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Patto Salute. Intervista a Coletto (Veneto): “Pronti a chiudere. Ma per la sanità niente tagli con la spending review”

di R.Fonda e T.Bonacci

Dopo l’audizione del ministro Lorenzin all’Affari Sociali, abbiamo sentito l’assessore alla Salute del Veneto e coordinatore degli assessori regionali alla Salute Luca Coletto. “Ulteriori tagli rischiano di produrre un ulteriore gravissimo disagio sociale”

23 GEN - Nuovi costi standard nel 2014, conferma delle prerogative regionali sulla sanità nel titolo V. Più investimenti per rammodernare il sistema e finalmente una grande operazione sui Lea e i Liveas per “immaginare modelli di governance condivisa per privilegiare gli esiti e la deospedalizzazione”.
 
Intervista a tutto campo con Luca Coletto, assessore alla sanità del Veneto e coordinatore degli assessori sanitari delle Regioni, il giorno dopo l’audizione del ministro Lorenzin che si è detta pronta a chiudere il Patto per  la Salute entro San Valentino. E le Regioni? “Siamo pronte anche noi a chiudere – ha detto Coletto – ma il Governo deve mantenere gli impegni sulle risorse e su nuovi investimenti per ammodernare il sistema”.
 
Assessore Coletto, per il 2013 l’accordo sulle regioni benchmark è fatto. Ci conferma che per il 2014 solleciterete il Governo a una modifica delle norme sui costi standard tenendo conto anche di altri indicatori sulla qualità dei servizi? E se sì, quali sono i cambiamenti principali da voi auspicati?
Sono convinto che, pur trovandoci in un momento di forte debolezza della politica, siamo riusciti per la prima volta a mettere ordine su una materia vitale per il paese come la sanità, che per anni e anni di fatto non è stata governata. Non è stato facile, ma oggi posso dire con soddisfazione che al posto di criteri astrusi e fantasiosi ne abbiamo uno certo, definito, uguale per tutti. Dovrà essere la stella polare per la gestione della sanità italiana in forma federalista per molti anni. Il primo passo è stato fatto, ora nel 2014 si dovrà ragionare anche di dotazioni standard, intese come minimo comune denominatore per realizzare ovunque il dettato costituzionale dell’universalità delle cure, senza creare disparità né nei costi né nel trattamento ai cittadini.
 
Superato l’ostacolo costi standard e dopo la conferma della copertura dei 2 miliardi di ticket, cosa manca ora per concludere i lavori del Patto della Salute?
Con questi due risultati raggiunti siamo sulla buona strada. Ora bisogna stabilire una volta per tutte Lea e Liveas per evitare che ci sia un prelievo continuo sul fondo sanitario nazionale. Soprattutto è necessario un percorso chiaro e condiviso in maniera tale da programmare la sanità in modo stabile e su tempi lunghi. Dobbiamo avere certezze sui servizi da erogare, uniformità ed equità dell’assistenza sul territorio nazionale. Le regioni faranno la loro parte ma il Governo si deve prendere l’impegno di mantenere l’erogazione del fondo definendo i livelli e mantenendoli. Quindi, oltre alla deospedalizzazione, Lea, Liveas, ex articolo 20 per garantire manutenzione degli ospedali e adeguamento antisismico e antincendio e mantenimento del fondo sanitario.
 
L’atto d’indirizzo per il rinnovo delle convenzioni, che dovrebbe aprire le porte all’assistenza h24, è in dirittura d’arrivo. Ma per far andare concretamente in porto la riforma dell’assistenza territoriale cosa pensate, in un momento di crisi di risorse, si possa fare in più?
Sono certo che l’assistenza extra ospedaliera sia una delle fasi necessarie per risolvere molti problemi del nostro SSN. Il taglio dei posti letto ospedalieri ci deve spingere a creare un territorio forte e in grado di rispondere alle esigenze sanitarie dei nostri cittadini. E siamo noi che dobbiamo impegnarci per primi a realizzare questo progetto a livello nazionale. In Veneto stiamo concludendo gli accordi  perché questo avvenga. Si è attuata una delle parti più qualificanti del nostro disegno di riorganizzazione della sanità veneta e del nuovo Piano Sociosanitario con la nascita delle Aggregazioni Funzionali Territoriali e le Medicine di Gruppo integrate. Ciò vuol dire che ogni assistito, pur mantenendo il proprio medico di base, troverà l’assistenza necessaria 24 ore su 24, 7 giorni su 7, fornita dalle Medicine di Gruppo. Così portiamo le cure più vicine al cittadino, evitando i disagi legati agli orari degli ambulatori, i relativi accessi impropri ai pronto soccorso, gli alti costi connessi ed il rischio che un paziente in condizione obiettivamente acuta debba attendere prima di essere assistito. E’ una sfida organizzativa molto impegnativa, ma che si può vincere per portare i servizi sanitari di base davvero vicino all’utente.
 
