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Lazio: protesta Cgil, Cisl e Uil, “Non accettiamo la logica del prendere o lasciare”


Riuniti sotto la sede della Giunta Regionale, la Cgil, Cisl e Uil Lazio manifestano le loro preoccupazione per il Piano di rientro che la presidente Polverini presenterà oggi al Governo e stigmatizzano il rifiuto, da parte della presidente, di confrontarsi con le organizzazioni sindacali sul riordino della sanità regionale.

30 SET - Nonostante le reiterate richieste, la presidente della Regione Lazio ha rifiutato il confronto con i sindacati sui temi della sanità e ha presentato oggi al Governo un Piano di rientro non concordato con le parti sociali. Questa la denuncia della Cgil, Cisl e Uil, che oggi hanno promosso una manifestazione-presidio davanti alla sede della Regione. “Sappia, la presidente, che non siamo disposti ad accettare operazioni esclusivamente di taglio”. Ad affermarlo è Claudio Di Berardino, segretario generale Cgil Roma e Lazio, spiegando che la manifestazione di oggi ha l’obiettivo di ribadire alla Giunta la necessità di aprire un confronto con i sindacati. “I contenuti del Piano che Polverini sta presentando in queste ore al Governo ci è stato tenuto nascosto, ma se dovesse seguire le indicazioni anticipate nei decreti dei mesi scorsi, allora si tratterebbe di un Piano che non serve al Lazio. La nostra Regione – ha continuato Berardini – ha bisogno di riorganizzare e riqualificare la sanità, e noi siamo disposti a collaborare affinché questo avvenga. Non siamo però disposti ad accettare operazioni esclusivamente di taglio".
Cgil, Cisl e Uil chiedono, dunque, che venga aperto un nuovo confronto tra sindacati e Giunta e poi tra Giunta e Governo, tenendo anche conto di elementi come la presenza dei policlinici e i costi di ricerca e università, che sono spese che gravano sul Lazio ma di cui usufruisce il Paese intero. Una questione, quella dei Policlinici, che Polverini ha citato tante volte, “ma che non sembra saranno prese in considerazione nel Piano”, osserva il segretario della Cgil chiedendo alla presidente “di tenere la schiena dritta” e di confrontarsi con il Governo “facendo anche scelte radicali”.

Tommaso Ausili, segretario della Cisl del Lazio, ha quindi illlustrato alcune delle criticità e dei rischi della sanità laziale. “La realtà è già ora critica, ma potrebbe addirittura di peggiorare. Le liste d’attesa segnano tempi inaccettabili in tutte le Asl". Secondo i dati forniti dalla Cisl (vedi allegato a fondo pagina) a Frosinone per una mammografia bilaterale bisogna aspettare 227 giorni, a Civitavecchia 207 giorni. Per una risonanza magnetica l’attesa, a Rieti, è di 160 giorni. A peggiorare la situazione, arriverà “a dicembre la scadenza dei contratti di circa 3 mila operatori precari, medici e paramedici”. In questo contesto, il futuro della sanità laziale è, secondo Ausili, molto buio, perché “manca una programmazione seria e concertata. Un vulnus inaccettabile, quest’ultimo, nella carriera di una presidente che è stata per anni una sindacalista”.
Per il segretario della Cisl “c’è senz’altro un’area di inefficienze su cui si può lavorare. Questo – spiega – può prevedere anche la rimodulazione del ruolo e delle funzione di qualche ospedale, ma solo se contestualmente si costruisce in quella zona una serie di servizi in grado di bilanciare l’assistenza che verrà a mancare con la chiusura degli ospedali”. Occorre quindi lavorare sui distretti, sui medici di famiglia, sull’integrazione socio-sanitaria. “Ma tutto questo va realizzato attraverso la concertazione”.

Anche Luigi Scardaone, segretario della Uil di Roma e del Lazio, lamenta il mancato confronto tra Regione e sindacati: “Siamo completamente ignari di cosa Polverini sia andata a proporre oggi a Fazio, nonostante sia un mese e mezzo che chiediamo un incontro. Avevamo le nostre proposte, ma non ci è stata data alcuna possibilità di presentarle”. Scardaone concorda sulla possibilità di lavorare su punti di inefficienza: “È oggettivo che alcuni ospedali sono parcheggi per anziani e disabili, quindi siamo favorevoli a trasformarli in Rsa e lasciare che il settore pubblico che si inserisca in ambito che fino ad oggi è stato appannaggio dei privati. Ci sono però – aggiunge il sindacalista - 5.000 posti letto mancanti per la lungodegenza che potrebbero essere trovati proprio da quegli ospedali periferici che si intende chiudere”. Scardaone esprime poi la propria contrarietà ai ticket sulla riabilitazione e la fisioterapia che “condannano i pensionati a rimanere sulla sedia a rotelle”, nonché alla divisione in macroaree, “che ampliano l’area di riferimento ma a rischio che, in alcune aree, questo si traduca in una riduzione della qualità del servizio e dell’accessibilità alle cure”.
 
 
L.C.

30 settembre 2010
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