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Campania. Centri nascita, Crispino (Aiop): “Quelli sotto soglia hanno già chiuso”. Schiavone (Confindustria): “Si autorizzino servizi e terapie intensive previste”

di Ettore Mautone

In Campania su 71 punti nascita attivi sono 19 quelli da dismettere o in via di dismissione, di cui 15 concentrati nel settore ospedaliero pubblico e 4 (già chiusi) nel comparto accreditato (cui si aggiunge il nido della clinica Grimaldi chiuso per propria decisione aziendale). Un altro dei nodi da sciogliere resta l’eccesso di parti cesarei le cui percentuali, in molti casi, sono ben lontane dalla media delle altre regioni.

03 FEB - In Campania la rete dei punti nascita è un sistema a orditura stretta se si guarda al numero assoluto di nidi distribuiti tra ospedali pubblici e Case di cura accreditate, ma con strappi, usure e tenuta a rischio su sicurezza e livelli di assistenza se si volge lo sguardo al collegamento funzionale con le Ginecologie e i reparti di Terapia intensiva neonatale (Tin). Falle concentrate non soltanto nello storico record negativo per eccessi di cesarei, certificato dal Piano esiti dell’Agenas (media del 60% contro il 35% nazionale e lo standard del 15-20% guardato da lontano) ma anche nell’eccesso di strutture che effettuano pochi parti all’anno, ben al di sotto dello standard definito dal ministero della Salute ad almeno 500 (destinati a diventare 1000) per operare in sicurezza. In Campania su 71 punti nascita attivi sono 19 quelli da dismettere o in via di dismissione, di cui 15 concentrati nel settore ospedaliero pubblico e 4 (già chiusi) nel comparto accreditato (cui si aggiunge il nido della clinica Grimaldi chiuso per propria decisione aziendale).

Superano, invece, quota mille parti (dove da qui ai prossimi anni sarà innalzata l’asticella della sicurezza) tutti gli ospedali provinciali oltre ad alcuni presidi delle Asl (Frattamaggiore, Battipaglia, Nocera Inferiore). Sfiorano mille anche il Cardarelli (878) e Giugliano (896), il Moscati di Aversa (885), il San Leonardo di Castellammare (792) e il Loreto Mare (858). Grandi numeri di parti anche per l’Aou della Federico II che ha all’attivo quasi 2300 parti con una dotazione completa relativamente all’assistenza di supporto. E poi ancora i classificati Fatebenefratelli di Napoli (1250), Villa Betania con oltre 2 mila nascite nel 2014 e il Fatebenefratelli di Benevento (1072).

Gli accreditati
Sul fronte privato, tutte le Case di cura accreditate con il Servizio sanitario regionale - laddove poste sotto questo limite di sicurezza fissato dal ministero della Salute - hanno invece già chiuso i battenti alla fine del 2014 portando a termine, nell’anno successivo, solo i parti programmati. Si tratta di quattro strutture (Santa Rita di Atripalda, Tortorella di Salerno, Trusso di Ottaviano e Santa Lucia di San Giuseppe Vesuviano), mentre la Grimaldi di San Giorgio a Cremano ha deciso spontaneamente di rinunciare all’Ostetricia. Tutte le altre Case di cura (anche nel 2015), sono ben oltre il livello di guardia con 10 strutture su 24 che hanno superato il livello ottimale di 1000 parti all’anno. Quest’ultimo numero a regime, da qui ai prossimi anni, dovrebbe diventare la nuova soglia ordinaria di attività, sia per il pubblico sia per il privato.

