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Sardegna. Allarme denatalità: dal 2010 quasi 500 nati in meno ogni anno

di Elisabetta Caredda

Dal 2010 al 2017 il calo è stato di 3.396 nascite, si è passati mediamente da 13.538 neonati a 10.142, con circa 485 nati in meno per 7 anni consecutivi. I dati presentati in occasione del convegno “Culle vuote, Sardegna e Denatalità”, promosso dalla Società Italiana di Pediatria (SIP) e svolto a Cagliari, presso la Fondazione di Sardegna.

04 FEB - Dai dati provvisori Istat relativi alle nascite in Sardegna dei primi 9 mesi dell'anno 2018 si rileva una stima che va dai 9.363 ai 9.510 nati previsti, secondo il calcolo delle deviazioni standard, che posiziona l'isola per la prima volta sotto la soglia psicologica dei 10mila nati annui. Dal 2010 al 2017 il calo è stato di 3.396 nascite, si è passati mediamente da 13.538 neonati a 10.142, con circa 485 nati in meno per 7 anni consecutivi. La preoccupazione sull'analisi di questi dati è stata sollevata dalla Società Italiana di Pediatria (SIP) insieme ad esperti e specialisti delle politiche sanitarie del settore nel corso del convegno “Culle vuote, Sardegna e Denatalità”, svoltosi venerdì 1 febbraio presso la Fondazione di Sardegna.

“Il senso dell'iniziativa è condividere le riflessioni su un tema così importante che è la denatalità in Sardegna”, dice Rossella Mura, Presidente SIP sezione Sardegna. “Per permettere il benessere psicofisico dei bambini – continua - non basta rispondere ai bisogni di salute. I pediatri sono dentro un meccanismo nel quale è coinvolta tutta la società civile, sono coinvolti i decisori politici, le istituzioni e tutti quelli che hanno nel cuore il benessere dell'età evolutiva del bambino”.

“Ogni anno in Italia scompare un'intera città – afferma Giuseppe Masnata, Presidente Consulta Pediatrica Regionale -, 150/180mila persone scompaiono, abbiamo un tasso di denatalità come quello all'epoca delle due grandi guerre, con il rischio di arrivare ad avere una famiglia senza zie e cugini. Per questo motivo abbiamo l'obbligo di promuovere un'analisi e un dibattito, l'Italia è fortemente in ritardo rispetto ad altri paesi europei”.

Siamo un Paese sempre più vecchio, la percentuale di popolazione sopra i 65 anni è in continuo incremento perché è aumentata l'aspettativa di vita. “Questa situazione si è creata – spiega Rino Agostiniani, Vicepresidente SIP e coordinatore della consulta tecnico-scientifica della rete pediatrica della Regione Toscana - in parte per la riduzione dell'indice di fertilità, ma soprattutto dipende dal fatto che nel periodo 1975-1995 sono nate molte meno bambine. Quello su cui possiamo incidere, come stanno facendo altri paesi europei, è cercare di modificare il numero di figli per donna. Una situazione che, però, può essere modificata solo lentamente e nel lungo periodo”.
 
“Da tenere presente - ha proseguito Agostiniani - che l'Italia non ha viaggiato in sintonia. Il numero totale medio di figli per donne della Sardegna per il 2017 è assolutamente identico a quello del 1995, mentre, ad esempio, l'Emilia Romagna la medita era di 0,95 nel 1995 e di 1,35 nel 2017. Molto spesso la differenza tra figli desiderati e avuti non è legata ad una scelta, bensì alla difficoltà contingente d'inserimento nel mondo del lavoro ed a quello che la nascita di un figlio comporta dal punto di vista gestionale- organizzativo a livello familiare. In un confronto col resto dell'Europa che fa riflettere: si vede come Paesi del nord abbiano un indice di fecondità più alto rispetto all'area mediterranea. I Paesi scandinavi hanno infatti attuato strategie sulla flessibilità nel mondo del lavoro: una donna non deve aver timore di perdere il suo posto di lavoro se fa un figlio, oppure se perde il posto lo ritrova con facilità. E poi sui servizi, ad esempio gli asili disponibili e ad un prezzo abbordabile”.

Secondo uno studio della Fondazione Agnelli sembrerebbe che nei prossimi 10 anni potrebbero chiudere 287 classi di asilo e 636 di elementari - osserva Paolo Masile, pediatra e neonatologo -, se non ci sono bambini, non ci potranno essere professori. Pensiamo al consumo di latte fresco, del vestiario, dei giochi, di tutte le figure professionali che muove una gravidanza, dal ginecologo, ai tecnici di laboratori analisi, all'ecografo, i pediatri, ecc.; ogni bambino che nasce ha bisogno di queste tutte figure professionali. Non bisogna dunque dimenticare che un bambino è un produttore di reddito e crea anche occupazione”.

“In Sardegna ci troviamo oggi ad una diminuzione delle nascite intorno al 25% - dice Luisa Salaris, demografa e ricercatrice -, non è però sempre stato così. Sino agli anni '60 in Sardegna si continuavano a fare numerosi figli. Ecco che se nel 1952 il numero di figli medi per donna in Italia è di 2,34, in Sardegna è 3,8. Il punto di svolta è stato il 1979 dove il numero medio di figli per donna scende a 2: da quel momento in poi il numero di figli fatto dai sardi non è più in grado di rimpiazzare la generazione successiva, sono diminuite drasticamente le famiglie che facevano da 3 a più figli. La Sardegna si posiziona attualmente sempre al numero uno tra le regioni di Italia, questa volta però con il livello di fecondità più basso, pari a 1,04. Guardando all'interno delle province dell'isola il tasso di fecondità più basso, al di sotto di 1, lo presentano il Medio Campidano, Carbonia-Iglesias e Oristano. Le più dinamiche sono Olbia-Tempio ed in ripresa l'Ogliastra”.

“Una delle principali problematiche per cui non si fanno figli è la mancanza spesso di prospettiva occupazionale, l'incertezza – sostiene Raffaele Paci, vice Presidente di Giunta regionale e Assessore alla Programmazione -.  Per affrontare e dare risposte ad un tema così grande non basta certamente una legislatura, non basta la volontà di una Giunta regionale, è l'Italia che deve affrontare l'argomento con politiche a 360°. Come Regione nell'ultima finanziaria 2019 abbiamo introdotto quello che si può dire un 'pacchetto famiglia' – sottolinea il Vice Presidente -, grazie alla disponibilità di risorse che siamo riusciti a concentrare dopo aver fatto un risanamento e vinto delle battaglie legate alle materia delle entrate. Il problema della natalità non è certamente un problema che si può risolvere per decreto. Abbiamo dunque fatto un intervento di detrazione fiscale di 200 euro sui figli minorenni a carico per le famiglie con reddito Isee sino a 55mila euro, una misura se si pensa a livello burocratico più immediata, che vale 25 milioni considerato il numero dei figli minorenni a carico che abbiamo in Sardegna. Abbiamo inoltre investito risorse per potenziare i servizi con asili nido, per l'abbattimento delle tariffe dei trasporti per studenti, per la ristrutturazione di case ed altro”.
 
“Comprendo sia una goccia questo di fronte al complesso problema della denatalità – ha concluso Paci -, però abbiamo cercato di dare un segnale in quella direzione di sostegno alla famiglia. Siamo anche la Regione in Italia che ha una spesa più alta per le politiche sociali. C'è tanto da fare e non ci possiamo arrendere.”
 
Elisabetta Caredda

04 febbraio 2019
© Riproduzione riservata

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