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Patto Salute e riparto. Intervista a Russo (Sicilia). “Serve un Patto anche tra Nord e Sud” 

di Eva Antoniotti

Alla vigilia del summit delle Regioni, l'assessore alla Sanità siciliano lancia due proposte: livelli di organizzazione standard per le strutture e revisione delle quote capitarie per i nuovi residenti. E poi rigore e appropriatezza. “In Sicilia abbiamo dimostrato che anche il Sud può essere efficiente”

20 FEB - Rinviata per il maltempo la seduta straordinaria della Conferenza dei Presidenti delle Regioni prevista per la scorsa settimana, Patto per la Salute e riparto del finanziamento del Ssn per il 2012 saranno discussi dalle regioni il prossimo 23 e 24 febbraio.
 
Poche le indiscrezioni disponibili, dopo la sostanziale ricusazione del documento elaborato dai tecnici regionali a gennaio. Ma in questa intervista a Quotidiano Sanità l'assessore alla Sanità della Regione Siciliana mette sul tavolo due proposte rilevanti: i Livelli di organizzazione standard, per dare forma omogenea ai sistemi sanitari regionali, e, in materia di riparto, una sostanziale riduzione della quota capitaria assegnata ai nuovi residenti (negli ultimi anni la popolazione è cresciuta di circa tre milioni di abitanti, prevalentemente localizzati in Lombardia,Veneto, Emilia e Lazio).
 
Assessore Russo, cosa volete ottenere con il nuovo Patto per la Salute, del quale le Regioni stanno discutendo animatamente anche se in modo molto riservato?
Il nuovo Patto deve porre le basi per la sanità dei prossimi tre anni, 2013, 2014, 2015. C’è l’esigenza, avvertita da tutti, di chiudere il patto entro aprile per evitare che entri in vigore in automatico la manovra dell’agosto scorso che, come è noto, comporterà dei tagli in alcuni settori indicati dalla norma per 2,5 mld nel 2013 e 5,5 mld nel 2014.
L’obiettivo delle Regioni è trovare un’intesa per ottenere il medesimo saldo, ma con altre misure, perché il rischio concreto è che con quella manovra il sistema non sia più sostenibile.
 
Ci sono otto miliardi che mancano alla sanità. Pensate di ottenere maggiori finanziamenti o di mettere in campo misure di risparmio?
Diciamolo chiaramente: la manovra di otto miliardi rende insostenibile il sistema e rischia di pregiudicare la corretta erogazione dei Lea. Anche perché occorre evidenziare un problema che forse non è stato oggetto della necessaria attenzione: la manovra non è di soli otto miliardi, perché nel frattempo ci sono state altre misure, come l’aumento dell’Iva e delle tariffe, che hanno reso il saldo più pesante. Noi chiederemo al Governo di rendere la manovra sopportabile, fermo restando che abbiamo la consapevolezza che il sistema sanitario deve fare la sua parte per contribuire a questo momento critico per il paese.
 
Molti, a cominciare dal ministro Balduzzi, puntano sull’appropriatezza come metodo per fronteggiare la scarsità delle risorse. Cosa si può fare concretamente?
Dobbiamo declinare il termine appropriatezza in tutte le sue sfaccettature, innanzi tutto quelle organizzative. Il campo su cui intervenire è l’efficientamento del sistema: bisogna mettere in azione processi volti a riorganizzare il sistema con modalità tali da ottenere risultati economici in termini strutturali.
 
Mi fa un esempio di appropriatezza organizzativa?
L’esempio è la Sicilia. Siamo stati bravi e rigorosi a intraprendere la strada virtuosa del cambiamento. Nonostante le forti resistenze, anche di carattere politico, siamo riusciti a ridurre le aziende sanitarie da 29 a 17, i dipartimenti dell’assessorato da 5 a 2, abbiamo rimodulato la rete ospedaliera, tagliando gli sprechi costituiti da reparti doppioni, abbiamo lanciato le gare centralizzate per l’acquisto di beni e servizi, ridisegnato le piante organiche, riscritto gli atti aziendali, varato il nuovo Piano Sanitario Regionale che in Sicilia mancava da oltre dieci anni, ampliato l’offerta della medicina territoriale in ogni provincia, sfruttando anche le risorse europee e creando le reti per patologia. Il tutto partendo dai dati che ci hanno indicato il reale fabbisogno sanitario della Regione e puntando su appropriatezza delle risposte ai bisogni di salute, merito e trasparenza nella scelta delle figure apicali del sistema. Tutti gli indicatori sono già sensibilmente migliorati anche se chiaramente la strada è ancora lunga. Ma i provvedimenti adottati, validati dal tavolo ministeriale, sono stati di carattere strutturale e dunque non sarà più possibile tornare indietro. Abbiamo così costruito il nuovo sistema, valutando rigorosamente il fabbisogno e dando le pertinenti risposte organizzative, incidendo sul processo di produzione delle prestazioni e dei servizi sanitari. Il risultato è stato un forte abbattimento di costi strutturali come effetto innanzitutto di una appropriatezza organizzativa. Che significa principalmente rispetto di standard organizzativi, di indicatori di valutazione delle performance, di parametri gestionali; per esempio non si possono mantenere reparti, strutture, come punti nascita, cardiochirurgie, neurochirurgie, emodinamiche etc., senza tenere conto di tali dati o ancor  peggio prescindendo dal riferimento al bacino d’utenza Credo sia arrivato il momento di definire anche i livelli essenziali di organizzazione ai quali, pur nel rispetto dell’autonomia di ciascuna regione, devono conformarsi i sistemi sanitari regionali specialmente delle regioni sottoposte a Piani di rientro.
 