Autorizzare le dotazioni di sicurezza
“Nel 2015 i centri nascita delle Case di cura in attività – precisa Sergio Crispino, presidente regionale dell’Aiop, l’associazione di categoria dell’ospedalità accreditata – hanno addirittura incrementato il numero dei parti. C’è ora lanecessità di permettere loro di autorizzare l’implementazione di tutti i servizi che la norma prevede per assicurare standard assistenziali in base al numero di parti effettuati, dalle Tin (Terapie intensive neonatali), alle neonatologie alle sub-intensive per le mamme laddove mancano. Questi servizi - seppure in parte già erogati, sono previsti dalla norma nazionale. Li abbiamo da tempo richiesti in autorizzazione ma non sono stati ancora concessi e ci consentiranno di rispondere pienamente agli standard fissati dal ministero Un’azione volta al miglioramento della qualità dell’assistenza e al rispetto dei massimi standard di sicurezza che la Regione dovrebbe facilitare ed accompagnare”. “A Villa Bianca – aggiunge Vincenzo Shciavone, presidente regionale di Confindustria Sanità – si facevano oltre 1700 nascite all’anno e i servizi di supporto, ancorché non accreditati, già funzionano a supporto delle mamme in gravidanza durante la gestazione. Ma sebbene questa struttura nasca dalla funzione con un’altra per un totale di 70 posti letto, ossia oltre il livello minimo fissato dalla legge Balduzzi (tra 40 e 60), ne sono stati riconosciuti e autorizzati solo 56 per cui si è creato da un lato un esubero di personale, che in assenza di interventi della Regione perderà il lavoro, e dall’altro non si potranno più sostenere questi grandi numeri di attività del nido. Il fatto è che il settore pubblico non è attualmente in grado di assorbire, sul territorio napoletano, quasi mille parti all’anno considerando che si stanno dismettendo storico e antichi presidi, come l’Annunziata nel centro storico di Napoli che macinavano, fino a qualche anno fa, un elevatissimo numero di parti ogni anno. Quel che serve è un tavolo regionale in cui pianificare la rete dell’offerta assistenziale pubblica, ma anche di quella accreditata, in base ai fabbisogni di Salute autorizzando gli adeguamenti necessari a rispettare gli standard fissati dalle norme regionali e nazionali.

Le norme
La riorganizzazione dei punti nascita in base ai volumi di attività risale al 2010 (Comitato nazionale percorso nascita), trascinatosi tra resistenze e campanilismi fino al 2014 con un decreto che consente deroghe solo in casi particolari: posizione geografica disagiata, difficoltà di collegamenti, per Isole e Comuni montani che abbiano elisoccorso operativo h. 24. Oltre alla numerosità dei parti si valuta anche la disponibilità h 24 di ginecologi, pediatri neonatologi e ostetriche, e la presenza a corto raggio di una Tin e una subintensiva per le madri.

La lista nera
Nella lista nera dei punti nascita pubblici da chiudere in Campania, oltre a strutture come Oliveto Citra e Eboli, che sin dal 2011 avrebbero dovuto confluire a Battipaglia, ci sono Piedimonte Matese e Sessa Aurunca, Boscotrecase (che da marzo chiuderà i battenti), Sapri, Ariano Irpino, Nola, Maddaloni,ì e Polla. Il Fucito di Mercato San Severino e Cava dei Tirreni (per ora salvato dal Tar) dovrebbero confluire nel Ruggi di Salerno. Segnato il destino del Landolfi di Solofra e dell’ospedale di Vallo anche se quest’ultimo con l’ospedale di Sapri potrebbe essere ripescati, stando alle dichiarazioni della struttura commissariale, in quanto posizionati in zone disagiate. L’ultimo Piano ospedaliero targato Caldoro, bocciato dal ministero, concedeva deroghe per tale ragione ad Ariano Irpino, Piedimonte Matese, Sessa Aurunca, Ischia, Sapri e Vallo della Lucania.

Asl Napoli 1
Nella Asl Napoli 1 oltre a Villa Betania e Fatebefratelli, ospedali classificati religiosi che macinano grandi numeri, il San Gennaro, sotto soglia, è già stato chiuso e gli altri dovrebbero confluire nella maternità dell’ospedale del Mare. L’attuale commissario Pizzuti, nella riorganizzazione per i nuovi turni, oltre a dirottare Ostetricia e Nido degli Incurabili in altri punti nascita aziendali e verso la Sun (25 infermieri, 8 ginecologi, 5 ostetriche, e 3 pediatri), prevede infatti di dismettere tutti i punti nascita sotto i 1000 nati.

