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Sardegna. “Ospedali, si cambia rotta”. “Ecco come sarà la nostra rete. Nessuna chiusura ma una vera e propria riorganizzazione attenta alle esigenze dei sardi”. Intervista a Luigi Arru

di Lucia Conti

Alcuni stabilimenti ospedalieri verranno ricompresi sotto lo stesso presidio, "ma nessuna delle 39 strutture pubbliche sarà chiusa", assicura l’assessore alla Sanità della Sardegna. I presidi saranno in tutto 11. Invariato il numero (11) degli ospedali privati. “Ma i posti letto e le funzioni vanno rivisti fortemente, perché oggi regna inappropriatezza e bassa sicurezza”. E Arru assicura: “Non è colpa dei medici”

31 LUG - Con il via libera da parte della Giunta alla bozza di delibera, prende il via il dibattito pubblico sul futuro della rete ospedaliera della Sardegna. “Quella bozza è il risultato di un lavoro tecnico di un anno nel corso del quale abbiamo sviscerato tutti i dati in possesso dell’assessorato alla sanità. Ora la presentiamo ai portatori di interessi: enti locali, professionisti, cittadini, per ascoltare i loro dubbi e le loro proposte. E così facendo vogliamo lanciare un messaggio politico importante di collaborazione”. Luigi Arru, assessore alla Sanità della Sardegna, sa però che il confronto non sarà sempre semplice. “C’è già chi dice che stiamo per chiudere gli ospedali e questo non è vero”. 

Assessore, negli atti approvati lo scorso martedì non si sono risparmiate critiche all’attuale assetto della rete ospedaliera. E’ vero che essa si discosta dagli standard e dalle indicazioni nazionali, ma è anche vero che la Sardegna è una Regione molto particolare sia per caratteristiche geografiche che per domanda di salute. E’ stato quindi necessario trovare un punto di incontro tra le indicazioni nazionali e le esigenze regionali?
La Sardegna è la seconda regione in Italia per estensione. La densità di popolazione è più bassa che in altre Regioni, circa 69 abitanti per km², ma vi sono anche aree dove la densità arriva a 38 ab. per km². Le aree L’insularità, la posizione geografica e le vie di comunicazione rappresentano inoltre vincoli determinanti per la definizione della rete ospedaliera. In ragione di questo, si è stabilito di individuare otto aree omogenee che coincidono con gli ambiti territoriali delle attuali Asl e di ridefinire i livelli di intensità dei presidi in base alle caratteristiche del territorio e dunque articolato in 4 tipologie: presidio di I livello, presidio di II livello, presidio di base. Alcuni presidi sono multistabilimento, cioè aggregano stabilimenti ai quali sono attribuite funzioni definite e diverse. Gli stabilimenti di zona disagiata sono dotati di un Pronto Soccorso, gestito dall’AREUS e coordinato con il DEA di riferimento, dove devono essere presenti almeno 20 posti letto di medicina che garantiscano, in caso di necessità, anche l’assistenza ai pazienti chirurgici operati in regime di day-surgery o week-surgery.

Oltre alle difficoltà geografiche, quali sono le criticità più rilevanti dell’attuale rete ospedaliera?
Tempi di accesso al Pronto Soccorso molto più alti della media nazionale, eccessiva durata dei ricoveri, record di inappropriatezza e di mortalità evitabile a causa di una inadeguata attività di prevenzione, volumi di prestazioni al di sotto delle soglie di sicurezza in molti reparti, un numero di posti letto per acuti assolutamente al di fuori delle necessità e a discapito dei posti post acuzie. Voglio però sottolineare che nessuna responsabilità per questi scarsi risultati può essere imputata ai medici. Il problema sta proprio nel modello di rete ospedaliera e territoriale che c’è stato fino ad oggi. Basti pensare che nel corso della ricognizione abbiamo addirittura rilevato la presenza di zone dove non c’è neanche il medico di medicina generale. Questo, dunque, è il punto dal quale partire: il riequilibrio numerico dei servizi, dei professionisti, dei posti letto in relazione ai bisogni dettati dal criterio di appropriatezza.

Quali sono, allora, le direttrici verso le quali dovrebbe muoversi la riorganizzazione della rete ospedaliera?
Abbiamo individuato 4 colonne, che chiamo colonne proprio perché permetteranno all’intero sistema sanitario regionale di reggere. Queste quattro colonne sono: riorganizzazione della rete territorio; riorganizzazione della rete di emergenza-urgenza; processo di specializzazione di alcuni ospedali e riconversione di alcune strutture con l’introduzione del modello di ospedale per zone disagiate

Lei ha assicurato che nessuno ospedale sarà chiuso. Ma nell’atto approvato dalla Giunta si legge che i presidi pubblici saranno 11. Attualmente gli ospedali sono 31. Può spiegarci questo scostamento da cosa dipende?
Dalla creazione dei presidi ospedalieri di area omogenea. Ogni area potrà essere composta da più ospedali. In quegli 11 presidi, dunque, confluiranno tutti e 39 gli ospedali pubblici regionali.

In cosa consisteranno esattamente questi presidi di area omogenea?
I presidi ospedalieri di area omogenea costituiscono un’unica entità funzionale, organizzativa ed amministrativa all’interno della quale non possono sussistere duplicazioni di strutture complesse di diagnosi e cura, ad eccezione di quelle per le quali è previsto un bacino di riferimento inferiore o uguale a 80.000 abitanti (Medicina generale, Recupero e riabilitazione funzionale e Lungodegenza) e di quelle relative ad alcune specifiche discipline. Il presidio ospedaliero è l’articolazione organizzativa che aggrega tutti gli stabilimenti aventi sede nel medesimo bacino.

Nessuna chiusura neanche tra i punti nascita?
La riorganizzazione dei punti nascita è un percorso partito già da tempo e, anche in questo caso, i motivi erano di sicurezza e appropriatezza. Abbiamo rilevato situazioni dove, ad esempio, ci sono due punti nascita a distanza di 30 km che insieme non raggiungono i 500 parti all’anno, che sarebbe la soglia minima che dovrebbe raggiungere un punto nascita da solo per ritenersi sicuro. Non si può pensare di tenere aperti punti nascita che non superano i 200 parti all’anno.

Non teme barricate da parte di enti locali e cittadini?
Le polemiche sono già iniziate, già veniamo accusati di chiudere gli ospedali. Ma gli attacchi arrivano anche quando qualche intervento va storto. Il nostro obiettivo è far capire ai cittadini che prima della quantità, viene la qualità. Forse dovremmo cominciare a chiedere loro: “Andresti in un ospedale dove la mortalità è tre volte superiore alla media?”.

Come crede che i medici reagiranno, invece, al taglio del 17% dei primariati?
Non ci aspettiamo contestazioni, anche perché gli incarichi sono formalmente 372, ma 18 sono già vacanti. La bozza di delibera prevede il taglio di 64 primariati, ma nei fatti la riduzione sarà di una quarantina e non ci aspettiamo barricate, anche perché in realtà non facciamo altro che riallinearci agli standard previsti a livello nazionale, correggendo una distorsione che fino ad oggi ha visto, in Sardegna, la presenza di ruoli di primariato ben al di sopra del necessario.
 
Lucia Conti

31 luglio 2015
© Riproduzione riservata

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