Quindi ben vengano i Piani di rientro...
In questo senso il Piano di rientro è stata un’opportunità, ma noi vogliamo cambiare l’ottica: quando si parla di Piano di rientro si evoca il momento economico-finanziario, noi vogliamo invece, poiché nomina sunt consequentia rerum, parlare di Piani di riqualificazione e riorganizzazione del sistema, che portano anche a risultati economici consistenti.
 
Insomma, lei sarebbe pronto a seguire i parametri proposti nello studio dell’Agenas, che indicava proprio per le Regioni in Piano di rientro, i parametri appropriati per le diverse strutture e servizi.
Noi siamo disponibili sotto questo profilo. La Sicilia è un esempio da seguire: in tre anni abbiamo ridotto il deficit strutturale di un sistema che al momento della sottoscrizione del Piano di Rientro aveva un buco di quasi 1 miliardo di euro e che l’anno scorso ha chiuso meglio di quanto preventivato, cioè con un deficit di appena 90 milioni che viene abbondantemente coperto dalle addizionali delle aliquote Irap ed Irpef.
 
Torniamo alla sua proposta di Livelli essenziali di organizzazione.
Meglio ancora: livelli di organizzazione standard, che sono più utili dei costi standard. Questa è una mia valutazione personale e ovviamente rispetteremo la legge, ma se non si mette mano al processo di produzione non si potranno mai cambiare davvero le cose. In termini organizzativi, faccio ancora un esempio. La Regione Siciliana, come è riconosciuto anche dall’Aogoi, è l’unica Regione che sta facendo fino in fondo il suo dovere in tema di Punti nascita. Abbiamo adempiuto puntualmente a quanto stabilito dalla Stato Regioni del dicembre 2011, a ottobre ridurremo i Punti nascita, collocandoli alla dimensione di oltre 500 parti l’anno per arrivare poi a mille parti l’anno.
Sono misure organizzative che portano innanzitutto qualità ed efficienza al sistema.
 
Intervenire sulle strutture vuol dire anche ridurre tanti ruoli apicali. Come ha fatto a tagliare 17 direttori generali?
Abbiamo adottato la politica del rigore, senza guardare in faccia nessuno. E nella scelta dei manager delle nuove aziende ci siamo affidati alle valutazioni dell’Agenas che ha fatto un prezioso lavoro di scrematura fra i tanti candidati, analizzando con attenzione i curricula. Forse per questo le resistenze da parte di certi centri di potere sono state molto forti. Per la precisione abbiamo anche ridotto del 16% le strutture complesse e del 14% le strutture semplici. Il personale è stato riorganizzato rispettando la norma finanziaria che imponeva un tetto di spesa. Operazioni anche dolorose ma necessarie. E ora, con rinnovata serenità, possiamo puntare sulla qualità delle attività sanitarie.
 
Cosa intende per rilancio delle attività sanitarie?
Il tema fondamentale su cui riflettere, e che deve costituire uno dei fondamenti del nuovo Patto per la Salute, è la difformità dell’erogazione dei Lea a livello nazionale. Oggi abbiamo una sanità legata al certificato di residenza: questo non è ammissibile. Bisogna fare uno sforzo collettivo, pur nel rispetto delle autonomie regionali, per avere una sanità non dico unica ma certamente omogenea, perché non è accettabile che chi si cura in Calabria debba avere una prestazioni diverse da chi si cura in Veneto.
 
Lei indica molti sistemi di parametrazione: livelli di organizzazione standard, Lea. Ma chi farà la verifica che i parametri siano realmente rispettati?
Vogliamo che ci sia un organismo che abbia una caratterizzazione di terzietà, tipo Agenas, ed il  potenziamento della Stem.
 
Contemporaneamente alla discussione sul Patto per la Salute, le Regioni affronteranno anche il riparto del finanziamento del Ssn per il 2012. Uno dei temi caldi è l’introduzione del criterio di deprivazione. Lei cosa ne pensa?
La deprivazione è certamente un indice da considerare, ma noi puntiamo molto sui costi marginali.
 
Cosa sono i costi marginali?
In questi anni c’è stato uno spostamento progressivo delle risorse dal Sud verso Nord perché lì si è registrato il maggiore aumento di popolazione, essendo territori che offrono maggiori opportunità di lavoro. Noi diciamo che non possiamo aggiungere per ciascun nuovo abitante rispetto all’anno precedente una quota capitaria integrale, sia pure pesata con parametri particolari. L’arrivo di cento, mille o anche più nuovi abitanti in una data zona non comporta infatti di per sé la costruzione di nuovi ospedali e neanche l’assunzione di nuovi medici, quindi non occorre l’intera remunerazione della quota capitaria. Basterebbe una quota che copra i beni di consumo. La struttura, l’organizzazione sanitaria c’è già, la variazione di popolazione non comporta una spesa di sistema.
 
Quindi lei propone di scorporare il finanziamento tra quota strutturale e quota di consumo?
Esattamente. Credo che sia un criterio importante su cui, com’è evidente, non c’e ancora la  condivisione delle Regioni del Nord.
 
Eva Antoniotti

20 febbraio 2012
© Riproduzione riservata

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