Sun
Il nuovo reparto di Ostetricia e Ginecologia della Sun, ristrutturato alla fine 2014, è in attesa di inaugurazione. La Ginecologia ha lavorato per anni in sinergia con il dirimpettaio Incurabili dove c’è l’Ostetricia. Il personale è della Asl, la direzione della Sun e la convenzione risale al 1999. Il trasferimento è ora bloccato dai cedimenti strutturali degli Incurabili. Del trasloco si è assunta la regìa la struttura commissariale dopo un vertice, nei giorni scorsi, tra il commissario della Sun Maurizio Di Mauro e il commissario ad acta per la Sanità Polimeni. Probabile dunque che la situazione si sblocchi a breve. In attesa ci sono 12 culle del nido, una terapia intensiva e sub intensiva, 24 posti per le mamme. Secondo previsioni la fusione dovrebbe far salire gli attuali 700 nati annui ad almeno a quota 1000.

I sindacati
“Da cinque anni denunciamo le anomalie della rete materno infantile – avverte Antonio De Falco, segretario regionale della Cimo - la presenza di Tin senza maternità è, per norme nazionali e regionali, da considerarsi un’eccezione per qualità e sicurezza a partorienti e prematuri. La riorganizzazione del 2010 prevedeva punti nascita sia al Santobono che al Monaldi, poi è cominciato un periodo buio e oggi il 50% di Tin della provincia è dissociato dal punto nascita”. “Finora – rincara D’Angelo della Cisl medici - in assenza dell’Ospedale del Mare nel raggio di 10 km per una popolazione che pareggia quella dell’intera Basilicata, la chiusura parziale dei servizi dell'Annunziata, ha gravemente danneggiato le mamme a rischio ed i neonati prematuri. Tre anni fa una per una gravida pre-termine in trasferimento presso una Tin per un guasto all’ambulanza sulla Napoli-Salerno si sfiorò la tragedia”.
Insomma una rete materno-infantile da rifondare secondo standard di efficienza e sicurezza su cui è in queste ore al lavoro la struttura commissariale.
Sulla questione dei nidi e della rete delle nascite interviene anche Franco Verde dell’Anaao: la principale necessità – avverte – è quella di potenziare la rete territoriale dei consultori in cui far crescere la cultura del parto naturale e poi sperimentare validi modelli di integrazione pubblico-privato a beneficio di mamme e bambini”.

L’eccesso di cesarei
Il nodo da sciogliere resta l’eccesso di parti cesarei le cui percentuali, in molti casi, sono ben lontane dalla media delle altre regioni. Anche qui l’Aiop ha in cantiere un progetto, già in corso, per applicare le linee guida ministeriali sul parto naturale. “E’ già stato avviato – aggiunge Crispino - un progetto per la riduzione dei parti chirurgici e per favorire le nascite per vie naturali nei casi in cui l’età, il tipo di gravidanza e lo stato di salute della donna e del bambino lo consentano. Anche questo – conclude Crispino – è un piano da mettere a punto insieme alla Regione nell’ambito delle attività tese ad assicurare l’appropriatezza delle prestazioni. Non ci sottraiamo a un processo di cambiamento che passa anche per un’attività di educazione e informazione che deve necessariamente attivare tutti i canali che alimentano le attività di programmazione dei livelli di assistenza”.

Tra le esperienze più innovative su questo fronte c’è il progetto messo in campo da alcuni anni dalla clinica Mediterranea per consentire di partorire in Casa di cura sentendosi a casa propria. “È questo l’obiettivo di “Un nido per tre” – ricorda Celeste Condorelli, amministratore della struttura di Via Orazio – un percorso completo, che va dalla gestazione ai primi giorni di vita del bambino teso a ricondurre l’evento parto nell’ambito di una gestione di vita e della famiglia”. Tra gli obiettivi del progetto promuovere il parto naturale contrastando il ricorso al cesareo che in Campania, sia nel pubblico sia nel privato, sono in media oltre il 60%. Decisamente troppo considerando che il parto chirurgico è uno degli indicatori di qualità più frequentemente usato a livello internazionale.  
 
Ettore Mautone

03 febbraio 2016
© Riproduzione riservata

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