) ed Emilia-Romagna (M = 21,9%; F = 7,7%, T = 14,8%).

Fumo – Nonostante le campagne anti-tabagismo è aumentata la consapevolezza dei rischi del fumo, nel nostro Paese fuma ancora una persona su 4, perlopiù giovani di 25-34 anni. Nel 2010 fuma il 22,8% degli over-14 confermando il trend degli ultimi anni. Non emergono grandi differenze territoriali rispetto al 2009, ma si evidenzia un lieve aumento in Campania (26,1% vs 22,8%) e nel Lazio (26,7% vs 24,6%) e una diminuzione in Emilia-Romagna (22,3% vs 24,6%) e nel Veneto (20,2% vs 22,3%).
Gli uomini smettono più delle donne: nel 2010 fuma il 29,2% uomini, circa 2 punti percentuali in meno rispetto al 2001; invece le donne non smettono di fumare, la percentuale di fumatrici si mantiene invariata (16,9% sia nel 2001 sia nel 2010).
Il vizio è diffuso, soprattutto, tra i soggetti di 25-34 anni (uomini 39,7%; donne 24,4%).
Tra i non fumatori ci sono più donne che uomini (64,7% vs 38,3%), mentre i maschi ex fumatori sono quasi il doppio rispetto alle femmine (30,7% vs 16,7%). La prevalenza degli ex-fumatori è in lenta ma costante crescita: 20,2% nel 2001; 23,4% nel 2010.
Diminuisce il numero di sigarette fumate al dì: il numero medio di sigarette fumate quotidianamente è 12,7, in netta diminuzione rispetto al 2001 dove erano 14,7; il dato aumenta scendendo verso le regioni del Sud.

Malattie cardiovascolari - In Italia, la mortalità per malattie ischemiche del cuore (in primis infarto e angina pectoris) rappresenta ancora la maggiore causa di morte (circa il 13% della mortalità generale ed il 33% del complesso delle malattie del sistema circolatorio), cosi come rappresenta una delle maggiori cause di morte in quasi tutti i Paesi industrializzati.
Nel nostro Paese, la mortalità per le malattie ischemiche del cuore continua a colpire quasi il doppio degli uomini rispetto alle donne; in particolare, nel 2008, si sono registrati 14,75 decessi (per 10.000) fra gli uomini e 8,22 decessi (per 10.000) fra le donne. A livello regionale il primato negativo spetta al Molise per gli uomini (18,43 per 10.000) e alla Campania per le donne (10,54 per 10.000). Da sottolineare, inoltre, il Trentino-Alto Adige, la Campania e il Lazio che, per gli uomini, presentano tassi elevati di mortalità per malattie ischemiche del cuore (superiori a 16,00 per 10.000) e per le donne, invece, sono l’Umbria (10,01 decessi per 10.000) seguita da Lazio, Trentino-Alto Adige, Friuli Venezia Giulia e Molise, che presentano livelli di mortalità superiori a 9,00 decessi (per 10.000). La Puglia per gli uomini, il Piemonte per le donne sono le regioni più virtuose con tassi, rispettivamente, di 12,38 e 6,46 decessi (per 10.000).

Tumori – In Italia circa il 28% dei decessi è dovuto al cancro e, a causa dei processi di invecchiamento della popolazione, un numero crescente e rilevante di individui ha la probabilità di contrarre la malattia nel corso della vita.
Per quanto riguarda la classe di età 0-64 anni, il tumore del colon-retto al Centro-Nord, per gli uomini, il tumore della mammella in tutte le macroaree, per le donne, risultano essere quelli a più elevata incidenza.
Fino a pochi anni prima del 2010, il tumore del polmone era la sede a maggiore incidenza tra gli uomini under-65 anni in tutta Italia e non solo al Sud.
Anche per la classe di età 65-74 anni, il tumore del polmone risulta essere ancora il più frequente tra gli uomini solo al Sud, mentre nel Centro-Nord il tumore più frequente è quello della prostata seguito dal tumore del colon-retto. Nel corso degli ultimi anni in questa classe di età per gli uomini vi è stato, infatti, un forte incremento dell’incidenza per tumore della prostata e del colon-retto contrapposto ad un calo dell’incidenza per il tumore del polmone.
Per le donne tra i 65-74 anni, invece, il tumore della mammella risulta il più frequente, con valori vicino ai 400 nuovi casi (per 100.000) nel Centro-Nord e sui 250 nuovi casi (per 100.000) nel Sud. Nel corso degli ultimi anni la crescita dell’incidenza ha riguardato sia il tumore della mammella che il tumore del colon-retto, in maniera più accentuata per il primo rispetto al secondo.
Considerando la classe di età 0-64 anni il tumore con tasso di mortalità più alto risulta essere il cancro del polmone negli uomini e della mammella nelle donne.
Anche nella classe 65-74 anni il tumore con tasso di mortalità più alto risulta essere il tumore del polmone negli uomini in tutte le macroaree e il tumore della mammella nelle donne meridionali.

