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Hiv. Vella (Iss): “La sfida futura? Combattere le comorbidità”


09 MAG - L’Aids è diventata una malattia cronica. Ma cosa vuol dire quando una patologia si cronicizza? La buona notizia è che dopo il contagio non si muore più in breve tempo, ma l’altra faccia della medaglia è che i sieropositivi convivono per tutta la vita con il virus, che amplifica e velocizza altre malattie. “Dunque bisogna mettere in atto nuove strategie, studiare nuovi farmaci, combinare diversamente quelli a disposizione, adatti ad uno scenario nuovo, quello del paziente cronico”, ha spiegato Stefano Vella, Direttore del Dipartimento del Farmaco all’Istituto Superiore di Sanità.
 
Insomma, anche la medicina deve sapersi adattare.“Ecco perché parlo di una nuova ‘sfida’”, ha detto Vella. “Anche perché se fino a qualche tempo fa il paziente ci chiedeva di vivere anni in più, oggi che questi anni li ha conquistati ci chiede – anzi vorrei dire pretende – che siano anni di qualità. Abbiamo il dovere di rispondere a questa richiesta. Un dovere nei confronti del paziente ma anche della collettività. Perché è dimostrato che un paziente trattato presto e bene mantiene un’alta aderenza alla terapia e ha minori possibilità di trasmettere il virus”.
Oggi i pazienti sieropositivi non muoiono più di Hiv/Aids, e il problema diventano le comorbidità. “I pazienti, spesso avanti con gli anni, hanno una serie di problematiche legate più all’età che all’infezione – basti pensare alla sindrome dismetabolica – alle quali bisogna aggiungere il fattore ‘virus’ che amplifica e anticipa danni al sistema cardiovascolare, ai reni, al sistema nervoso. Il virus infatti ha un effetto infiammatorio, scatena una costante immunoattivazione. Fino a qualche tempo fa si pensava che il rischio più elevato di malattie cardiovascolari, del rene, delle ossa o del sistema nervoso fosse una conseguenza delle terapie. Oggi, invece, è chiaro che questo è solo uno degli altri meccanismi di azione del virus”.
E l’Aids ha insegnato tanto a chi la studia da trent’anni e anche a chi – istituzionalmente – deve fare di tutto per combatterla. La ‘lezione’ deve essere preziosa anche per combattere altre malattie. “Abbiamo imparato che un forte investimento di risorse e di energie, insieme ad una proficua collaborazione tra pubblico e privato, portano a grandi risultati: le terapie devono essere valutate in termini di costo-efficacia”, ha continuato il direttore. “Oggi che stiamo aspettando le nuove terapie per l’Epatite C teniamolo bene a mente e consideriamo quanto costa, a distanza di anni, un paziente che deve fare un trapianto di fegato. E non mi riferisco a costi umani e di qualità di vita – in quantificabili – ma proprio in termini di costo sanitario. La cura più costosa nell’immediato potrebbe essere quella che fa risparmiare non a lunga, ma anche a media distanza. Ancora una volta la chiave di volta della terapia gioca su due parole: presto e bene. Ovvero iniziare appena possibile la migliore terapia possibile per quel paziente”.
 
Ma qual è il futuro della lotta all’Hiv?“Ora dobbiamo puntare, da una parte, alla miglior gestione possibile delle terapie dei pazienti sieropositivi, dall’altra alla cura”, ha spiegato Vella. “Che non credo sia poi così lontana: abbiamo capito che il virus deve essere stanato da dentro le cellule. Solo così si potrà pensare davvero di combatterlo definitivamente. Bisogna stanare il virus dai “serbatoi” dentro i quali si nasconde. Per questo oltre alle terapie bisognerà chiedere aiuto all’ingegneria genetica. Sono fiducioso ma penso che ci vorranno ancora una decina di anni”.

09 maggio 2012
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