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Il commento. Nomine Asl. E se la politica avesse ragione?


La Lega lombarda esce allo scoperto: “Ci spettano almeno 18 Dg delle Asl” dice l'assessore alla Sanità del Carroccio Bresciani. La lottizzazione impera, nonostante le promesse dell’ultima campagna elettorale delle regionali. E non è un problema di destra e sinistra. Ma è davvero un bene che la politica si deresponsabilizzi sulle nomine? Esiste forse un'azienda privata la cui proprietà deleghi ad altri la scelta dei propri dirigenti?

14 DIC - Nella scorsa campagna elettorale per il rinnovo di oltre la metà delle giunte regionali c’è stata una gara tra gli aspiranti governatori a chi la sparava più convincente sul tema della trasparenza delle nomine di manager e primari delle Asl.
Se ne è occupato, o meglio ci ha provato, anche il Parlamento con il ddl sul governo clinico, di fatto naufragato proprio per il veto delle Regioni, gelosissime delle loro prerogative in materia di governo della sanità (comprese le nomine).
Naufragato il progetto di legge sono state dimenticate anche quelle vane promesse elettorali con il risultato di una tornata di rinnovi ai vertici delle Asl sotto il segno della lottizzazione. Unica eccezione, almeno sino a questo momento, la Puglia di Vendola, che ha adottato una legge specifica che prevede un percorso di selezione dei candidati affidato ad esterni mantenendo il potere di nomina ma entro i limiti della rosa selezionata.
Torniamo a parlare della questione a seguito del clamore suscitato dalle polemiche tra l’Assessore alla Sanità lombardo, il leghista Luciano Bresciani, e il presidente della Regione Roberto Formigoni.
 
Tutto inizia qualche giorno fa con una frase di Bresciani riportata da Adn Kronos Salute: “La logica nella nomina dei direttori generali di Asl e ospedali è fondamentalmente legata al peso del voto espresso dalla popolazione e le proporzioni saranno pesate sul volume di preferenze ottenute dagli alleati”. Interrogato dal Corriere della Sera Bresciani non smentisce, anzi: “La percentuale dei voti presi dalla Lega alle ultime elezioni si traduce in 18 manager. È un principio su cui non si può trattare”.
Ma “non è lottizzazione. È semplicemente l'unico modo per rispettare il mandato degli elettori”, spiega l’assessore. Che incalza: “Il popolo sceglie da chi vuole essere rappresentato. Una volta definito il numero di direttori generali che ci spettano in base ai risultati elettorali, i consiglieri della Lega mi indicano le loro preferenze, ossia quali Asl e ospedali è meglio avere e in che proporzioni rispetto alle 18 poltrone totali. Il Pdl fa lo stesso con i suoi”.  E il merito, viene da chiedersi? Nessun problema perché, è sempre Bresciani a parlare al Corriere della Sera, “a questo punto viene scelto il manager migliore sulla base degli obiettivi politici che devono essere centrati nel singolo territorio. Ovviamente la nomina cade su uomini di fiducia. La meritocrazia non è in discussione. Vengono scelti solo direttori generali in grado di guidare bene l'ospedale e l'Asl in cui sono stati nominati. Ma, inutile nasconderlo, il loro ruolo è di intermediari tra la tecnica e la politica".
Viva la sincerità! Almeno non si usano giri di parole per confermare che la politica vuole dire la sua sulle nomine, senza troppi lacci e lacciuoli burocratico-selettivi.
 
Del resto è di poche settimane fa la polemica, questa volta dell’opposizione e su un terreno se vogliamo più tradizionale, sulle nomine del Lazio, che hanno sollevato l’ira del Pd locale che ha accusato la Giunta Polverini di scelte lottizzate e prive di qualsiasi attenzione al merito dei prescelti.
Ma non sono solo le regioni di centro destra a guidare la corsa alle nomine Asl, in modo più silenzioso e senza tanti clamori anche le Regioni “rosse” nominano senza alcuna selezione di merito. Magari la scelta va sui migliori possibili, ma resta il fatto che, tranne la Puglia appunto, nessuna Regioni pare interessata a quella trasparenza nelle nomine promessa in campagna elettorale.
Tuttavia sono in molti, e noi tra questi, a chiedersi se la determinazione di nuove modalità di selezione e nomina sia sufficiente a far sì che un manager o un direttore medico siano sempre scelti per merito professionale e non per amicizia o appartenenza a qualche cordata.
 
Il nostro è il Paese del “fatta la legge, trovato l’inganno” e se c’è un ambito nel quale questo detto ha da sempre trovato grande applicazione è proprio quello delle nomine pubbliche, comprese quelle sanitarie. Del resto è anche poco condivisibile la soluzione estrema propugnata da autorevoli commentatori (e anche da qualche politico) e cioè quella di togliere alla politica qualsiasi competenza nelle nomine della sanità.
Ci sono almeno due ragioni per non seguire quest’opzione. Intanto, e parliamo di primari, nonostante già oggi, formalmente, la politica non c’entri nulla con le loro nomine si sa (o almeno è quanto si dice) che molti di essi lo siano diventati più per la tessera di partito o del sindacato che per meriti. E se questo è vero, è la conferma che non bastano le regole a fermare l’intromissione della politica. La seconda ragione, e parliamo di direttori generali, è che non si è mai vista un’azienda il cui management non sia scelto dalla proprietà che, in questo caso, è della Regione.
 
E allora proviamo a fare un ragionamento diverso. Come se vivessimo in un Paese normale. Mi spiego. Accettata l’idea che la Asl sia un’azienda i cui azionisti di riferimento siano i cittadini rappresentati dalla Giunta regionale che ha vinto le elezioni, appare del tutto logico che sia quest’ultima a scegliere chi porre alla sua guida. E si deve ritenere che la “politica”, in quanto azionista, cerchi di scegliere il migliore sulla piazza, per curriculum, esperienza e anche per condivisione delle strategie da attuare.
Conseguentemente il direttore generale cercherà di promuovere a incarichi di responsabilità i migliori professionisti a sua disposizione attraverso attente valutazioni dei curriculum, delle esperienze ma anche della condivisione dei programmi di sviluppo e miglioramento dei servizi per i quali è prevista la nomina.
E questo vale a partire dai direttori sanitari e amministrativi fino ai capi dipartimento e agli stessi direttori di struttura semplice e complessa.
In sintesi: un’applicazione logica della catena della responsabilità dovrebbe far sì che si scelgano sempre i migliori, per poi magari rispedirli a casa se hanno lavorato male. Se non lo si fa, perché a prevalere è l’interesse del momento rispetto al bene dei cittadini e dell’azienda, non basteranno certo nuove regole per affermare il merito rispetto allo spoil system.
 
Cesare Fassari

 

14 dicembre 2010
© Riproduzione riservata

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