Il Governo ha recentemente varato il Dlgs di recepimento della direttiva Ue sull’assistenza transfrontaliera. Credete che l’Italia riuscirà ad essere un Paese attrattivo o vedremo una fuga di pazienti oltre confine?
Offriamo una delle migliori sanità al mondo, l’attrattività dipende da noi e da come riusciremo a comunicare con i nostri cittadini e con quelli degli altri Paesi. Sappiamo ad esempio che dai Paesi dell’est la migrazione sanitaria guarda soprattutto ad Austria, Germania ed Inghilterra. E’ necessario strutturaci meglio per promuovere la nostra sanità che, soprattutto, nelle alte specializzazioni non è seconda a nessuno, magari anche nei Paesi emergenti, ed oggi più ricchi, nei quali la sanità non è ancora sviluppata. La sfida della mobilità europea dei pazienti  si gioca sulla qualità. Di certo, bisogna fare attenzione  agli aspetti organizzativi, perché le sintonie da trovare a livello europeo sono tante, a cominciare dal sistema di calcolo del rimborso della prestazione dovuta al Paese erogante.
 
Si è tornati a parlare di modifica del titolo V della Costituzione anche per quanto riguarda le competenze in materia di sanità, con l’ottica di rendere più equo e unitario il sistema. Qual è il suo punto di vista?
La sanità è sicuramente uno degli strumenti di democrazia meglio riusciti del nostro Paese, il federalismo ha evidenziato le differenze dei servizi resi dalle diverse Regioni e ne ha messo in crisi alcune, ma credo che questo sia stato un bene perché oggi si può lavorare sul miglioramento progressivo dei servizi nelle Regioni meno efficienti, pur supportandole nel loro percorso. Quindi se da un lato troviamo alcune regioni che stanno ristrutturando il proprio sistema, altre, come il Veneto, stanno onorando gli impegni con i cittadini. Il federalismo ci permette di essere trasparenti: fa una fotografia di chi è dentro o fuori certi parametri e dà gli strumenti per risanare, in un paese penultimo in Europa per finanziamento della sanità pubblica.
 
Il commissario per la Spending review Cottarelli ha previsto interventi anche sulla sanità. Il Ministro Lorenzin ha assicurato che i risparmi che saranno reinvestiti nel sistema e che la Spending in sanità si farà con il Patto per la Salute. Ma la Spending review prevede che le risorse ricavate servono  a coprire il deficit pubblico e per la riduzione delle tasse. Al di là di chi farà cosa, crede che la sanità riesca ad essere ‘esonerata’ e reinvestire i risparmi al proprio interno senza altri tagli?
La sanità deve esserlo per forza. Ulteriori tagli rischiano di produrre un ulteriore gravissimo disagio sociale. Non dimentichiamoci che negli ultimi anni ce ne sono già stati ed il Fondo non è stato reintegrato dell’inflazione. In un periodo di risorse limitate, i conflitti sono inevitabili. La sanità non vuole più pagare i costi delle inefficienze dei servizi dei Comuni, ma i Comuni non hanno risorse sufficienti ad affrontare l’incremento impetuoso delle non autosufficienze. La cosa di cui sono certo è che la nostra spesa procapite è inferiore a quella di altri paesi europei, e che se continuano a tagliare costringeranno tutte le Regioni, comprese quelle virtuose come il Veneto, che da 3 anni ha i conti in attivo, verso il default. Non si possono scaricare sulla povera gente le colpe di anni e anni di allegre gestioni, si rischia di smantellare l’assistenza universalistica che è il fiore all’occhiello di questo paese. E in un momento di crisi economica e sociale come questo sarebbe da irresponsabili.
In questo senso, è ineludibile una profonda discussione sui Liveas sulla base della quale, e nel rispetto delle autonomie regionali, immaginare modelli di governance condivisa per privilegiare gli esiti e la deospedalizzazione.
 
Raffaella Fonda e Teresa Bonacci

23 gennaio 2014
© Riproduzione riservata

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