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Antidolorifici: se il paziente è pessimista, gli effetti si riducono


Un paziente convinto che i farmaci non funzioneranno può vanificare l’effetto dei farmaci stessi. È quanto ha mostrato uno studio britannico sugli antidolorifici pubblicato sulla rivista Science Translation Medicine.

17 FEB - Durante le terapie bisogna essere ottimisti. Perché essere convinti che i farmaci non funzioneranno potrebbe ridurre o addirittura annullare gli effetti dei farmaci stessi.
Lo studio britannico pubblicato sulla rivista Science Translation Medicine ha anche identificato le regioni del cervello più coinvolte in questo meccanismo perché, spiegano i ricercatori, capire bene il fenomeno può essere importante per l’efficacia delle cure ma anche per la sperimentazione dei nuovi farmaci.

I risultati sono emersi da un esperimento che ha coinvolto 22 pazienti. Sulle loro game veniva messo un oggetto caldo e poi chiesto di segnalare il livello di dolore su una scala da 1 a 100. Nel frattempo, ogni paziente era stato collegato a una flebo.
La valutazione media iniziale del dolore è stata pari a 66. Dopo che ai pazienti era stato somministrato un potente antidolorifico (remifentanil) a loro insaputa, il punteggio del dolore è sceso a 55.
Una volta informati i pazienti sull’antidolorifico somministrato, il livello di punteggio è sceso ulteriormente fino a quota a 39. Ma, pur continuando a somministrare l’antidolorifico con lo stesso dosaggio, è bastato dire ai pazienti di aver sospeso il farmaco per vedere il punteggio salire di nuovo a 64.

In pratica, anche se i pazienti erano trattati con l'antidolorifico, riferivano un livello di sofferenza analogo a quello iniziale, quando davvero erano senza trattamento.

“È fenomenale. Si tratta di uno dei migliori analgesici che abbiamo, e l'influenza del cervello può sia aumentare enormemente l'effetto, sia completamente rimuoverlo”, ha commentato Irene Tracey
E la ricerca, spiega l’esperta, è stata condotta su persone in buone condizioni di salute sottoposti a dolore per breve tempo. Il rischio è che i malati cronici che hanno provato, senza successo, molti farmaci, per molti anni, possano aver attivato una condizione mentale così pessimista che potrebbe avere conseguenze negative sulla loro futura salute.
“I medici – secondo Tracey – dovrebbero investire più tempo a studiare i fattori cognitive delle malattie, perché oggi ci si concentra solo sulla fisiologia, mentre anche gli ostacoli mentali possono essere un reale ostacolo al trattamento”.

Quanto alle regioni cerebrali fotografate nel corso dell’esperimento, il trattamento positivo è stato associato con l'attività delle aree cingulo-frontale e sottocorticale, mentre nei pessimisti l’area più attiva era quella dell'ippocampo e della corteccia frontale mediale.
 
L.C.

17 febbraio 2011
© Riproduzione riservata

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