Disagi degli italiani spesso sfociano in depressione – Anche a causa dell’attuale congiuntura economica negativa che crea un disagio diffuso, l’uso di antidepressivi in Italia è cresciuto di oltre quattro volte in una decade (il consumo è passato da 8,18 dosi giornaliere per 1000 abitanti nel 2000 a 35,72 nel 2010). Anche quest’anno prosegue, dunque, il trend di aumento del consumo di farmaci antidepressivi, come già visto nel precedente Rapporto. L’aumento dell’utilizzo interessa, indistintamente, tutte le regioni e dura dal primo anno della rilevazione (2000). Si noti però che le regioni del Centro-Nord, in particolare Toscana e Liguria, ma anche la PA di Bolzano, l’Emilia Romagna e l’Umbria, risultano avere consumi nettamente superiori rispetto a quelle del Sud. L’unica eccezione a questo quadro è rappresentata dalla Sardegna, i cui consumi si avvicinano a quelli delle regioni del Nord.
Va sottolineato che l’aumento dell’uso di antidepressivi in Italia è in linea con il trend di consumo europeo ed è almeno in parte spiegabile come effetto della crisi economica che strozza l’Europa, ha spiegato la professoressa Roberta Siliquini, ordinario di Igiene all’Università di Torino.
Oltre al maggior consumo di antidepressivi tout court, si rileva sia in Italia sia negli altri paesi europei una notevole crescita della percentuale di soggetti che hanno ritenuto nell’anno di avere necessità di aiuto psichiatrico e/o psicologico: la richiesta di aiuto è aumentata del 10% negli ultimi 5 anni (studio Eurobarometer), soprattutto tra gli over-40, lavoratori manuali e disoccupati.
Ed è chiaro che se aumentano le consulenze psichiatriche e psicoterapeutiche, cresce di pari passo il consumo di antidepressivi.
Purtroppo ciò deriva anche dalla tendenza, sia da parte dei Medici di Medicina Generale (l’aumentato utilizzo di questa classe di farmaci per le forme depressive più lievi - ansia e attacchi di panico - è spesso appannaggio dei MMG più che degli specialisti), sia da parte degli psichiatri, a prescrivere l’antidepressivo alla prima richiesta del paziente, che sempre più spesso ne fa domanda, erroneamente in cerca di una “cura rapida” al suo disagio.
“Il rischio è di confondere e non approfondire se c’è un vero quadro clinico depressivo o una forma di disagio che può essere gestita con un percorso psicoterapeutico adeguato – ha spiegato la prof Siliquini - così il farmaco rischia di divenire un po’ una panacea per curare un disagio scaturito in realtà da eventi esterni e non da un quadro organico di malattia, eventi legati soprattutto alla situazione socio-economica attuale”. Laddove la diagnosi non sia certa l’uso del farmaco rischia di essere inappropriato e, poiché si tratta comunque di terapie lunghe e complesse, è bene scoraggiarne il più possibile l’uso scorretto.
Aumentano i suicidi – Per quanto l’Italia si collochi tra i Paesi europei a minore rischio di suicidio, ed il tasso di mortalità per suicidio si sia ridotto nel tempo a partire dagli anni ‘80, rispetto al minimo raggiunto nel 2006 (3.607 casi) nell’ultimo anno preso in considerazione in questa edizione del Rapporto si evidenzia una ripresa (3.799 casi).
Il suicidio e un fenomeno connesso alla salute mentale della popolazione ed i tassi di suicidio risultano essere più elevati tra i celibi e le nubili rispetto ai/alle coniugati/e.
Nel biennio 2007-2008, il tasso medio annuo di mortalità per suicidio è pari a 7,26 per 100.000 residenti di 15 anni ed oltre. Nel 77% dei casi, il suicida è un uomo. Il tasso standardizzato di mortalità è pari a 11,27 (per 100.000) per gli uomini e 3,15 (per 100.000) per le donne, con un rapporto uomini/donne pari a 3,6. Vi è una variabilità geografica marcata, con tassi maggiori nelle regioni del Nord anche se con alcune eccezioni.

 

23 aprile 2012
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