Morrone e il San Camillo. Va bene i corsi per le badanti, ma non è così che si qualifica un grande ospedale
di Roberto Polillo
Pensare che una azienda ospedaliera possa qualificarsi nella formazione delle badanti e nella promozione di rassegne musicali o cinematografiche, non mi sembra una soluzione. Anzi mi sembra una azione inopportuna, fortemente orientata alla autopromozione. Il tutto nella situazione di criticità in cui versa quel nosocomio
13 NOV - La lunga intervista al Prof. Morrone, Direttore generale dell’Azienda Ospedaliera S. Camillo, come ha giustamente sottolineato il Dott. Bruno Schiavo, segretario del sindacato Anaao, non risolve nessuno degli interrogativi che gravano sulla reale funzionalità del più grande ospedale italiano e probabilmente europeo.
Che dire, ad esempio, del posizionamento del San Camillo rispetto ai risultati del lavoro della Fondazione Altems dell’Aprile 2013? Oppure rispetto ai dati non molto incoraggianti del programma esiti dell’Agenas (2013) che denotano un peggioramento netto nella mortalità a 30 giorni per infarto, rischio passato da 8,63 a 11.8 e scompenso cardiaco rischio passato da 10 a 15.6 (estremamente elevato)?
La situazione del DEA, poi, sembrerebbe immodificata, denotando ancora le criticità evidenziate più volte dai media a partire dal febbraio 2012. I risparmi ottenuti con il nuovo contratto sulla manutenzione sono sicuramente un ottimo risultato a condizione però che sia garantita la completa utilizzazione delle strutture e che nessuna venga chiusa proprio per la riduzione degli interventi a garanzia del rispetto delle norme di igiene e sicurezza. Risposte adeguate da parte del DG meriterebbero anche le riduzioni relative all’attività di cardiochirurgia e neurochirurgia evidenziate sempre dal Sindacato Anaao.
Sono certo che il Prof. Morrone potrà ora rispondere adeguatamente a questi interrogativi e illustrare con maggior dettaglio i buoni risultati gestionali da lui tanto decantati. Una questione tuttavia mi preme sollevare, al di là di questi aspetti che potranno essere facilmente chiariti, dati alla mano, e questa riguarda espressamente la
mission che deve avere un grande ospedale.
Ora, riportando una vecchia tabella, da me spesso utilizzata, è assolutamente chiaro come l’assistenza ospedaliera debba essere orientata esclusivamente al trattamento di pazienti in condizioni critiche e necessitanti un
setting di cure ad alta intensività, non ottenibile in altri contesti assistenziali (territorio, case della salute, UCCP).
Sistema Ospedaliero e Sistema delle Cure Primarie:
caratteristiche differenziali |
Sistema Ospedaliero
“Paradigma dell’attesa”
la dimensione verticale |
Primary Care
“Paradigma dell’iniziativa”
la dimensione orizzontale |
Polo della “Intensività tecno-assistenziale |
Luogo della “Estensività socio-assistenziale” |
Orientato alla produzione di prestazioni e alla soluzione dei problemi clinici ( problem solvine) |
Orientato alla gestione di processi assistenziali e alla presa in carico (chronic care model) |
Presidia l’efficienza |
Presidia l’efficacia e i risultati |
Tende all’accentramento per realizzare economie di scala e al superamento del modello dipartimentale con la stratificazione per intensità di cure |
Tende al decentramento per valorizzare il capitale sociale e promuovere azioni di promozione della salute e di prevenzione delle complicanze |
Punta all’eccellenza e alla concentrazione delle conoscenze |
Punta all’equità e alla diffusione e utilizzazione dei diversi saperi e del self –care e family learning |
L’integrazione tra i due sistemi avviene attraverso la costruzione di un rete integrata i cui nodi sono i PUA, le strutture intermedie e di prossimità ( case della salute) e le maglie sono i MMG, PLS e il personale con funzioni di Case manager |
Puntando a questo obiettivo, la degenza media potrebbe sensibilmente ridursi (vedi a tal riguardo l’HMO Kaiser Permanente) e l’adozione della figura dell’
Hospitalist e della
discharge room (già adottata nella regione Toscana) potrebbe contribuire a garantire tale risultato. Certo è difficile immaginare che un DG possa, in mancanza di una seria programmazione regionale che ampli l’offerta estremamente carente di PL in lunga degenza, RSA e strutture intermedie, impedire che i PL vengano impropriamente occupati da degenti che non possono essere dimessi, perché non si trova per loro una collocazione in strutture sanitarie a minore intensività. E quindi di questo non può certo essere incolpato il DG di nessuna azienda della regione, ma tale responsabilità deve essere ascritta alla cattiva programmazione regionale.
Ciò detto, pensare che una azienda ospedaliera possa qualificarsi nella formazione delle badanti, nella promozione di rassegne musicali o cinematografiche o nei programmi di assistenza ai paesi del Nord Africa, non mi sembra una soluzione. Anzi mi sembra una azione inopportuna, fortemente orientata alla autopromozione, specie se all’interno della struttura, permangono delle criticità assistenziali (denunciate dalla stragrande maggioranza dei sindacati) che dovrebbero essere considerate prioritarie dal punto di vista dell’azione gestionale e su cui si dovrebbero concentrare tutti gli sforzi possibili per il miglioramento della qualità.
Roberto Polillo
13 novembre 2013
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